La polizia pubblica sui social un video delle aggressioni di Manduria. Inconcepibile in un paese civile
6 min letturaSolo in un paese evidentemente alienato può succedere questo senza la minima reazione politico-mediatica che si faccia carico di dire no, questo non è accettabile.
La polizia di Stato decide due giorni fa di pubblicare sui proprio spazi social dei video delle aggressioni. Su Twitter il testo che accompagna il video è questo: "Una delle aggressioni al 65enne pensionato di Manduria da parte degli arrestati filmate con il loro telefono cellulare".
La vicenda si riferisce alla morte del 66enne Antonio Stano, morto il 23 aprile scorso dopo 18 giorni di ricovero in rianimazione, e per cui sono scattati otto fermi di polizia dei presunti componenti del branco accusati di tortura, sequestro di persona e rapina. Gli indagati sono 12 e a tutti sono stati sequestrati i loro cellulari, nei quali sono stati trovati diversi video che documentano le aggressioni, come spiegato durante la conferenza stampa dal capo della Procura per i minorenni di Taranto, Pina Montanaro.
Il 5 aprile scorso una vicina di casa all'ennesima aggressione ha chiamato la polizia. "Nelle carte dell’inchiesta – riporta il Corriere della Sera – c’è scritto che, alla fine, quando aprì la porta «Stano Antonio appariva subito in condizioni precarie di igiene e di salute, dichiarava di non mangiare da una settimana perché aveva il timore di uscire fuori casa per fare la spesa». Arrivò il 118, si fece un controllo medico dopodiché il pensionato decise di sporgere una denuncia. Nelle carte è scritta a mano, in stampatello". Agli atti risulta anche una denuncia di Antonio Stano risalente al 2012 contro ignoti.
Tornando alla pubblicazione del video: come attesta il testo che accompagna le immagini, non c'è nessuna particolare esigenza investigativa che ha spinto le forze dell'ordine a condividere su Twitter, Facebook e Instagram le immagini di violenze e soprusi. La pubblicazione del video non serve a raccogliere elementi di indagine. Una pubblicazione totalmente gratuita, senza alcun senso (cosa che molti utenti sulla stessa pagina della polizia fanno notare), se non una forma di buco della serratura su una crudeltà altrettanto insensata e agghiacciante. Che di lì a pochi minuti scatenerà l'inferno nei commenti.
"Ammazzateli", "Marcire in galera a vita", "Bastonateli pubblicamente", "A morte", "Mi sarebbe piaciuto passare di lì con un fucile in mano", "Bruciateli in piazza", "Merde umane ed assassini, spero in una giustizia divina che li lasci nelle più atroci sofferenze, visto che in quella terrena non credo più", "Appendeteli tutti per il collo: l’ossigeno è troppo prezioso perché queste merde lo consumino senza motivo!", "Vanno infilati in un pozzo e poi ci va messa una pietra sopra. E amen senza rancore rabbia ne vendetta solo giustizia vanno seppelliti vivi".
La pagina Facebook non ha alcun tipo di moderazione.
Cosa che mette in evidenza anche Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica presso l’Università degli Studi di Milano, e autore di diversi libri tra cui "L'odio online":
"Migliaia di messaggi di odio che augurano la morte, l’impiccagione, la fucilazione, la castrazione o altre reazioni violente. Ad esempio, è sufficiente scorrere i messaggi che sono in coda alla pubblicazione del video della baby gang (quasi 3.000, al momento di scrivere queste note). Sono, per la maggior parte, messaggi d’odio. Così, pubblici, su un sito istituzionale.
Ora, premesso che tali messaggi non danno alcun valore aggiunto al confronto e al dialogo, ci si domanda il motivo per cui siano lasciati online, ossia perché la politica di chi gestisce quella pagina sia quella di non rimuovere neppure i messaggi peggiori, ma di lasciarli ben visibili.
Chi studia i fenomeni d’odio sa che l’odio così detto 'istituzionale' (ad esempio: quello veicolato dalla politica) ha sempre il fine di raccogliere consenso.
Il primo fine potrebbe, allora, essere quello di voler raccogliere consenso. Ma a quale fine? Vi è il timore di una avvenuta delegittimazione delle Forze dell’Ordine o, al contrario, tali messaggi sono un mezzo per generare ulteriore tensione e, quindi, una maggiore richiesta di presenza delle Forze dell’Ordine (perché si genera, anche con questi messaggi e lasciandoli così esposti, tensione, odio, insicurezza).
Il sostenere che siano spazi ad hoc e un modo per far sfogare i cittadini è un ragionamento che non tiene per due motivi: 1) Perché i cittadini si dovrebbero sfogare augurando la morte ad altri cittadini su un sito istituzionale, per di più della Polizia? 2) E perché si dovrebbe aggiungere altro odio in società a episodi già criminosi e terribili, come è in realtà l’odio veicolato attraverso questi messaggi, che non ha nulla di 'virtuale' ma è odio vero e proprio anche questo?
Un secondo punto di riflessione riguarda la pubblicazione di video che hanno un alto grado di violenza e che non sono sicuramente adatti, anche per semplice 'decenza' e opportunità, a un profilo che si presenta come istituzionale".
Sul sito della polizia ci sono le indicazioni sulla social media policy, che riportiamo qui di seguito e la pubblicazione di video violenti che sono elementi probatori di una inchiesta senza alcuna esigenza investigativa non sono previsti dalle loro stesse linee guida che tra l'altro prevederebbero anche la moderazione:
I nostri profili social sono finalizzati alla comunicazione di: informazioni utili per la prevenzione di reati, attività, novità e eventi che riguardano la nostra organizzazione o dove partecipiamo anche come invitati. Rappresentano uno spazio per raggiungere gli internauti che vogliono essere costantemente informati. Sfruttando le opportunità tipiche di questi servizi, la Polizia di Stato può condividere e rilanciare occasionalmente contenuti e messaggi di pubblico interesse e utilità realizzate da soggetti terzi (altri enti, soggetti o cittadini della comunità), verificandone la precisione e l'attendibilità. Inoltre gli uffici territoriali, in particolare le Questure della Repubblica informano i cittadini sull'attività dei Commissariati, Divisioni e di tutte le specialità presenti nei territori, sulle ricorrenze istituzionali e sulle iniziative. I contenuti pubblicati riguardano comunicati stampa, ricorrenze, eventi, comunicazioni istituzionali e aggiornamenti in situazioni di emergenza.
Colpisce inoltre il silenzio mediatico su una scelta del genere. Molti media mainstream, d'altra parte, senza interrogarsi minimamente su opportunità ed esigenze giornalistiche, hanno deciso di rilanciare il video, qualcuno "approfittandone" per inserire spot pubblicitari.
Sulla questione della pubblicazione del video da parte della polizia ne parlavamo con Giovanni Ziccardi. Riporto due commenti alla discussione avvenuta tra la mia e la sua bacheca:
"Credo che la comunicazione dell'attività istituzionale sia legittima ma, come mi pare dica tu, dev'essere svolta con le cautele e il decoro suggerite dalla delicatezza delle funzioni, dev'essere scarna, essenziale, ponderata e sempre finalizzata alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, non dimenticando che l'indagine della polizia non è un processo e non ha funzione punitiva. Tale comunicazione si differenzia anche dal giornalismo, che s'incarica di diffondere le notizie al pubblico. Non può essere svolta così, pubblicando su un social addirittura dei video... poi la magistratura che ci sta a fare?".
"Non ho voluto vedere il video (se non per i primi secondi) perché l’orrore era intuibile già dal fatto di cronaca nudo e crudo e perché nulla avrebbe aggiunto alla mia informazione e alla mia vita. Ho trovato la pubblicazione morbosa e irresponsabile e purtroppo avrà l’unica funzione di stimolare la morbosità italica, il senso di impotenza e di inanità e un conseguente, aggressivo e scomposto giustizialismo".
In un paese civile avremmo dovuto semplicemente chiedere di fermare tutto questo. Durante la conferenza stampa gli inquirenti sottolineano più volte come una delle componenti centrali di questa vicenda l'uso distorto del web da parte dei ragazzi coinvolti che filmavano le aggressioni e poi nelle condivisioni nelle chat si esaltavano in una dinamica di odio che si autoalimentava e amplificava "grazie al web". Potremmo definire uso distorto del web anche la pubblicazione di un video di un'aggressione (come mai in questo caso rispetterebbe le policy dei social?) che scatena odio e commenti violenti, senza che ci sia alcun tipo di moderazione.
Abbiamo contattato la Polizia per chiedere spiegazioni, ci hanno detto di mandare una mail con le domande. Siamo in attesa delle loro risposte.
Pubblichiamo qui le domande che abbiamo inviato:
1) Il Pubblico ministero ha autorizzato la divulgazione del video? O un funzionario ha autonomamente deciso di pubblicarlo?
2) Se sì, qual è la motivazione che ha portato a pubblicare il video?
3) I social sono gestiti internamente da un dipendente o dall'ufficio stampa o è un servizio affidato a un'agenzia/professionista esterni?
4) Vi siete resi conto dei commenti che avete scatenato del tipo: "Ammazzateli", "marcire in galera a vita", "bastonateli pubblicamente", "a morte", "mi sarebbe piaciuto passare di lì con un fucile in mano", "bruciateli in piazza"?
5) Perché non c'è nessuna moderazione di questi commenti?