Polonia, la vittoria delle opposizioni il risultato di una lunga maturazione nella società civile
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Sempre divisa ma con il cuore un po’ meno a destra.
Così si è svegliata lunedì mattina la Polonia il giorno dopo quella che resterà una giornata memorabile.
Domenica i seggi elettorali sparsi in tutto il paese e quelli allestiti nei consolati esteri sono stati presi d’assalto da cittadini muniti di tessera elettorale. In palio c’erano le sorti di quelle che qualcuno aveva definito le elezioni più importanti di sempre.
Da una parte il governo conservatore e sovranista guidato da Diritto e Giustizia, in cerca del suo terzo mandato consecutivo, un traguardo mai raggiunto da nessun partito nella storia della Polonia democratica. Dall’altra la scelta progressista ed europeista rappresentata da un trio di partiti: i liberali di Coalizione Civica, i centristi di Terza Via e la sinistra di Lewica.
La Polonia ha scelto di imboccare questa seconda strada e lo ha fatto su una spinta popolare di proporzioni notevoli. Nonostante Diritto e Giustizia si sia confermato primo partito con il 35,4% delle preferenze, i tre partiti di opposizione hanno quasi raggiunto il 54%, quanto necessario per avere la maggioranza. Il primo ministro Mateusz Morawiecki probabilmente riceverà l’incarico di avviare un percorso esplorativo per la formazione di un governo, in quanto rappresentante del partito più votato, ma le speranze di successo rasentano lo zero. L’unica sponda possibile, l’ultradestra di Konfederacja, ha già fatto sapere di non essere interessata, senza contare che il suo risultato è stato del 7,1%, in ogni caso insufficiente per intavolare qualsiasi discorso.
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— Onet (@onetpl) October 17, 2023
Quello che resterà impresso di domenica 15 ottobre saranno, soprattutto, le file alle urne e i seggi di Varsavia e Cracovia rimasti a corto di schede elettorali, sintomo di un paese che aveva una gran voglia di cambiare. A recarsi a votare è stato il 74,3% degli aventi diritto, un record nella storia della Polonia post 1989 e un risultato strabiliante per un paese che fino a pochi anni fa non brillava certo per l’adesione al voto. Per fare un esempio, quando Diritto e Giustizia vinse le elezioni nel 2015, a votare era andato solo il 50,9 %.
Di cosa parliamo in questo articolo:
La vittoria delle opposizioni non nasce oggi
A mobilitare l’elettorato hanno contribuito tanti fattori. Primo tra tutti la rottura del patto sociale tra il governo e i suoi cittadini nell’ottobre di tre anni fa, quando il Tribunale Costituzionale polacco ha emesso una sentenza che è andata a modificare la legge sull’aborto. Un pronunciamento che andò a privare in maniera pressoché totale alle donne polacche la possibilità di interrompere la gravidanza. All’epoca le proteste di piazza durarono mesi e segnarono uno strappo decisivo con il governo di Diritto e Giustizia, che negli indici di gradimento fino a quel momento viaggiava saldamente sopra il 40%. In pochi giorni crollò di dieci punti. Mai più recuperati.
Quella di Strajk kobiet (Sciopero delle donne), il collettivo femminista che guidò le proteste, è stata un tappa fondamentale nella storia recente della Polonia, nella maturazione di una società più attenta alla parità di genere e in generale alle istanze più progressiste. La genesi del movimento avvenne nel 2016 proprio in occasione di un tentativo, da parte di un comitato pro life, di portare in parlamento un disegno di legge che voleva inasprire la legge sull’aborto. Scesero a manifestare circa centomila persone, in quella che venne definita czarny protest (protesta nera) e la proposta di legge venne ritirata. Una cosa analoga accadde due anni più tardi, rendendo chiaro che modificare la legge per via parlamentare sarebbe stato impossibile.
Le vicende di Strajk kobiet si sono incrociate e per certi versi anche scontrate con quelle della comunità LGBT, che nello stesso anno – correva il 2020 – si trovarono ad essere il bersaglio della campagna elettorale del presidente uscente Andrzej Duda, in vista delle presidenziali di quell’anno. “Provano a dirci che gli LGBT sono persone. Ma questa è solo ideologia”, aveva dichiarato Duda in uno dei suoi discorsi più contestati.
Qualche mese prima alcuni enti locali, città e voivodati (il corrispettivo delle nostre Regioni), avevano impugnato delle risoluzioni in difesa della famiglia “tradizionale”, inaugurando la stagione delle cosiddette aree libere dall’ideologia LGBT. Sarebbe stato necessario un anno più tardi l’intervento della Commissione europea e la minaccia di blocco dei fondi agli enti locali per far revocare quelle delibere. Passate le elezioni il tema era sfumato dall’attenzione dell’opinione pubblica, ma aveva lasciato un segno, specialmente tra i più giovani.
Queste vicende hanno creato una mobilitazione di cui il governo, impegnato in miopi calcoli politici a breve termine, non è stato capace di tener conto.
Se questa è stata l’onda lunga che ha portato al voto di ieri, un altro fattore determinante è stata la questione europea. Questo è il principale fardello che Diritto e Giustizia lascia dietro di sé e con cui il nuovo governo dovrà avere a che fare.
Lo scontro tra Varsavia e Bruxelles è nato ai tempi del primo mandato di governo, quando è stata messa in atto una serie di riforme che ha intaccato seriamente l’indipendenza della magistratura. Nel corso degli anni la Commissione UE ha utilizzato tutti gli strumenti a sua disposizione, fino al deferimento alla Corte di Giustizia europea. Il governo polacco, sempre attraverso il tramite del Tribunale Costituzionale ha respinto colpo su colpo alle sentenze della Corte del Lussemburgo. L’apice due anni fa, quando in due diversi pronunciamenti, è stata dapprima delegittimata la stessa Corte di giustizia europea, e successivamente è stato stabilito il primato del diritto nazionale su quello europeo.
La Commissione, per risolvere la questione ha deciso di ricorrere alla leva finanziaria, bloccando i 35,4 miliardi di euro del Recovery Fund che spettano alla Polonia fintanto che il governo polacco non sistemerà la questione sulla giustizia. Come se non bastasse anche i fondi di coesione sono a rischio dopo che è stato introdotto il meccanismo di condizionalità che li lega al rispetto dello stato di diritto.
Le dure sfide che attendono il nuovo governo
La linea del nuovo governo dovrebbe essere diametralmente opposta a quello di Diritto e Giustizia, ma in ogni caso per sbloccare i soldi la nuova maggioranza dovrà mettere mano alle leggi approvate in questi anni. Il principale ostacolo potrebbe essere rappresentato dal Presidente della Repubblica, Andrzej Duda. Lo stesso Duda l’anno scorso fu firmatario di una legge che fu poi ritenuta insufficiente dalla Commissione. E sempre Duda qualche mese fa si è messo di traverso davanti a un altro disegno di legge correttivo rinviandolo al parere del Tribunale Costituzionale, dove si è arenato.
Un altro problema, non da poco, che il nuovo governo dovrà risolvere è proprio quello legato all’assetto del Tribunale Costituzionale, un organo che in una democrazia funzionante ricopre un ruolo decisivo nel sistema di pesi e contrappesi. Proprio per la sua importanza, è stato il primo ad essere catturato – sarebbero caduti in seguito anche la Corte Suprema e il Consiglio Nazionale della magistratura – per essere poi utilizzato a piacimento come clava politica nelle situazioni più disparate.
Il nuovo governo dovrà poi occuparsi del tema dei diritti civili. La sfida più difficile sarà quella relativa alla legge sull’aborto. Passare per via parlamentare sarà quasi impossibile, ma prima di tutto bisognerà trovare un compromesso tra le diverse posizioni dei partiti su questo tema. Se Lewica sostiene la liberalizzazione, i centristi di Terza Via vorrebbero riportare lo stato di cose alla situazione precedente al 2020, quando l’interruzione di gravidanza era prevista nel caso in cui questa presentasse una grave malformazione del feto, mettesse a rischio la vita della madre, o nei casi in cui il concepimento fosse avvenuto in seguito a incesto o stupro (oggi è prevista solo negli ultimi tre casi). Non sarà facile. La stessa Coalizione Civica ha un approccio molto sfumato sulla questione, essendoci al suo interno correnti più progressiste, come altre più conservatrici. In ogni caso sarà necessario un intervento sul tema, pena la perdita di credibilità di fronte all’elettorato.
Un altro aspetto su cui bisognerà lavorare è quello della libertà di informazione. Una delle prime azioni intraprese da Diritto e Giustizia salito al potere nel 2015, fu quella di mettere le mani su TVP, la tv pubblica. TVP si è rivelata uno strumento di propaganda potente ed efficace che ha polarizzato la società polacca. Le sue trasmissioni, specialmente quelle informative, sono state accusate di tenere un atteggiamento mistificatorio e denigratorio nei confronti dell’opposizione, ancora di più da quando Donald Tusk è tornato sulla scena politica nazionale. Attraverso TVP Diritto e Giustizia è riuscita a creare una vera e propria narrazione secondo cui Tusk è un uomo asservito agli interessi della Germania a scapito della Polonia. Una sorta di Soros in salsa nazionale.
Riuscire a ripristinare un sistema dell’informazione sano sarà necessario per restituire ai cittadini fiducia nella politica, anche in quella dei propri avversari.
L’ultimo aspetto, forse quello più importante, è proprio quello della riconciliazione. La Polonia è un paese che rimane ancora profondamente diviso tra la sua anima conservatrice e quella più liberale, una divisione figlia della scissione avvenuta all’interno di Solidarność tra i falchi, coloro che avrebbero voluto una transizione dal comunismo alla democrazia che ponesse una cesura netta con il passato, e quella delle colombe, tra cui rientra anche Tusk, che ha sposato la strada della transizione pacifica. Una divisione che non si è mai ricomposta e che anzi è andata ampliandosi nel corso degli anni. Facendo riferimento a questo, qualche settimana fa il leader liberale ha dichiarato di voler porre finalmente fine alla “guerra polacco – polacca”. Sarà probabilmente la sua sfida politica più impegnativa.
Immagine in anteprima: frame video Guardian