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“Prime”: dieci donne che hanno cambiato le scienze ambientali

7 Ottobre 2023 9 min lettura

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“Prime”: dieci donne che hanno cambiato le scienze ambientali

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Il contributo femminile nei vari campi degli studi scientifici e umanistici occupa una parte importante del discorso pubblico attraverso convegni, incontri e pubblicazioni. Nel contesto di questo dibattito va inserito il libro Prime. Dieci scienziate per l’ambiente, edito da Codice e curato da Mirella Orsi e Sergio Ferraris. Orsi è chimica ed esperta in divulgazione scientifica, mentre Ferraris è un giornalista specializzato in scienza e tecnologia. Arricchito da una prefazione di Maurizio Melis, questa panoramica delle principali scoperte scientifiche fatte da donne abbraccia tutta l’epoca moderna e contemporanea.

La storia delle dieci scienziate è affidata ad altrettanti narratori e narratrici con un retroterra scientifico, in numero assolutamente equo fra donne e uomini. Si tratta di una selezione, come sottolineano i curatori nella prefazione, in quanto la lista delle scienziate che hanno contribuito allo sviluppo delle conoscenze umane in campo scientifico è naturalmente molto più lunga. La selezione ha seguito un criterio comune, ovvero in quale modo le scoperte di queste scienziate hanno avuto un impatto fondamentale sull’ambientalismo e sull’ecologia. Vere e proprie pioniere, dimenticate oppure variamente svalutate, nonostante l'attenzione che le loro scoperte avevano attratto da parte della scienza istituzionale – ovvero quella capitanata dagli scienziati uomini inseriti nei circuiti accademici – meritano oggi di essere riconosciute, e le loro storie raccontate anche a titolo di esempio. In quanto destinate all'oblio, non sono studiate sui libri di scuola, né conosciamo le loro storie, i risvolti e le vicende anche personali, come invece accade con le vite dei grandi scienziati.

Si tratta quindi di una serie di ritratti ricavati a volte da fonti molto carenti, come è il caso di Maria Sibylla Merian – raccontata da Giorgia Marino, giornalista specializzata in ecologia e ambiente – le cui appassionate ricerche nell’ambito dell’entomologia dimostrano un approccio che si potrebbe definire ecologico, nonostante, come sottolinea l’autrice, la nascita dell’ecologia come scienza venga tradizionalmente datata al 1799 con la partenza di Von Humboldt per il Sud America. Il ritratto vede invece la scienziata svizzera naturalizzata olandese dedicarsi fin dalla seconda metà del Seicento a esperimenti che gettano le basi della mentalità ecologica, e che per varie ragioni nell’Ottocento erano già finiti nel dimenticatoio. Come ricorda Marino, l’approccio ecologico allo studio della natura è invece oggi al centro dell’interesse accademico. A ciò si potrebbe aggiungere che la stessa postura viene attualmente adottata anche nel vasto campo delle scienze umane, a dimostrazione di quanto le ricerche di Merian possano oggi esserci utili per comprendere un mondo che sembra sfuggirci di mano.

La storia di Jeanne Baret – raccontata dalla giornalista e divulgatrice scientifica Giorgia Burzachechi – è particolarmente toccante. Nata in Borgogna, antesignana nello studio della botanica, Baret sviluppa un interesse particolare per la coltivazione e le proprietà delle erbe. Dopo essersi trasferita nella Parigi di Luigi XV, la scienziata partì per una spedizione con il suo mentore, Philip Commerson, noto per aver accompagnato il navigatore Louis Antoine de Bougainville nella circumnavigazione del globo nella seconda metà degli anni ’60 del Settecento. Quell’impresa costrinse Baret a travestirsi da uomo e tentare di passare inosservata dall’equipaggio al seguito del Bouganville. Come si può immaginare, la vicenda ebbe dei risvolti drammatici; eppure, durante questo viaggio avventuroso oltre ogni possibile immaginazione, la contadina francese, partita al seguito del naturalista ufficialmente per prendersi cura di lui, ma in realtà svolgendo tutto il lavoro di ricerca, scoprì la pianta che oggi adorna i nostri terrazzi estivi, specie nelle località di mare: la bouganville, così chiamata in omaggio al comandante della spedizione.

Anche la vita di Eunice Newton Foote, raccontata da Mirella Orsi, curatrice della raccolta, ci dice molto della condizione in cui operavano le scienziate ancora nella seconda metà dell’Ottocento. Un suo studio dedicato al calore del sole venne pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica The American journal of science and arts nel 1856. Nello studio la scienziata sintetizzava otto mesi di ricerche, trascorsi esaminando i gas che compongono l’atmosfera e confrontandoli con l’aria comune. A oggi è la prima pubblicazione conosciuta di una donna nel campo della fisica. Citata in vari luoghi per un paio di anni, cadde poi nel solito dimenticatoio quando, nel 1859, il fisico irlandese John Tyndall pubblicò il suo studio alla base delle nostre conoscenze di quelli che oggi chiamiamo i gas serra. Nel giro di tre anni, quindi Eunice Newton Foote fu dimenticata e il suo contributo si perse nei meandri degli archivi, per venire recuperato solo di recente. La storia di Newton Foote è esemplare di come la rilevanza di un progetto di ricerca si valuti in base ai mezzi, alla posizione sociale e ai legami con l’accademia istituzionale, a lungo riservati esclusivamente agli uomini.

Il quarto saggio, del giornalista e ambientalista Davide Mazzocco, è dedicato a un personaggio il cui ruolo nella storia dell’ecologia è stato di importanza enorme: si tratta di Rachel Carson, autrice di un’opera magistrale, Primavera silenziosa, che diede il via alle lotte ambientaliste degli anni ’60 del Novecento. Riedito recentemente in Italia da Feltrinelli, lo studio di Carson ha segnato una delle grandi stagioni di lotte contro gli insetticidi. Il caso di Rachel Carson differisce da quelli precedentemente illustrati, poiché la scienziata fu assunta come biologa marina dal governo americano, e la sua ricerca riscosse l’interesse di uno dei più importanti editori statunitensi, Simon&Schuster, che le suggerì di trasformare un suo articolo in libro. 

La scrittura scientifica fa quindi parte della vita professionale della scienziata, il cui operato venne riconosciuto presto come autorevole. Il mastodontico lavoro di ricerca compiuto da Carson a cavallo fra gli anni '50 e '60 sulla contaminazione da pesticidi e diserbanti resero la sua pubblicazione una pietra miliare nella storia dell’ambientalismo. Naturalmente Carson pagò il prezzo della straordinarietà della sua ricerca quando le aziende chimiche scatenarono una campagna diffamatoria contro di lei, accusandola come da copione di essere “una isterica”. Chiunque conosca la storia delle donne sa che l’accusa più comune rivolta alle figure femminili più rivoluzionarie è di isteria, assieme a un generale accordo sul fatto che la donna è in fondo affetta da una naturale incapacità di gestire le proprie emozioni. Descritta dall’allora ministro per l’Agricoltura come “zitella senza figli” e probabile comunista, Carson acquistò maggiore popolarità proprio perché attaccata in modo particolarmente virulento, ma fortunatamente il suo libro godette del sostegno del presidente Kennedy.

Il capitolo dedicato da Paola Bolaffio, giornalista esperta in sviluppo sostenibile, alla chimica ungherese Mária Telkes non è meno appassionante. Naturalizzata americana nel 1937, Telkes è ingaggiata nel più importante centro di ricerca degli Stati Uniti, il MIT di Boston, ambiente al solito tutto maschile, per collaborare con il Solar Energy Conversion Project, grosso progetto di ricerca sull’energia solare. Nel 1950 la troviamo, con altre tre donne su novantotto relatori, a un simposio dedicato al riscaldamento con l’energia solare, dove presenta il suo progetto su una casa interamente riscaldata dal sole. Nonostante le difficoltà del suo progetto, dovute a differenze di vedute nell’ambiente scientifico in cui operava, le tecnologie di Telkes per il riscaldamento e la ventilazione solare sono usate ancora oggi.

Attualmente l’oceanografia è una disciplina che riveste importanza fondamentale nella salvaguardia dell’ambiente, ma pochi sanno che una pioniera leggendaria dello studio dei fondali oceanici è stata Sylvia Earle, a cui Ivan Manzo, economista ambientale specializzato in biodiversità, ha dedicato il sesto ritratto di questa raccolta. Il danno causato dagli uomini all’ambiente marino è al centro dell’iniziativa Mission Blue, che chiama a raccolta i maggiori esperti globali allo scopo di ispirare una presa di coscienza pubblica che porti alla creazione di aree marine protette. Ogni anno circa otto milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono in mare, che viene ingerita dai pesci e ritorna così in circolo nei nostri corpi. Questo fenomeno unito alla pesca eccessiva sta creando zone morte oceaniche, che sono al centro del lavoro di ricerca e dell’attivismo di Sylvis Earle, con l’istituzione di zone protette e il coinvolgimento delle istituzioni locali e globali. L’obiettivo del progetto è molto ambizioso, e consiste nell’arrivare a tutelare almeno il 30% del mondo naturale entro il 2030. Una di queste zone si trova in Italia, nelle isole Eolie, quindi il lavoro di Earle non ci coinvolge solo per la sua portata globale ma anche per la sopravvivenza dell’ambiente marino che ci riguarda da vicino.

Come non ricordare, in una raccolta di biografie così ricca e significativa, anche la vita straordinaria di Dian Fossey, a cui è dedicato il saggio del co-curatore del libro, Sergio Ferraris? Fossey è celebre per il suo libro Gorilla nella nebbia (da cui fu tratto un famoso film con Sigourney Weaver) in cui descrive la sua esperienza nel Ruanda, dove fu la prima studiosa ad avvicinare questa specie ritenuta all’epoca molto pericolosa, e a decifrarne la struttura sociale e il comportamento. Fossey è nota anche per la sua guerra ai bracconieri, che catturavano femmine e cuccioli per venderli agli zoo, e questo suo impegno in prima persona le costò la vita. La sua vicenda si intreccia a quella di Rachel Carson, poiché proprio negli anni cui la scienziata individuava i rischi dell’uso massiccio di sostanze chimiche in agricoltura, Fossey si trovava sui monti Virunga, all’epoca assediati dalla monocultura della varietà di crisantemo da cui si estrae il piretro, considerato una valida alternativa del DDT di cui proprio Carson osservava l’effetto tossico.

Ma la biografia di “colei che vive sola nella foresta”, nylramacibili, come la chiamavano i ruandesi, incontra anche quella di Jane Goodall, a cui è dedicato il capitolo scritto da Gabriele Vallarino, giornalista e biologo esperto in biodiversità, avendo entrambe studiato a Cambridge. Goodall è di gran lunga una delle più note etologhe al mondo, la cui eredità è stata raccolta dall'omonimo istituto, una no-profit attiva in ventuno paesi al mondo che sostiene progetti di ricerca per la salvaguardia degli scimpanzé e vari programmi di sensibilizzazione dei giovani verso l’ambiente. La scienziata, oggi novantenne, è ancora incredibilmente attiva e rappresenta un modello di donna che ispira le giovani ricercatrici di tutto il mondo.

Il nome di Laura Conti è legato al disastro di Seveso, uno dei momenti più cupi della storia nazionale. Nel luglio del 1976 un guasto al sistema di raffreddamento dell’industria chimica che fa capo alla multinazionale La Roche disperse grandi quantità di diossina nell’aria, causando un disastro ambientale di proporzioni mai viste prima. È qui che entra in scena Conti – la cui storia è raccontata da Simona Falasca, giornalista e ambientalista – che fin dai primissimi giorni dopo la catastrofe si schiera con la popolazione locale, abbattendo il muro di omertà in cui venne da subito avvolta la dinamica dell’incidente da parte delle istituzioni e dai media. Consigliera della Regione Lombardia e segretaria della Commissione sanità e ecologia, Laura Conti ha un ruolo determinante nel far conoscere al pubblico le quantità esatte di gas disperso nell’aria. Nel suo saggio Visto da Seveso, edito nel 1976 da Feltrinelli e oggi fuori catalogo, sono descritte tutte le circostanze in cui avvenne l’indagine sulla vicenda. Sui bambini dai volti deturpati dal gas, Conti scriverà poi un romanzo molto toccante, Una lepre con la faccia da bambina, edito da Fandango.

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Il saggio su Dana Meadows, del fisico Matteo Martini, ci parla della difficoltà di veder riconosciuto il proprio lavoro intellettuale nell’ambito dello sviluppo di software avveniristici. È il caso di World3, un modello che ricava l’evoluzione nel tempo di un sistema complesso come l’ecosistema del pianeta, considerando le variabili direttamente correlate con l’impatto antropico. Un progetto non solo fondamentale per comprendere le conseguenze ambientali dell’eccessivo sviluppo delle attività umane, ma che si rivela anche esemplare per comprendere le dinamiche di genere che sottendono a questo tipo di lavoro. Dal suo progetto, Meadows ricavò nel 1972 il volume I limiti dello sviluppo, che fu bandito in Unione Sovietica e suscitò una reazione altrettanto avversa da parte dell’amministrazione Nixon.

Come vediamo chiaramente da queste storie, il contesto in cui una ricerca viene accolta e il ruolo di chi la conduce influenzano la fama di uno studio. La questione di genere è centrale nell’ambito delle scienze, ma quello umanistico non differisce in nulla da ciò che viene raccontato in questa illuminante raccolta di saggi. La situazione rimarrà invariata fino a quando il sistema accademico non deciderà di slegare il genere dalla qualità della ricerca, e di abbandonare una logica della carriera accademica ancora troppo essenzialista. Prime offre ai lettori uno spettro molto ampio del contributo delle donne alla ricerca scientifica, delle difficoltà legate al genere, e soprattutto scoperchia molte questioni ancora oggi di grande attualità. Offre infatti  al lettore casistiche impressionanti in cui il lavoro delle donne è stato nei secoli ostacolato dalla struttura patriarcale e dalla scarsa fiducia nella capacità e nella lucidità espressa dall’operato femminile. Una lettura illuminante, scorrevole, informativa e allo stesso tempo appassionante, Prime non è solo un racconto del lavoro intellettuale femminile, è anche uno strumento utile per conoscere questioni poco trattate nei media eppure vitali nella comprensione della questione ambientale.

Immagine in anteprima via libreriauniversitaria.it

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