Montenegro, come vengono accolti e aiutati gli ucraini, bielorussi e russi in fuga. L’esperienza di ‘Pristanište’, zona libera dalla guerra
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Traduzione: Roberta Aiello
Che aiuto ricevono gli ucraini, i bielorussi e i russi che arrivano in Montenegro? Come funzionano i rapporti tra loro? Svetlana e Andrey, rispettivamente cofondatrice e amministratore della Fondazione Pristanište, hanno raccontato le loro esperienze al sito Posle. Abbiamo tradotto l'intervista.
Di cosa vi occupavate prima dell'invasione, come mai vi trovate in Montenegro e perché aiutate chi ha lasciato il proprio paese?
Svetlana: Sono arrivata in Montenegro un anno e mezzo fa. Mio cognato si occupa qui di progetti educativi e c'era una richiesta affinché si aprisse la prima scuola internazionale del paese. Precedentemente vivevo a Mosca e mi occupavo di educazione civica. Poi sono diventata attivista contro la guerra. [Altri attivisti e io] Abbiamo coordinato campagne a sostegno dei prigionieri politici e per garantire il rilascio del regista ucraino Oleg Sentsov come parte di uno scambio di prigionieri. Conoscendo la situazione, mi sono subito resa conto che [la Russia] avrebbe lanciato presto un'offensiva. Ho comprato un biglietto per Mosca, sono arrivata lì il 20 febbraio e tre giorni dopo sono andata a protestare contro la guerra in Ucraina. Mi hanno portato a una stazione di polizia e il 24 è iniziata l'invasione. Il 25 febbraio sono tornata in Montenegro. Mi è stato subito chiaro che ci sarebbero stati ucraini in fuga dalla guerra, e che ci sarebbero state persone scappate dalla Russia, perché la repressione si sarebbe intensificata. Ed era altrettanto chiaro che ci sarebbe stata una nuova ondata di persone in fuga dalla Bielorussia. In quel periodo non erano previsti sostegni statali per i rifugiati in Montenegro. Ecco perché abbiamo deciso di dare alloggi ai cittadini provenienti dai tre paesi [Ucraina, Russia e Bielorussia]. Dal 5 marzo abbiamo iniziato ad affittare diversi edifici, per fornire alla gente almeno un alloggio, oltre al cibo. Le persone che arrivavano avevano molti problemi per cui abbiamo cominciato a trovare modi diversi per dare una mano. E poi c'erano i bambini, quindi necessità di avere scuole, asili, programmi per loro e così via.
Andrey: Io sono di Melitopol, in Ucraina, che fa parte della regione di Zaporizhzhia. La città è stata occupata dalle truppe russe dal primo giorno dell'invasione e tuttora subisce quest'oppressione. Fino al 24 febbraio avevo una vita normale: lavoravo, facevo le mie cose nel tempo libero, non avevo mai pensato di andare altrove. Una vita normale come quella di chiunque. Il 24 febbraio ho capito che era tutto finito.
Fin da subito non ci siamo mai illusi che la Russia fosse venuta a salvarci. Salvarci da chi? Ho vissuto in Ucraina per 37 anni, che non è tanto, ma ho viaggiato nel paese, parlato con persone sia in russo che in ucraino, non ho mai avuto problemi. E poi qualcuno è venuto nella mia città, è venuto a “liberarmi” dal lavoro, da una vita normale, dal mio modo di vivere, dagli amici, dai parenti. Ho parlato con alcuni soldati e tra loro c'era chi, all'inizio, era così diffidente da chiedermi: “Ti senti davvero così oppresso qui?”. Ho risposto che nessuno ci aveva mai fatto del male e che fino a quando non erano arrivati loro stavo bene e mi sentivo al sicuro.
Un anno fa sarebbe stato impossibile rimanere a Melitopol. Non sopportavo i militari, le bandiere, gli slogan del tipo “La Russia è qui per sempre!”. C'era una pressione costante, blocchi stradali, controlli di documenti, controlli telefonici, allarmi, sparatorie notturne, bombardamenti. Il 27 settembre abbiamo impacchettato tutto quello che potevamo infilare nell'auto. Mia madre, mia sorella più grande, mio nipote e io ci siamo chiusi semplicemente la porta alle spalle e ce ne siamo andati.
Inizialmente abbiamo attraversato la Russia fino ai Paesi Bassi perché lì c'erano persone che conosco arrivate prima. Molti hanno chiesto se non fosse pericoloso attraversare la Russia. Beh, ho dovuto farlo e poi ho proseguito. In Russia ci sono anche brave persone, non tutti sono nemici. E, comunque, è andata bene. Tutti ci hanno trattato bene. Non ho sentito alcuna ostilità da parte della gente.
Ma quando siamo arrivati in Crimea, abbiamo visto di tutto: le cosiddette “misure di filtrazione”, discussioni con le guardie di frontiera, probabilmente con ufficiali dell'FSB [il servizio di sicurezza federale russo], controlli telefonici, perquisizioni in auto, lunghi interrogatori sui contatti presenti in rubrica, con domande che per me non avevano alcun senso. “Non sei in servizio?” “Conosci qualcuno che presta servizio nell'esercito ucraino o nella difesa territoriale?” “Chi è Vasya nella tua rubrica, e chi è Andrey, e chi è Ivan, per chi hanno votato, e per chi hai votato?” “Dove stai andando, perché i Paesi Bassi e che lingua si parla?” “Cosa pensi “dell'operazione militare speciale”?” Questa è la domanda più assurda che abbia mai sentito. Cosa dovrei pensare?
Quando sono arrivato al confine con la Lettonia, ho visto 200 auto con targa ucraina ferme lungo l'autostrada. Mi sono messo in fila e ho chiesto a chi mi precedeva quanto avremmo dovuto aspettare. “Una settimana, più o meno, e dovrete restare in macchina, fare la doccia al caffè Rus e usare il bagno della stazione di servizio, cucinare cibo dove vorrete, andare a Sebezh, la città più vicina, per cibo e medicine”. Quando ho capito che sarei rimasto in fila per sette giorni perché sono ucraino e ho un'auto con targa ucraina, mi sono sentito una persona di terza classe, nemmeno di seconda, completamente impotente.
Ma c'è un lato positivo in questa storia. La prima sera è arrivato un ragazzo del posto, Vova, che ha portato un samovar, ha tagliato la legna, ha servito dell'acqua bollente e condiviso con noi una zuppa cucinata dalla moglie. Abbiamo chiacchierato e scoperto che era venuto da noi dopo il lavoro. Era venuto ad aiutarci invece di stare con la sua famiglia. Ha fatto del suo meglio per sostenerci. Questa cosa mi ha colpito. La sua generosità mi ha toccato profondamente. Ci ha aiutato e volevo farlo anch'io con gli altri. Ed è così che è iniziata la mia attività di volontariato. Taya, la mia ragazza, era tra ler persone che hanno aiutato gli ucraini in Russia. Ci siamo conosciuti al telefono: lei era la mia coordinatrice e io ero il tramite tra i volontari locali e le persone in fila in auto.
Dopo cinque giorni di attesa al confine russo, mi hanno portato al posto di blocco e trattenuto per sette ore: hanno perquisito la mia macchina e interrogato di nuovo, facendomi le stesse domande. Quando ho lasciato la Russia, ho percorso altri 500 metri e sono entrato in Lettonia. Le guardie di frontiera sono state molto gentili: hanno controllato rapidamente i documenti, mi hanno mostrato dove parcheggiare e mi hanno chiesto di aspettare 15 minuti. Tutto qui. “Benvenuti, ragazzi, benvenuti”, così ci hanno accolto. E così sono riuscito a portare i miei cari nei Paesi Bassi come previsto.
Successivamente è iniziata la mia relazione con Taya. Dovevamo incontrarci da qualche parte, ma nei Paesi Bassi i cittadini russi non potevano entrare senza visto. Così abbiamo deciso di vederci in Montenegro. In seguito, Taya ha sentito parlare per caso della Fondazione Pristanište che assiste persone provenienti da Ucraina, Russia e Bielorussia.
All'inizio abbiamo deciso di rimanere alla Fondazione per capire un po' la situazione. Dopo poco una degli amministratori mi ha chiesto se avessi voluto provare a sostituirla. Lei stava per andarsene e mi ha offerto di prendere il suo posto. E mi sono detto: “Perché no se posso essere di aiuto a qualcuno? Far parte di questo movimento per un po' sarà anche un aiuto per ucraini, russi e bielorussi. Così ho iniziato a lavorare per Pristanište.
Da un lato, la situazione è opprimente, tragica, dolorosa, assurda e incomprensibile. Dall'altro, non avrei incontrato Taya se non fosse stato per tutto questo. Non avrei incontrato anche altre persone, sia russe, che ucraine. Se una persona parla ucraino, io rispondo in ucraino e mi piace parlare la mia lingua madre qui, lontano da casa, anche se per la maggior parte della mia vita ho comunicato in russo. So che resterò in Montenegro per molto tempo e ho bisogno di integrarmi in qualche modo.
Chi è che arriva in Montenegro? La maggior parte dei rifugiati va in altri luoghi, perché il Montenegro non fornisce alcun sostegno pubblico agli ucraini, tanto meno agli altri.
Svetlana: Arrivano vari tipi di persone. Per quanto riguarda gli ucraini, le situazioni sono diverse. Innanzitutto ci sono persone che non hanno più niente e hanno bisogno di aiuto, ma non vedono l'ora di essere indipendenti, di trovare un lavoro, di affittare un appartamento. E noi li aiutiamo in questo. Poi ci sono ucraini che non avevano mai lasciato il paese. Tra loro ci sono molte persone anziane bisognose di sostegno che non riescono ad orientarsi nel contesto occidentale. Per loro è difficile. E il Montenegro sembra un luogo più familiare: la lingua montenegrina è puittosto simile all'ucraino. In più noi organizziamo corsi di lingua.
Per quanto riguarda i russi, non hanno molta scelta [perché hanno bisogno di un visto]. Il Montenegro non gli chiede il visto per cui un cittadino russo può rimanere per molto tempo. Una volta al mese deve attraversare il confine e lasciarlo con la possibilità di rientrare subito. In caso di rifugiati politici, perseguiti dalle autorità russe, possono restare in Montenegro come in un hub di transito. Vengono qui e aspettano che siano pronti i documenti per arrivare in un paese che li accetti.
Per la nostra Fondazione abbiamo scelto il nome Pristanište, che in montenegrino significa “porto”. L'idea è che per due settimane puoi semplicemente fermarti qui, in un porto tranquillo, in un posto sicuro, in un ambiente amichevole, per pensare a cosa fare dopo.
Come è organizzata la vostra Fondazione? Chi è coinvolto e cosa fate esattamente?
Svetlana: Pristanište è un progetto basato sul volontariato. Nel corso di quest'ultimo anno ci hanno aiutato circa 500 persone in totale. Alcune danno una mano una tantum, altre lo fanno regolarmente. I volontari aiutano in vari modi. In primo luogo, ci sono volontari che entrano in contatto direttamente con le famiglie dei rifugiati. È un sistema di tutoraggio. Questa persona funge da ponte tra la Fondazione e le persone che ricevono assistenza. Un altro volontario conosce queste persone, diventa loro amico e le accompagna. Volontari possono essere gli autisti che ci aiutano con i trasferimenti e i trasporti, gli psicologi o le persone responsabili del marketing e del design dei social media. Abbiamo bisogno del loro aiuto perché organizziamo vari eventi. E tutti sono volontari.
Per quanto riguarda la raccolta fondi, la Fondazione è stata istituita con il finanziamento dei soci fondatori, molti dei quali sono nati in Russia e sentono la responsabilità. Successivamente, abbiamo iniziato a raccogliere fondi pubblici organizzando eventi speciali. Questi fondi coprono un terzo dell'importo necessario, che è parecchio. Poi, naturalmente, ci sono le donazioni più preziose che provengono da quei rifugiati che abbiamo ospitato in passato: i nostri ex inquilini ci hanno donato 5.000 euro in totale. Non appena riescono a riprendersi, tornano con una piccola donazione a cui teniamo molto.
Andrey: Io mi occupo di trovare alloggi disponibili se ci sono richieste. Mi assicuro che le stanze siano libere e pulite e di fornire alle persone quando arrivano un kit base di generi alimentari.
Come è strutturata la Fondazione? Come vengono prese le decisioni?
Andrey: È tutto molto facile e le pratiche burocratiche per registrare le persone sono piuttosto semplici. Per prendere decisioni bisogna parlare con qualcuno, ma non c'è burocrazia, non devi compilare nessun documento.
Svetlana: È una struttura orizzontale basata sull'auto-organizzazione. Io sono la direttrice generale della Fondazione, ma in realtà sono la prima volontaria.
Andrey: I nostri volontari, o tutor, che sono qui dall'inizio di questa aggressione senza senso, possono dare una mano con la registrazione, i documenti e la ricerca di un lavoro. Inoltre, offriamo assistenza psicologica.
Il 5 marzo la Fondazione ha celebrato il primo anniversario. Cosa è stato fatto finora?
Svetlana: Finora 700 persone hanno usufruito degli alloggi forniti dalla nostra Fondazione, 30 famiglie per volta. Hanno avuto la possibilità di soggiornare in un appartamento singolo ma c'è anche un'area comune per socializzare. 2.000 persone hanno ricevuto assistenza di diverso tipo (quelle che non avevano bisogno di alloggio). Inoltre, abbiamo organizzato laboratori per bambini per tenerli occupati e dare ai genitori il tempo di cercare un'occupazione. Ci sono poi varie attività per gli adulti, tra cui proiezioni di film, club di lettura, lezioni di storia dell'arte, inglese e matematica.
E cosa succede ai bambini che hanno bisogno di proseguire gli studi?
Svetlana: Abbiamo organizzato un programma speciale per bambini, che è uno dei più difficili da portare avanti. Inizialmente, pensavo che sarebbe stato facile raccogliere fondi per loro, ma abbiamo scoperto che le persone tendono a considerare l'istruzione per i rifugiati un privilegio eccessivo. Ci sono stati periodi in cui abbiamo pagato le lezioni dei bambini. Se, per esempio, i bambini giocavano a calcio a Mariupol, è bene che continuino a farlo anche qui, svolgendo un'attività consueta che amano. A volte copriamo le spese per le scuole private. Generalmente c'è la possibilità per un bambino rifugiato di accedere ad una scuola pubblica montenegrina, ma per gli studenti delle scuole superiori è molto complicato: già provati dallo shock devono inserirsi nella scuola montenegrina, dove niente ha più senso.
Andrey: In una della case affittate dalla Fondazione c'è uno spazio pubblico dove i nostri ospiti possono incontrarsi liberamente, sedersi e chiacchierare e periodicamente sono organizzati delle iniziative. Ad esempio, ci sono corsi di matematica per bambini e adulti, corsi di lingua montenegrina e corsi di inglese. Adesso c'è anche un corso di storia dell'arte per bambini. Abbiamo una collaborazione con uno studio di ceramica dove adulti e bambini possono lavorare alle proprie creazioni. Gleb, un bambino di 10 anni che conosco, ha realizzato una coppa fantastica. C'è un deposito per le cose che portano le persone e tutti i nostri residenti possono prendere tutto quello di cui hanno bisogno. Se hanno bisogno di qualcosa, vanno e lo prendono.
Russi e ucraini condividono le stesse case? C'è qualche tensione tra loro?
Andrey: No, non c'è alcun problema. Persone provenienti da Ucraina, Russia, territori occupati dai russi e territori controllati dagli ucraini vivono in stanze vicine. E non c'è tensione.
Sveta è stata così gentile da invitare tutti a casa sua per il Capodanno. C'ero io che vengo dall'Ucraina, Taya dalla Russia e circa altre 30 persone provenienti dalla Russia e dall'Ucraina, uomini e donne, venuti per per festeggiare. Abbiamo guardato il discorso di Zelensky, non quello di Putin, certamente. Ha commosso tutti. È stato toccante. Qui sono tutti nella stessa barca. E, fortunatamente, le persone non sono esposte alla mostruosa propaganda russa. Qui tutti capiscono quanto sia tragica e difficile la situazione.
Svetlana: Lascia che spieghi perché ci sono russi e ucraini che vivono insieme. La prima coppia che ci ha raggiunto era di Kharkiv. Diana, una cittadina ucraina, e Sasha, dalla Russia, che a quel tempo era già stato indicato [dalle autorità russe] come agente straniero. Inizialmente [prima di incontrare questa coppia russo-ucraina], abbiamo discusso su quale sarebbe stato il modo più appropriato per organizzare l'alloggio: una casa per le famiglie ucraine e un'altra casa per gli altri? Ma fortunatamente questa divisione non è stata necessaria e, come possiamo vedere, è una buona cosa. Attualmente persone di diversi paesi parlano e trovano sostegno reciproco l'una nell'altra.
Che lingua usate per comunicare con i vostri ospiti?
Svetlana: Nelle nostre case [quelle fornite dalla Fondazione], si sente parlare sia ucraino che russo, e tutti si capiscono.
Qual è la storia che vi ha colpito di più?
Svetlana: Dietro ogni persona c'è una storia incredibile.
Ne racconto una. Tre amici di Kharkov hanno lasciato la città poco prima che una granata colpisse il cortile che condividevano. Sono partiti insieme ma per strada una di loro si è persa. Gli altri due hanno perso i contatti con lei e non era chiaro se avesse trovato un modo per lasciare l'Ucraina. Mentre erano in viaggio, i due rimasti hanno deciso di andare a Pristanište perché in qualche modo avevano sentito parlare della nostra Fondazione. Quando sono arrivati da noi erano ancora preoccupati di dove fosse la loro amica, Tatyana. Dov'era andata? Il giorno dopo sono riusciti a mettersi in contatto con lei, chiedendole: “Dove sei? Sei riuscita a lasciare l'Ucraina? Noi sì!" E lei ha risposto: “Anch'io!” “E dove sei adesso? Noi siamo in Montenegro”. E lei ha risposto: “Anch'io!” “Noi siamo a Pristanište, tu dove sei?” “Anch'io sono a Pristanište!” Tutti e tre sono arrivati in una delle nostre case, ti rendi conto? È stato un incontro in cui abbiamo pianto tutti lacrime di gioia. Perché lei era viva e finalmente tutti e tre si erano ritrovati. Poi sono andati insieme per la loro strada.
Un'altra storia. Abbiamo ospitato Inna e sua figlia Sasha che ha dodici anni e un grave disturbo motorio. Noi siamo l'unica Fondazione in Montenegro che accetta persone con disabilità. Prima dell'invasione, Inna viveva nella regione di Odessa, in una piccola abitazione. La casa è rimasta senza elettricità e noi, a distanza, le abbiamo aiutate a lasciare il paese: c'era bisogno di un autobus. Per dodici anni, Inna ha trascorso ogni minuto del suo tempo accanto alla figlia. Il padre di Sasha l'ha rifiutata fin dall'inizio. Qui, da noi, Inna ha conosciuto un centinaio di amici, ha del tempo libero, la possibilità di andare a un concerto, a una festa, semplicemente di uscire. Esce con Sasha per fare una passeggiata e noi la aiutiamo con una sedia a rotelle. È bello quando dopo essere stato costretto a iniziare una nuova vita, ti piace e vuoi anche viverla.
Come vedete il futuro del dopoguerra per la Russia e le relazioni russo-ucraine?
Andrey: È una questione complicata, ne sono estremamente convinto. Sfortunatamente, c'è molto dolore, molte vite spezzate e case distrutte. Troppe persone non hanno un posto dove tornare e questo, ovviamente, ha un impatto enorme su tutti noi.
In primo luogo, credevo, credo e crederò fermamente nel futuro dell'Ucraina: l'Ucraina vincerà, l'Ucraina resisterà e l'Ucraina non sarà spezzata da nulla, in nessun modo, in nessuna circostanza.
Per quanto riguarda le relazioni con la Russia, vorrei che fossero come quelle tra noi qui, ora. Peccato che probabilmente non sarà così. Se le persone che ora affermano che l'operazione speciale sta andando secondo i piani e che la Russia sta combattendo per la giusta causa si rendessero conto dell'orrore di questa situazione, dell'atrocità delle loro parole, allora forse dopo un po' di tempo, molto tempo, potremo parlare di un certo grado di convivenza pacifica. Se i russi avranno abbastanza coraggio per capire e chiedere perdono, e se gli ucraini avranno abbastanza forza per provare a perdonare, le cose potrebbero funzionare. Tuttavia, capisco quegli ucraini che non perdoneranno e non vorranno averne a che fare. Nei prossimi anni probabilmente non ci saranno rapporti amichevoli diretti, niente “popoli fraterni”, anche dopo la guerra.
Molte persone si sorprendono di me, della mia posizione. Come riesco serenamente a comunicare in russo o come faccio a parlare senza provare aggressività nei confronti delle persone russe? Non è la lingua che ci separa. Sono le nostre azioni. Se qualcuno può dare una mano in questa situazione, lo fa e non importa quale lingua parli, russo, ucraino, bielorusso, georgiano o inglese.
Svetlana: In generale la missione della nostra Fondazione è costruire una comunità. È ovvio che bisogna avere un tetto sulla testa, cibo, vestiti: queste sono le basi. Ma quello che stiamo facendo intenzionalmente è creare una comunità accogliente, dove le persone possano parlare tra loro. Non evitiamo domande dolorose. Ogni sera abbiamo persone che parlano apertamente delle esperienze vissute in Russia o in Ucraina. E queste esperienze ci dicono che questa guerra finirà. E dopo che sarà finita, le persone rimarranno probabilmente in contatto tra loro. Hanno bisogno di parlare. E sono sicura che ci saranno vari programmi volti a costruire un dialogo tra le persone. Noi stiamo già creando un ambiente affinché ci sia questo dialogo.
Ma non uniformiamo il loro dolore, né le loro disgrazie. Russi e ucraini si trovano in situazioni completamente diverse: una cosa è una minaccia di reclusione, un'altra è una bomba sulla tua testa. Ma tutti capiamo che queste cose orribili hanno la stessa origine e che le persone hanno bisogno di unirsi. È possibile resistere alla guerra e non lasciarla insinuare ovunque. Da qualche parte dovrebbe esserci una linea di confine, un confine che la guerra non può oltrepassare. Pristanište è una zona libera dalla guerra.
Immagine in anteprima via posle.media