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Prevenire l’HIV è possibile, ma in Italia è difficile accedere alla profilassi pre-esposizione (PrEP)

1 Dicembre 2021 6 min lettura

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Prevenire l’HIV è possibile, ma in Italia è difficile accedere alla profilassi pre-esposizione (PrEP)

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di Roberta Cavaglià

A poche settimane dalla Giornata internazionale contro l’AIDS, indetta come ogni anno l'1 dicembre, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha diffuso i dati sulle nuove diagnosi di infezione da HIV in Italia. «Rispetto al 2019, il numero di nuove diagnosi di HIV è quasi dimezzato», spiega Barbara Suligoi, responsabile del Centro Operativo AIDS dell’ISS nel comunicato stampa ufficiale, «e questo è molto probabilmente da ricondurre alla pandemia da Covid-19 e alle conseguenti restrizioni di circolazione e di aggregazione». Se infatti nel 2019 il numero di nuovi casi era 2.531, nello scorso anno è sceso a 1.303, confermando una tendenza al ribasso che prosegue dal 2012.

Come segnala però la Lega italiana per la lotta contro l’AIDS, non si tratta di un risultato totalmente confortante: il sistema di rilevazione nazionale presenta da tempo varie criticità – di cui solo alcune legate alla pandemia – che riguardano l’assenza di dati sul numero complessivo di test eseguiti, la mancanza di comunicazione tra i registri dei casi di HIV e di AIDS e i ritardi di notifica delle segnalazioni. Lo stesso Notiziario dell’ISS specifica a più riprese che, oltre alle restrizioni, le nuove diagnosi del 2020 potrebbero essere sottostimate a causa del ridotto numero di test effettuati: la pandemia ha infatti limitato non solo l’accesso spontaneo al test, ma anche l’offerta del test da parte dei servizi sanitari e l’organizzazione di iniziative di screening. A preoccupare tuttavia è soprattutto il tipo di nuove diagnosi: il 60% arriva in ritardo, quando le persone presentano già una situazione immunitaria grave o sintomi di AIDS.

 «Questo ritardo pregiudica l’efficacia delle terapie antivirali», commenta la dottoressa Suligoi. «Mentre una terapia antivirale iniziata in fase precoce di infezione e in una persona giovane consente una qualità e un’aspettativa di vita analoghe a quelle di una persona senza HIV, una diagnosi tardiva e quindi un inizio tardivo di terapia riduce le probabilità di successo», conclude. Inoltre, i cosiddetti late presenters potrebbero aver involontariamente trasmesso l’HIV ad altre persone, alimentando un sommerso di casi non ancora rilevati che secondo l’ISS va dalle 13.000 alle 15.000 diagnosi.

Gli strumenti di prevenzione esistono: in Italia, però, non tutti vengono promossi sul territorio come invece prevedrebbe il Piano Nazionale AIDS 2017-2019, ormai scaduto da due anni. Tra questi, la profilassi pre-esposizione (PrEP), un farmaco che protegge dall’HIV in caso di rapporto a rischio con persone sieropositive e non ancora in terapia. Autorizzata dall’Agenzia Europea per i medicinali (EMA) nel 2016, la PrEP consiste in un’unica compressa che contiene due medicinali, tenofovir DF ed emtricitabina, e che può essere presa in maniera continuativa o al bisogno, seguendo un preciso schema di assunzione. Viene prescritta da un infettivologo dopo aver eseguito una serie di test contro l’HIV e altre malattie sessualmente trasmissibili: gli stessi test vengono ripetuti ogni tre mesi per tenere sotto controllo lo stato di salute dell’utente. Il farmaco originale si chiama Truvada ed è prodotto dall’azienda biofarmaceutica statunitense Gilead Sciences: nelle farmacie italiane si trovano due versioni generiche che costano circa 60 euro per 30 compresse. Nonostante sia prescrivibile dal 2017, la PrEP attualmente non è rimborsata dal sistema sanitario nazionale.

«Non posso permettermi di spendere 60 euro ogni mese, quindi sono costretto alla modalità on demand, che per come sono fatto io non è il massimo», racconta Salvo Maugeri, volontario di PLUS e counselor del BLQ checkpoint, che ha iniziato a prendere la PrEP nel 2019. In molti Stati europei come Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Danimarca e Croazia, la PrEP è completamente gratuita: i centri che la prescrivono in Italia, invece, riescono a coprire solo il costo delle visite e dei test di controllo, mentre l’acquisto del farmaco rimane a carico dell’utente. Ad oggi, «la PrEP è uno strumento di prevenzione elitario, il che rappresenta un problema per le persone più fragili e per i giovanissimi, che sono però più esposti al rischio di contrarre il virus dell’HIV», spiega Daniele Calzavara, coordinatore del Milano Check Point, il centro extraospedaliero italiano che segue il maggior numero di utilizzatori della PrEP (circa 600).

“La profilassi pre-esposizione ha dimostrato una riduzione elevata del rischio, un suo impiego massiccio farebbe scendere drasticamente i contagi da HIV ma rimangono difficoltà nell’accesso e nell’aderenza alla terapia”, ha spiegato Silvia Nozza, infettivologa presso l’Ospedale San Raffaele di Milano durante la 13a edizione del "Congresso ICAR - Italian Conference on AIDS and Antiviral Research", organizzato a Riccione con il patrocinio della Simit, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. Tuttavia, riporta il Quotidiano Sanità, se è vero che la PrEP pone al riparo dai contagi da HIV, se si eliminano altre protezioni potrebbe esserci il rischio di contrarre altre Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST): "si stima infatti un incremento del 25% circa di IST nei soggetti che fanno uso di PrEP, sebbene questo dato sia alimentato anche da un elemento fittizio, visto che coloro che accedono alla profilassi fanno test regolarmente ogni 3-4 mesi a cui la popolazione generale non si sottopone".

«Crediamo, e le ricerche lo dimostrano, che la PrEP sia fondamentale per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’ONU per il 2030, e tra questi la sconfitta dell’AIDS», afferma Calzavara. In Italia, tuttavia, «per avere dei dati ufficiali sulla diffusione della PrEP servirebbe un interesse che non hanno né la politica né la sanità», commenta Sandro Mattioli, presidente del BLQ checkpoint, il primo centro community based peer oriented in Italia, aperto dal 2015. Al suo interno è attivo uno sportello dedicato alla PrEP dal 2018 che attualmente segue circa 150 persone, ma «le richieste sono in continuo aumento, al punto che abbiamo dovuto attivare una lista d'attesa».

Esistono, inoltre, ancora molti pregiudizi legati alla PrEP. «C’è chi ti tratta come se fossi più pericoloso di altri e spesso mi è capitato di leggere su Grindr [ndr, la più grande app di social netwrok per gay, bi, trans e queer] "no prep" fra le varie cose scritte sulle presentazioni del profilo di una persona», racconta Mirco Costacurta, dottorando in Scienze Sociali all’Università degli Studi di Padova e sceneggiatore del cortometraggio sull’HIV “non riVeLabili”. Un altro stereotipo legato alla PrEP riguarda poi la presunta promiscuità e irresponsabilità di chi la usa. In realtà, «come dimostra invece la mia storia e quella di tante altre persone, la PrEP è una presa di responsabilità verso noi stessi e noi stesse e verso le persone con le quali facciamo sesso», spiega Bastian, attivista per i diritti sessuali, nel suo discorso alla tredicesima edizione dell’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research. Eppure, a quattro anni dall’introduzione di questo farmaco in Italia, «il lavoro di informazione viene affidato alle persone che stanno su Grindr invece di essere svolto alle istituzioni adibite alla prevenzione. Penso che lasciare tutto questo lavoro a noi, come se fosse una cosa clandestina o "per pochi" sia una forma di stigmatizzazione da parte del servizio sanitario nazionale», aggiunge Mirco. Per questo motivo e per chiedere la rimborsabilità della PrEP, un gruppo di associazioni guidate da PrEP in Italia e PLUS hanno organizzato per il primo dicembre un sit-in a Roma, davanti alla sede del Ministero della Salute.  

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«La PrEP mostra l’elefante nella stanza, ovvero che non tutte le persone utilizzano il preservativo, nonostante i trent’anni di campagne sul tema», puntualizza Bastian nella sua testimonianza. E le motivazioni di chi usa la PrEP sono tutte molto personali e diverse tra loro: «Persone che non hanno mai usato il condom, persone che lo usano a volte, persone che vivono male la sessualità con il preservativo e alle quali la PrEP può restituire una vita sessuale piena e appagante», spiega Calzavara. E non solo: la PrEP è anche utile per chi fa sex work, per chi vive una relazione violenta e non può chiedere al proprio partner di usare il condom, per le donne e le persone con la vulva (che tuttavia possono assumere la PrEP solo in maniera continuativa in caso di rapporti vaginali ricettivi). «La PrEP non è soltanto un farmaco, né un protocollo sanitario: la PrEP è empowerment», riassume Bastian. «Mi ha permesso di avere una vita sessuale libera e consapevole, mi ha insegnato a essere onesto con me stesso e ad ammettere che posso avere dei comportamenti a rischio, ma non devo sentirmi in colpa perché usandola mi proteggo dall’HIV e riduco il danno monitorando la trasmissione di altre infezioni sessualmente trasmissibili».

Per lui e per molte altre persone in Italia, il futuro è un posto dove «la PrEP ha la stessa dignità del preservativo. Un futuro dove la cosa importante non sarà dire alle persone come devono fare sesso, ma fornire tutti gli strumenti di prevenzione che la medicina ad oggi ci mette a disposizione».

Immagine in anteprima: NIAID, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

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