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In Polonia alcune regioni si dichiarano LGBTI-free zone. L’UE: “Sono zone libere da umanità e non trovano posto nella nostra Unione”

24 Settembre 2020 9 min lettura

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In Polonia alcune regioni si dichiarano LGBTI-free zone. L’UE: “Sono zone libere da umanità e non trovano posto nella nostra Unione”

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La Commissione Europea avvia una procedura di infrazione contro Ungheria e Polonia per discriminazione delle comunità LGBT+

Aggiornamento 16 luglio 2021: La Commissione Europea ha avviato delle procedure di infrazione nei confronti dell’Ungheria e della Polonia per i loro provvedimenti che discriminano le comunità LGBT+: la legge ungherese, approvata recentemente, che vieta di fatto la diffusione di contenuti LGBTQ+ ai minori di 18 anni, e le regioni della Polonia che si sono dichiarate zone LGBTI-free. I due Stati membri hanno due mesi di tempo per rispondere alle argomentazioni della Commissione, prima tappa della procedura di infrazione che potrebbe portare a un deferimento alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. 

"L'uguaglianza e il rispetto della dignità e dei diritti umani sono valori fondamentali dell'Ue, sanciti dall'articolo 2 del trattato dell'Unione Europea. La Commissione utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per difendere questi valori", scrive la Commissione nel comunicato stampa in cui ha annunciato l’avvio delle procedure di infrazione.

Le autorità polacche, ha spiegato la Commissione, non hanno collaborato con le sue indagini per appurare se le zone LGBTI-free infrangono la legge dell'UE sulla uguaglianza e la tutela dei diritti fondamentali.

 L’annuncio delle procedure d’infrazione nei confronti di Ungheria e Polonia è arrivato dopo il grave scontro giudiziario tra la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e il Tribunale Costituzionale polacco. Il 14 luglio la Corte di Giustizia europea aveva stabilito che la legge che attacca l’indipendenza dei giudici era incompatibile con il diritto dell'UE. Decisione definita incostituzionale e inapplicabile al sistema giudiziario polacco dal Tribunale Costituzionale, disconoscendo così l’autorità della Corte di Giustizia dell’UE e spianando la strada a un potenziale conflitto di difficile risoluzione tra Polonia e Unione Europea.

L'Unione Europea si dichiara “zona di libertà LGBTIQ”

Aggiornamento 12 marzo 2021: Con una risoluzione approvata giovedì 11 marzo il Parlamento Europeo ha dichiarato l’Unione Europea una “zona di libertà LGBTIQ”: una misura che mira a proteggere le comunità gay, lesbiche, transgender, intersex e queer e a contrastare le politiche anti-LGBTIQ di alcuni Stati membri, come la Polonia o l’Ungheria. Nel primo paese, dal 2019 più di 100 municipalità si sono dichiarate “LGBT-free zone”.

La risoluzione è passata con il voto favorevole di 492 membri del Parlamento, 141 contrari e 46 astenuti. Hanno votato contro gli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia. Il documento dice che i “diritti LGBTIQ sono diritti umani” e si oppone “ai crescenti discorsi d’odio ad opera di autorità pubbliche e funzionari eletti”.

Le persone LGBTIQ “ovunque nell’UE dovrebbero godere della libertà di vivere e mostrare pubblicamente il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere senza temere intolleranza, discriminazione o persecuzione, e le autorità a tutti i livelli di governo in tutta l’Ue dovrebbero proteggere e promuovere l’uguaglianza e i diritti”, dice il testo, che chiede che la Commissione utilizzi tutti gli strumenti – comprese le procedure di infrazione – per porre fine a violazioni dei diritti.

“Usiamola, facciamola diventare azione politica concreta: leggi migliori, applicate meglio, migliore protezione. Insieme possiamo farlo”, ha twittato l’europarlamentare tedesca Terry Reintke, una di quelle che ha spinto maggiormente la risoluzione.

Il documento non si limita a richiamare esplicitamente Polonia e Ungheria, ma anche altre normative e pratiche discriminatorie in atto nei 27 Stati membri.

“Sebbene le persone LGBTIQ in Polonia affrontino una discriminazione sistematica, questo è un problema diffuso nell’UE, dove sono stati fatti pochi progressi – o non ne sono stati fatti – nell’alleviare le molestie e la discriminazione persistente”, si legge nel testo approvato dal Parlamento Europeo. Solo due Stati dell’UE – Malta e la Germania – hanno approvato leggi che vietano le “terapie di conversione”, pratiche pseudoscientifiche vogliono cambiare l’orientamento sessuale delle persone.

Il governo polacco ha criticato la risoluzione, sostenendo che in quanto Stato sovrano e società conservatrice ha il diritto di difendere quelli che considera valori tradizionali.

Il documento non è un testo vincolante, ma ha un forte valore simbolico. Attivisti e associazioni per i diritti LGBTIQ sperano che a questo seguano azioni concrete. Evelyne Paradis, direttrice esectiva dell’Ong ILGA-Europe ha detto a Deutsche Welle che si tratterebbe di un «gesto vuoto se non fosse accompagnato dall’azione su molti fronti, quello dell’Unione Europea e della Commissione Europea».

“Essere te stesso non è un’ideologia. È la tua identità. Nessuno può portartela via”, ha scritto su Twitter la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.

https://twitter.com/vonderleyen/status/1369668660965609476?s=20

Aggiornamento 28 settembre: Il gruppo per i diritti LGBT+ AllOut, in collaborazione con la Campagna Polacca Contro l’Omofobia, ha consegnato alla commissaria europea per l’eguaglianza, Helena Dalli, una petizione con oltre 330mila firme per chiedere all’UE di agire tempestivamente contro le politiche omofobe e transfobiche in Polonia.

Secondo Matt Beard, direttore esecutivo di All Out, l’azione dell’UE è più urgente che mai: «Penso che si possa paragonare la situazione delle persone LGBT+ in Polonia a una rana che bolle nell'acqua. Forse sta accadendo lentamente, ma quando la rana proverà a saltare fuori, sarà troppo tardi», ha detto a Deutsche Welle. Da tempo Dalli è critica verso le politiche intraprese dal governo polacco. A luglio ad esempio ha contribuito attivamente alla decisione dell’UE di negare i finanziamenti a sei delle “LGBT free zone” dichiarate in Polonia. Per gli attivisti, però, non è sufficiente, ed è necessario che le parole dell’UE vengano messe in pratica.

All Out chiede che vengano messe in atto due azioni concrete. In primo luogo, una procedura ufficiale di infrazione ai sensi dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, che consente di sospendere alcuni diritti dello stato membro. La seconda richiesta è che vengano ulteriormente trattenuti i finanziamenti alla Polonia. Queste azioni, secondo Beard, potrebbero essere un buon inizio.

Patryk Cialon, attivista organizzatore del Pride nella città polacca di Jastrzebie-Zdroj, al confine con la Repubblica Ceca, è meno ottimista: «Non credo che Bruxelles possa fare granché – anche se ci minacciasse di buttarci fuori dall’UE non farebbe grande differenza. Abbiamo bisogno di più consapevolezza sui media fuori dalla Polonia riguardo a cosa sta succedendo qui, e abbiamo bisogno che i gruppi per i diritti nel paese lavorino insieme». Bartosz Staszewski, attivista di Cracovia, ritiene che le azioni dell’UE potrebbero essere fondamentali per la Polonia. «Per quanto mi riguarda, mi aspetto che l’Unione Europea non sia solo un’unione di parole vuote», ha spiegato. «Credo che i diritti LGBTI in questo momento siano una cosa cruciale, che può dirci molto del futuro della Polonia nell’Unione Europea».

Ambasciatori di 50 paesi del mondo hanno firmato una lettera aperta chiedendo il rispetto da parte della Polonia dei diritti delle persone omosessuali e transgender. La lettera, coordinata dall’ambasciata del Belgio a Varsavia, esprime solidarietà nei confronti della comunità LGBT e afferma che il governo polacco ha l’obbligo “di proteggere tutti i cittadini da violenza e discriminazioni e di assicurare che tutti abbiano uguali opportunità”. I diritti umani, si legge nella lettera, “sono universali e tutti, comprese le persone LGBTI, hanno diritto al loro pieno godimento”.

In Polonia circa 100 cittadine e regioni si sono dichiarate “LGBTI free zone”, ossia hanno approvato risoluzioni apertamente contro la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale. Si tratta di provvedimenti perlopiù senza valore coercitivo, ma che rientrano nel solco del costante attacco vissuto da ormai due anni dalle persone LGBTI nel paese ad opera di gruppi conservatori e autorità locali e nazionali.

La risoluzione approvata lo scorso anno della regione di Malopolska, dove si trova Cracovia, ad esempio prevede una “ferma opposizione nei confronti delle attività pubbliche dirette a promuovere l’ideologia dei movimenti LGBTI”. Secondo il documento, queste attività “interferiscono con l’ordine sociale” e sono “orientate all'annientamento dei valori plasmati dall'eredità secolare del cristianesimo”.

Sono parole simili a quelle pronunciate dal leader del partito conservatore nazionalista Diritto e Giustizia (PiS) Jarosław Kaczyński, secondo cui i movimenti LGBTI costituiscono «una minaccia per le fondamenta della nostra civiltà». Il partito, al governo nel paese dal 2015, porta avanti un'agenda nazionalista-conservatrice forte sui valori cattolici, incluso il sostegno alle famiglie tradizionali e l'opposizione al matrimonio omosessuale. Alle elezioni dello scorso autunno, come ricostruito su Coda Story, giornali di stampo conservatore e legati a PiS avevano portato avanti un’ingente campagna di disinformazione contro la comunità LGBTI polacca.

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In un reportage per la BBC, Lucy Ash è stata nella cittadina di Swidnik, a sud est di Varsavia, la prima municipalità ad adottare una risoluzione contro “l’ideologia LGBTI”. Al suo arrivo, la giornalista si è trovata davanti una piccolissima manifestazione di attivisti che distribuivano volantini con la scritta “love is love” e dolci e ciambelle dai colori arcobaleno. L’iniziativa, ha spiegato un portavoce, faceva parte di un tour nella parte est della Polonia per mostrare come la comunità LGBTI sia composta da «cittadini normali». Dall’altro lato della strada, invece, c’erano circa una trentina di giovani uomini che gridavano «Swidnik libera dalla propaganda arcobaleno». Uno di loro ha spiegato ad Ash che le persone LGBTI «non vogliono integrarsi nella nostra società. E noi non li vogliamo in questa città», aggiungendo che la loro presenza «indebolisce la nazione». I due gruppi erano separati da un cordone di polizia in assetto antisommossa. Non è raro vedere scene di questo tipo nel paese.

Nel paesino di Tuchow, 6.500 abitanti a est di Cracovia, anch’esso dichiaratosi “LGBTI free”, la giornalista ha incontrato un adolescente gay trasferitosi lì da qualche anno. Le ha raccontato che l’unico modo per vivere in pace è rendersi invisibili: una volta era per strada con il suo ragazzo e si tenevano per mano, quando hanno sentito alcune persone urlargli contro.

Il pregiudizio omofobo è particolarmente radicato. Ash ha avuto modo di confrontarsi con Grazyna Karas, una donna molto impegnata nel sociale nella comunità di Tuchow, dove gestisce un centralino di consulenza per i giovani del paese. La donna è d’accordo con la risoluzione approvata dall’amministrazione sull’ideologia LGBTI, ed è preoccupata che le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’educazione sessuale possano avere una cattiva influenza. Inoltre, c’è il problema demografico: «Le unioni omosessuali non garantiscono la crescita della nostra patria».

Ad agosto, la Commissione Europea ha deciso di negare i finanziamenti a sei città polacche che avevano approvato le “LGBTI free zone”. “I valori e i diritti fondamentali dell’UE devono essere rispettati dagli Stati membri e dalle autorità statali”, ha scritto su Twitter la Commissaria europea per l’uguaglianza, Helena Dalli. “Per questo motivo sono state respinte sei richieste di gemellaggio tra città che coinvolgono autorità polacche che hanno adottato risoluzioni sulle ‘zone franche LGBTI’ o sui ‘diritti della famiglia’”.

Il ministro della Giustizia polacco aveva annunciato che la cittadina di Tuchow avrebbe allora ricevuto supporto finanziario dal governo, promettendo che il governo si sarebbe speso per le municipalità polacche «molestate dalla Commissione Europea per ragioni ideologiche».

La scorsa settimana, nel suo primo discorso sullo stato dell’UE, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che non c’è spazio nell’UE per le LGBTI-free zone: «Essere te stesso non è un’ideologia, è la tua identità e nessuno può portartela via. Voglio essere molto chiara: le zone libere da LGBTQI sono zone libere da umanità e non trovano posto nella nostra Unione». Von der Leyen non ha specificatamente nominato la Polonia, ma il riferimento era chiarissimo.

Anche il Parlamento Europeo ha criticato l’operato del governo polacco, approvando una relazione preparata dal presidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE), l’eurodeputato spagnolo Fernando Lopez Aguilar, che chiede alle istituzioni UE di agire. «Il governo polacco ha dimenticato che la democrazia non riguarda il governo della maggioranza, ma il rispetto delle leggi dell'UE, il pluralismo, il diritto di dissentire e la protezione delle minoranze», ha detto Aguilar dopo il voto.

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Secondo l’ultima classifica pubblicata dall’ILGA – International Lesbian and Gay Association, la Polonia è l’ultimo paese nell’Unione Europea per quanto riguarda i diritti delle persone LGBTI. Nel paese, nota il report, persiste una “retorica d’odio da parte del governo e della chiesa” contro le persone LGBTI, nonché il verificarsi di episodi di violenza contro le manifestazioni per i diritti. Nel 2019 la sfilata del Pride a Białystok è stata attaccata da estremisti di destra che hanno tirato bottiglie e oggetti sui manifestanti, mentre a Lublin due persone avevano costruito in casa un esplosivo per protestare contro la marcia.

Lo scorso giugno, in un discorso durante un evento della campagna per la rielezione, il presidente polacco Andrzej Duda ha definito la promozione dei diritti LGBTI come «un’ideologia più pericolosa del comunismo»: «Stanno provando a convincerci che si tratta di persone, ma è un'ideologia». Poco dopo, ha firmato la “Carta della famiglia”, un documento che contiene proposte elettorali tra cui l’impegno di impedire alle coppie omosessuali di sposarsi o adottare figli o il divieto dell’insegnamento delle questioni LGBTI – definite “ideologia” - nelle scuole.

Immagine via Gregorz Zukowski / CC-BY-NC

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