Polonia: i movimenti di protesta che sfidano il potere in nome dei diritti e della democrazia
9 min letturaQuando si parla di Polonia il riferimento al populismo nazionalista è immediato sebbene alle ultime elezioni amministrative dello scorso ottobre si sia assistito ad un leggero cambio di tendenza almeno nelle grandi città. In costante crescita economica, il Paese è governato dall'ottobre del 2015 dal partito di estrema destra - Diritto e Giustizia (PiS) - che si oppone alle leggi democratiche europee attentando alla libertà e all'autonomia dei media, del sistema giudiziario e delle donne con le sue molteplici derive autoritarie tenute a freno dall'Unione europea. Ciononostante - o molto più probabilmente proprio per questo - come scrive Christian Davies in un articolo pubblicato sul Guardian, numerose sono le realtà di attivismo polacche che sono fiorite o stanno fiorendo nel paese registrando piccoli, grandi successi rispetto a varie questioni che stanno a cuore ai cittadini: dall'educazione sessuale alla qualità dell'aria e allo stato di diritto, dalle piste ciclabili e gli spazi pubblici alla trasparenza e alla partecipazione ai processi decisionali locali.
«L'ironia è che con Diritto e Giustizia al potere, le persone stanno iniziando ad aprire gli occhi sull'importanza dei diritti e del funzionamento delle istituzioni, capiscono quanto c'è da fare», ha dichiarato Katarzyna Batko-Tołuć, direttrice di Watchdog Polska, una ong di Varsavia che si occupa della tutela al diritto all'informazione. «Dopo l'adesione all'Unione europea, molti dei nostri problemi sono stati risolti e siamo diventati compiacenti e passivi. Ora che le persone vedono che la democrazia è a rischio, si rendono conto di quanto sia preziosa e che si deve fare qualcosa per proteggerla. Sono molto ottimista rispetto a quello che sta accadendo in Polonia».
Anche Patryk Białas, un ambientalista eletto da poco al consiglio comunale della città di Katowice condivide l'opinione di Batko-Tołuć: «Sta succedendo qualcosa, qualcosa è cambiato».
In effetti il quadro che si delinea si compone di più realtà impegnate, sparse sull'intero territorio nazionale, nonostante oggettive difficoltà.
Ambiente ed ecologia sono tra le “cause” che hanno spinto il maggior numero di cittadini ad organizzare manifestazioni di protesta. Tra queste una campagna condotta dagli attivisti locali, nella regione orientale di Podlasie, contro il disboscamento illegale da parte dello Stato di ciò che resta dell'antica foresta vergine di Białowieża che migliaia di anni fa si estendeva in tutta Europa e che è stata inserita nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. A differenza della parte bielorussa del sito (interamente classificato come patrimonio UNESCO), quella polacca è divisa in un parco naturale - dove l’abbattimento di alberi è vietato - e in una foresta commerciale gestita dal dipartimento forestale nazionale.
Ad aprile dello scorso anno, grazie anche alla pressione dei cittadini che hanno messo in atto varie iniziative, la Corte europea di giustizia ha emesso un parere definitivo secondo cui la Polonia aveva infranto le regole comunitarie consentendo un abbattimento di alberi indiscriminato. Purtroppo, però, l'adozione del provvedimento non ha scongiurato definitivamente il pericolo. Alla fine del mese di gennaio di quest'anno una coalizione di gruppi ambientalisti ha diffuso una dichiarazione congiunta in cui ha portato alla luce e criticato un nuovo tentativo da parte del dipartimento forestale di riavviare il disboscamento commerciale nella foresta. "Questa è una palese infrazione delle decisioni dell'UNESCO che può violare le direttive dell'UE e riaccendere il conflitto sulla nostra foresta. Le ferite inflitte da Jan Szyszko (ex ministro dell'Ambiente) alla foresta di Białowieża non si sono ancora risanate e il dipartimento forestale sta mettendo in atto un nuovo tentativo di disboscamento a fini commerciali", si legge nel comunicato.
Lo scorso anno, in Silesia, i residenti della regione si sono battuti - raggiungendo l'obiettivo lo scorso settembre - per la chiusura di uno stabilimento che si occupava della produzione, altamente tossica, di coke (carbone poroso ottenuto come residuo dalla distillazione secca del carbon fossile) che aveva provocato un peggioramento della qualità dell'aria e l'aumento dell'incidenza di tumori nella zona.
La vittoria è stata ottenuta con una campagna di pressione sostenuta dalla ong ClientEarth che dal 2008 si occupa di diritto ambientale aiutando cittadini e altre ong a intentare cause per la salvaguardia dei territori e della salute degli abitanti.
A Varsavia, un gruppo di genitori sta conducendo una campagna per fare pressione sulle autorità locali per combattere lo smog. Stessa iniziativa a Cracovia dove la qualità dell'aria è una delle peggiori in Europa (tra tutti i paesi dell'Unione europea la Polonia è la nazione con l'aria più inquinata).
Nel periodo invernale, col freddo, le città polacche soffrono di livelli di smog che arrivano a competere con luoghi notoriamente inquinati come Pechino. Nel rapporto pubblicato lo scorso anno dall'Agenzia europea dell'ambiente si legge che ogni anno oltre 45.000 polacchi muoiono prematuramente a causa della scarsa qualità dell'aria. Nessun'area si salva, neanche le zone di montagna. Il problema è in gran parte dovuto alla produzione di carbone: sono circa 19 milioni le persone che lo utilizzano per il riscaldamento. Per rendersi conto della portata del problema basti pensare che l'80 percento delle abitazioni private che usano il carbone negli stati appartenenti all'Unione Europea si trovano in Polonia. Comunemente indicato come "oro nero", il carbone è l'alternativa “casalinga” autonoma al gas russo ed è parte integrante della vita quotidiana del paese.
Quando lo scorso dicembre rappresentanti di tutto il mondo si sono riuniti a Katowice (a un'ora di viaggio da Cracovia dove il 19 dicembre 2017 è stata inaugurata la più grande unità di produzione a carbone d'Europa) per partecipare alla Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite la questione che più di tutte rimbalzava nei corridoi e nelle sale conferenze era la ricerca di una soluzione per diminuire gradualmente l'uso del carbone in Polonia fino ad arrivare alla sua completa eliminazione.
Sette anni fa, proprio a Cracovia, Andrzej Guła ed alcuni amici hanno fondato l'associazione Krakow Smog Alert per informare i cittadini sul problema dello smog in città.
Secondo quanto riportato da Guła il governo polacco non si preoccupa di allertare la cittadinanza quando viene superato il limite di sicurezza consentito e probabilmente non lo farà fino a quando l'inquinamento non violerà le leggi internazionali. Gula - ironizzando con amarezza - pensa che probabilmente il governo ritiene che i polacchi siano “speciali”. «Abbiamo polmoni d'acciaio», dice intervistato da PRI. «Siamo progettati appositamente per sopportare questo livello di smog».
Per coordinare le proprie attività coinvolgendo gli utenti e per pubblicare dati sulla qualità dell'aria e sui livelli emessi di materiale particolato - uno dei componenti più nocivi dello smog - Krakow Smog Alert ha creato una pagina Facebook seguita da più di 52.000 persone. Grazie alla pressione esercitata nel 2013 la città di Cracovia ha approvato una legge che vieta l'uso dei combustibili solidi come il carbone e sovvenziona i residenti che decidono di sostituire le vecchie caldaie. Il divieto dovrebbe entrare in vigore quest'anno.
Di diversa natura l'impegno dei cittadini della città di Poznań che si sono attivati organizzando una campagna per far conoscere all'opinione pubblica le accuse di pedofilia mosse contro la chiesa cattolica polacca.
A Varsavia Jan Lawrynowicz e Piotr Przytula hanno creato un gruppo di attivisti locali che ha scoperto l'esistenza di una serie di falsi account utilizzati per sostenere le scelte politiche dei funzionari locali. «Abbiamo scoperto a livello locale il tipo di meccanismo politico che si sta sviluppando in tutto il mondo», afferma Lawrynowicz. «È davvero spaventoso quanto sia facile manipolare le persone usando questi stratagemmi».
A Danzica, invece, prima che fosse brutalmente ucciso lo scorso 14 gennaio, il sindaco Pawel Adamowicz aveva promosso e presieduto numerose iniziative civiche. Nel 2016, la città ha istituito il primo "gruppo civico" della Polonia per sviluppare politiche sulla prevenzione degli allagamenti composto da 63 cittadini residenti scelti casualmente tra quelli inclusi nel registro elettorale locale per “aumentare il livello di impegno civico nelle aree più difficili della città”. Il comune di Danzica, inoltre, gestisce anche un “programma open data" attraverso il quale pubblica quotidianamente le spese sostenute.
«La società civile non riguarda l'assolutismo illuminato imposto dall'alto», aveva dichiarato Adamowicz in un'intervista rilasciata a New Eastern Europe nel 2016. «Si realizza attraverso l'attivismo di imprenditori e di persone che svolgono diverse professioni e hanno varie idee e mediante discussioni e confronti pubblici. È così che si crea la società civile. In Polonia discutiamo molto sui modi per far rispettare questo processo. Abbiamo progetti per raggiungere questo obiettivo, tra cui un bilancio dei cittadini, open data e consultazioni sui social. Certamente Internet e social come Twitter e Facebook hanno contribuito a creare un contatto diretto con i cittadini, nonostante aspetti negativi come l'hate speech. Nonostante questo, continuo a ritenere che il loro impatto sia maggiormente positivo che negativo».
L'ascesa di questi movimenti - secondo Davies - minaccia di rimodellare la politica del paese. Nelle aree urbane, per esempio, si è assistito a un aumento di movimenti cittadini e di reti di attivisti che sfidano i partiti politici tradizionali su questioni di governance, corruzione, pianificazione e ambiente. Alcune autorità locali hanno risposto a questa esigenza di trasparenza introducendo nuovi meccanismi di consultazione innovativi formando dei gruppi in cui volontari e cittadini, selezionati a caso, partecipano al processo decisionale della città e ai bilanci partecipativi.
Questo risveglio civico non si è sviluppato esclusivamente nelle roccaforti dell'opposizione liberale delle grandi città polacche e trova le sue radici in luoghi come Lubartów, una piccola città di poco più di 20.000 abitanti considerata il cuore pulsante del partito Diritto e Giustizia, dove nel 2011 (un anno dopo che la proposta del consiglio comunale di vendere la piazza del paese a privati era stata sonoramente bocciata) Elżbieta Wąs e Anna Gryta (promotrici del movimento contrario alla vendita della piazza) hanno organizzato un sondaggio di opinione a livello cittadino che ha costretto le autorità ad abbandonare un piano per costruire un impianto di trattamento dei rifiuti in una zona residenziale nei pressi del centro della città.
Ben presto, però, Wąs e Gryta hanno capito che protestare contro le singole decisioni, volta per volta, era insufficiente. Se però da un lato le autorità assumevano decisioni sbagliate senza consultare i residenti, dall'altro non era facile coinvolgere cittadini delusi e disillusi nella partecipazione al processo decisionale nel corso di incontri pubblici.
«Ci siamo rese conto che la colpa non è esclusivamente delle autorità», spiega Wąs. «Se la società non lo richiede, se non partecipa al processo di consultazione, se non è presente quando viene assunta la decisione, per le autorità non esistono motivi per avviare consultazioni». Per Wąs la difficoltà risiede anche nel fatto che molte persone non sono consapevoli del proprio diritto di chiedere informazioni mentre quelle che lo sanno hanno spesso paura di esporsi perché temono che le autorità lo percepiscano come un attacco. Il rapporto tra cittadini e autorità in molte zone della Polonia resta imprigionato in una cultura di segretezza e sospetto reciproco, con decisioni importanti prese a livello locale spesso fatte con poca, se non nessuna, consultazione pubblica.
«Quando non conosci i tuoi diritti, preferisci aspettare gli ordini di qualcun altro e pensi di non poter fare concretamente qualcosa», ha detto al Guardian Batko-Tołuć. «Le persone in Polonia sono libere, ma non sanno di essere libere, non si rendono conto di avere il potere di plasmare il proprio futuro. Nella mia esperienza, quando le persone iniziano a conoscere i propri diritti, cominciano ad essere molto sicure di sé».
Con l'esplosione dell'economia, la creazione di posti di lavoro, il rientro di numerosi cittadini polacchi in patria dopo esperienze di lavoro nei paesi dell'Europa occidentale, le aspettative nei confronti delle istituzioni pubbliche nell'offrire standard di vita adeguati sono cresciute. La prova evidente di questo cambiamento di mentalità è stato testimoniato dalle massicce proteste ambientali che si sono tenute lo scorso anno a Mielec, una città di 60.000 abitanti circondata da fabbriche che sono state accusate di inquinamento atmosferico e di aver scaricato sostanze tossiche nei corsi d'acqua.
«La città è stata in grado di crescere economicamente, ma sembrava che fosse sempre la stessa cerchia ristretta di persone esponenti dell'economia e della politica a dominare il Consiglio", racconta Mikolaj Skrzypiec rientrato a Mielec nel 2010 dopo 10 anni trascorsi a Londra. «Ci siamo resi conto che quello che stava accadendo non era giusto e che le autorità non stavano facendo nulla, così abbiamo iniziato a scattare foto e a raccogliere campioni da far analizzare a uno scienziato a Cracovia per far sì che le prove fossero ammissibili in tribunale. Una delle sostanze cancerogene presenti in uno dei campioni che abbiamo consegnato era un milione di volte - intendo letteralmente un milione di volte - superiore al livello previsto dalla legge».
La rabbia è esplosa a marzo dello scorso anno e 15.000 persone - un quarto degli abitanti della città - sono scese in piazza partecipando alla più grande protesta ambientale in Polonia svoltasi dopo il disastro di Chernobyl.
«È stata spontanea, organizzata dal basso sui social media da persone senza esperienze precedenti in campagne. Ero assolutamente sconvolto, davvero felice e orgoglioso del numero di persone presenti» spiega Skrzypiec. «C'erano operai, persone della classe media, persone di sinistra, persone di destra, tifosi di calcio, famiglie, persino impiegati della fabbrica contro cui protestavamo. Non lo dimenticherò mai».
Venerdì 15 febbraio anche in Polonia si è manifestato per il clima, come avviene in molti Stati europei e non solo.
"I manifestanti vogliono sensibilizzare l'opinione pubblica sull'imminente disastro climatico e fare pressioni su governo e multinazionali affinché si intervenga con urgenza per salvare l'umanità", si legge negli eventi Facebook creati per le manifestazioni organizzate a Bialystok, Cracovia, Lublino, Opole, Varsavia.
«Nel complesso tutto quello che sta accadendo è positivo», confida l'attivista Lawrynowicz. «Non vinceremo tutte le battaglie, ma stiamo facendo progressi. Le persone stanno diventando più consapevoli, stanno iniziando a combattere. Alla fine cambieremo questo paese».
Foto in anteprima ANSA via tgcom24