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Peppa Pig è solo l’ultima mania del panico morale anti-gender

15 Settembre 2022 10 min lettura

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Peppa Pig è solo l’ultima mania del panico morale anti-gender

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In una campagna elettorale che ci ha tristemente regalato varie bassezze – compresa la strumentalizzazione di uno stupro per mezzo di un video postato sui social network – è ancora Fratelli d'Italia a rendersi protagonista in negativo. Questa volta è stato il turno di Federico Mollicone, candidato alla Camera e responsabile cultura del partito. Fortunatamente, in questo caso non c’è stato bisogno di passare sopra al trauma di una sopravvissuta pur di macinare consensi: il nemico da additare, infatti, non era altro che il cartone animato “Peppa Pig”, una delle serie di animazione più amate dall'infanzia.

L'episodio incriminato, trasmesso nel Regno Unito martedì 6 settembre, vede come co-protagonista l'orso polare Penny Polar Bear, figlio di una coppia omogenitoriale. “Vivo con la mia mamma e l'altra mia mamma. Una mamma fa il dottore, l'altra cucina gli spaghetti. E io adoro gli spaghetti”, racconta infatti Penny presentando la sua famiglia con una naturalezza per nulla apprezzata dal rappresentante di FdI (che, fra le altre cose, è anche membro della Commissione parlamentare di vigilanza della Rai). Secondo Mollicone, la scelta “di inserire un personaggio con due mamme è inaccettabile. Ancora una volta il politicamente corretto ha colpito, e a farne le spese sono i nostri figli”, per il quale non è possibile accettare “l'indottrinamento gender”.

A sostenere le istanze di Mollicone, che dopo aver esternato la sua indignazione ha invitato la Rai a non trasmettere l’episodio (richiesta, peraltro, totalmente inutile, dal momento che la Rai non detiene ancora i diritti di trasmissione della puntata), si sono poi aggiunti il senatore leghista Simone Pillon – da sempre in prima linea quando si tratta di opporsi all'ampliamento dei diritti civili – e l'associazione Pro Vita & Famiglia, la quale ha poi riversato il suo disappunto in una petizione online pubblicata sul proprio sito, dal titolo “No ai cartoni gay per bambini sulla Rai”. Per gli esponenti del gruppo, l’obiettivo dell’episodio sarebbe quello di “influenzare le menti dei bambini sul fatto che si possano avere due madri”. La censura dell'episodio costituirebbe quindi l'unica strada possibile, pena il rischio di “influenzare e confondere i piccoli in modo molto pericoloso, su un tema così ideologico” come, in questo caso, l'orientamento sessuale. 

Con le elezioni alle porte e una campagna elettorale mai così breve, era inevitabile che, prima o poi, leader ed esponenti di Lega e Fratelli d'Italia – i partiti ideologicamente più vicini a movimenti pro-vita e associazioni antiabortiste come, appunto, Pro Vita & Famiglia – avrebbero fatto in modo che la cosiddetta “propaganda Gender” – o, citando Pillon, “indottrinamento Lgbt” – tornasse al centro del dibattito. Il problema, tuttavia, non risiede solo nei toni violenti utilizzati dalle destre né nella visibilità concessa dai media alle proteste di Mollicone. La tanto temuta “ideologia Gender”, della quale la sola pronuncia sembra ormai sufficiente ad allertare i conservatori più accaniti, costituisce infatti una vera e propria invenzione, frutto del sodalizio ideologico fra movimenti antifemministi, estrema destra e mondo cattolico. Chi ha paura del “Gender”, quindi, sappia che tutti e tutte ne abbiamo uno e, soprattutto, che la cosiddetta “ideologia Gender”, è uno spauracchio creato per alimentare panico morale. 

Prima di tutto, però, è necessario chiarire cosa intenda Mollicone (al pari di chiunque la pensi come lui) con l'espressione “ideologia Gender”. Padre Federico Lombardi, sacerdote gesuita ed ex direttore della sala stampa della Santa Sede, in una nota pubblicata sul sito ufficiale del Vaticano definisce il concetto come “la negazione del fondamento oggettivo della differenza [biologica] e della complementarietà dei sessi”. La “colonizzazione culturale” promossa dai discepoli della cosiddetta “ideologia omosessualista” (termine dalla chiara accezione dispregiativa, utilizzato per indicare l'insieme delle rivendicazioni Lgbtq+) nascerebbe, quindi, allo scopo cancellare “le leggi della biologia, della genetica e delle scienze naturali” – a partire dal binarismo uomo/donna – per sostituirle con una serie di “artifici bio-giuridici inventati dall'uomo”, come ad esempio la parità di diritti per qualsiasi soggettività. Sempre secondo questa prospettiva, la negazione della differenza sessuale proposta da tali teorie non potrebbe che tradursi nella messa in crisi dell'istituzione matrimoniale (chiaramente eterosessuale) e nella progressiva eliminazione della famiglia “naturale”, formata da mamma, papà e figli. Ma non è tutto.

Riprendendo monsignor Tony Anatrella – sacerdote e psicanalista francese, esponente del cosiddetto movimento anti gender e autore del libro La teoria del “gender” e l'origine dell'omosessualità – la diffusione delle “teorie Lgbt”, soprattutto durante l'età scolare, rischierebbe di tradursi in un aumento esponenziale di “comportamenti omosessuali” fra la popolazione adulta, da lui definiti “disturbi della psiche”. Come riporta la stampa francese, dopo essere stato sottoposto a un processo canonico, nel 2018 Anatrella sarebbe stato poi sospeso da ogni incarico pastorale, con l’accusa di aver abusato di alcuni giovani pazienti. 

A trarre beneficio dall'imposizione di questa “dittatura del pensiero unico” sarebbero, sempre secondo estrema destra e associazioni ultracattoliche, le cosiddette lobby gay, ricche e potenti organizzazioni eterofobiche (guidate cioè da un presunto odio nei confronti delle persone eterosessuali) e autrici di un complotto che, a colpi di test scolastici contraffatti e leggi contro l'omolesbotransfobia, mirerebbe a riunire l'intera popolazione sotto un'unica e precisa visione politica del mondo – l'“ideologia Gender”, appunto –, manifestando ostilità nei confronti di tutto ciò che rientra nella sfera del “tradizionale” (come il matrimonio eterosessuale, la famiglia o i concetti di mascolinità e femminilità) e promuovendo la creazione di una società fondata su princìpi “innaturali”, come l'amore fra persone dello stesso sesso o la possibilità di modificare il proprio nome sui documenti. Un simile scenario non potrebbe che condurre alla strutturazione di una società depravata, dove la masturbazione si insegna all'asilo, l'omosessualità alle elementari e la procreazione avviene esclusivamente in provetta.

Ecco spiegata la fantomatica “ideologia Gender” di cui parla Mollicone: un miscuglio di idee infondate dove i genitali esterni (in base ai quali si assegna il sesso alla nascita), l’insieme di atteggiamenti, emozioni e comportamenti che la società giudica appropriati per ogni individuo a seconda del sesso che gli è stato assegnato (i ruoli di genere), l'esperienza individuale che ogni persona ne fa (l'identità di genere) e, non ultimo, il genere (o i generi) delle persone nei confronti delle quali gli individui provano attrazione romantica e/o sessuale (l'orientamento sessuale) vengono ridotti a un unico schema binario di ruoli. 

Già agli inizi del XX secolo il modello binario era stato messo in dubbio da Magnus Hirschfeld, medico e sessuologo tedesco di origini ebraiche che, nella cosiddetta Teoria dei soggetti sessuali “intermedi”, aveva sostenuto l’esistenza di una moltitudine di orientamenti, identità e preferenze sessuali, aprendo così la strada al futuro Movimento di liberazione omosessuale. Nuovamente tornato al centro del dibattito grazie alle rivendicazioni femministe degli anni Settanta, il concetto cominciò però a entrare seriamente in crisi solo a metà degli anni Novanta, su impulso di due grandi conferenze promosse dalle Nazioni Unite: quella del Cairo, organizzata nel 1994 e incentrata su parità di genere, diritti riproduttivi e salute sessuale, e quella di Pechino dell'anno successivo, dedicata alle donne. Fu in queste occasioni che, per la prima volta, il genere (gender in inglese) cominciò a essere riconosciuto come il costrutto culturale alla base della discriminazione subita dalle donne, costrette a dedicarsi esclusivamente al lavoro domestico in nome di un “ruolo” che era stato assegnato loro senza alcuna possibilità di scelta, esclusivamente in virtù delle loro caratteristiche fisiche. 

La violenta reazione dei gruppi conservatori alle istanze portate avanti dal femminismo della seconda ondata non dipese, però, solo dall'esito dei due congressi ONU. Fra gli anni Settanta e Ottanta, nel mondo anglosassone, le stesse riflessioni che avevano animato i movimenti di liberazione della donna si erano infatti diffuse anche in ambito accademico, portando alla nascita dei cosiddetti “studi di genere” (gender studies), i quali non erano altro che un campo di produzione del sapere volto ad esplorare i processi socio-culturali che avevano portato alla naturalizzazione di concetti quali sesso, sessualità e identità di genere, ponendosi sia come area di indagine a sé stante, sia come metodologia trasversale a qualunque disciplina, scientifica o umanistica. Se da un lato, infatti, uno dei principali obiettivi dei gender studies – e, poco più tardi, dei gay, lesbian e queer studies  – era quello di decostruire le idee di mascolinità e femminilità tradizionali – svincolandoli dal concetto di sesso biologico ed evidenziando l'artificialità dei ruoli ad essi associati –, questi stessi princìpi costituiscono anche una sorta di lente attraverso la quale interpretare il mondo, in modo rendere visibili  le conseguenze, in termini di oppressione o privilegio, che l'identificazione con un determinato genere può comportare in ogni ambito della ricerca scientifica e, soprattutto, della vita quotidiana. 

Simili rivendicazioni non incontravano, però, il favore del mondo cattolico, per il quale condizione necessaria per poter ambire a una famiglia era “la complementarietà fisica, morale e spirituale dei sessi” – compresi, quindi, anche i ruoli di genere perpetuati dalla società etero-patriarcale. Con il pretesto di proteggere la solidità della civiltà cristiana, in Italia cominciarono così a formarsi una moltitudine di piccoli gruppi ultraconservatori, associazioni antiabortiste e comitati in lotta contro le unioni civili, composti prevalentemente da imprenditori – come il segretario di Pro Vita & Famiglia Antonio Brandi –, avvocati – come il presidente di Giuristi per la vita Gianfranco Amato – e scienziati ultracattolici che, con la scienza, hanno decisamente poco a che fare, fra i quali spicca il neurochirurgo Massimo Gandolfini. Come ricordato da Yàdad De Guerre, la sopravvivenza di tutte queste organizzazioni, oggi più attive che mai, dipende esclusivamente dai finanziamenti della CEI, dalla ricezione di contributi statali e dalla raccolta di donazioni private, alimentando così un flusso continuo non solo di grave disinformazione, ma anche – e soprattutto – di denaro.

Mai, nel corso degli ultimi cinquant'anni, “studiare il genere” ha significato negare l'esistenza del sesso biologico (con buona pace di chi non comprende la differenza fra il tratto biologico e la sua socializzazione) né sopprimere il diritto di dichiararsi eterosessuali o concepire figli. Ciò non è bastato, però, a impedire la strumentalizzazione dei gender studies da parte del Vaticano, al punto che, alla fine degli anni Novanta, le cosiddette “teorie Gender” cominciarono a essere concepite come una vera e propria minaccia per la civiltà. In ambito ecclesiastico, letture distorte dei gender studies si diffusero soprattutto a partire dalla pubblicazione del Lexicon, una sorta di dizionario dedicato ai temi della famiglia, della morale e della sessualità e in cui alla voce “omosessualità e omofobia”, redatta dal già citato Anatrella, era possibile leggere: “L'omosessualità non è soggetto di diritti, perchè non ha alcun valore sociale”, “L'omosessualità resta un intrigo psichico” o, ancora: “In nome dell'omofobia, i militanti [dell'ideologia gender] vogliono soltanto colpevolizzare gli eterosessuali”. 

Negli stessi anni, convinzioni simili si diffusero anche nell'ambiente laico grazie alla pubblicazione, nel 1997, del volume The gender agenda: redifining equality, della scrittrice e attivista cattolica Dale O'Leary. Secondo l'autrice, la “rivoluzione sessuale promossa dagli ambienti femministi radicali e dalle organizzazioni abortiste” sarebbe stata guidata non solo da una serie di criteri “ideologici” quali “la separazione del genere dal sesso biologico, l'ampliamento dei diritti umani per includere i diritti sessuali e riproduttivi e la promozione di leggi antidiscriminazione a tutela dell'orientamento sessuale” – princìpi che, peraltro, le femministe continuano a rivendicare con convinzione – ma soprattutto dal desiderio di infiltrarsi negli ambienti politici, occupare posizioni di potere ed imporre le proprie “teorie” anche al resto della popolazione, costringendo, di fatto, la società intera ad adeguarsi alla dittatura del pensiero unico tanto cara al senatore Pillon.

Il risultato di questa paradossale ma – purtroppo – efficace polemica è visibile a chiunque. Da vent'anni a questa parte, per la destra nazionalista ogni scusa è buona per parlare del gender, e non importa se sono gli stessi esponenti politici ad ammettere candidamente di non avere idea del significato della parola. L'individuazione di un nemico – o, come in questo caso, di un'“ideologia” – comune contro la quale combattere consente infatti di riunire sotto la stessa ala politica persone che, altrimenti, rischierebbero di disperdersi fra i partiti rivali, favorendo allo stesso tempo il mantenimento dell'unità del fronte cattolico più radicale e, più in generale, di chi teme seriamente che l'ampliamento dei diritti civili metterebbe a rischio la solidità dell'istituzione matrimoniale.

Per una parte dell'opinione pubblica, la promozione di progetti didattici per l'abbattimento degli stereotipi e la prevenzione della violenza di genere diventano così “tentativi, occultati ma evidenti, di introdurre [nelle scuole] l'ideologia del gender, che prevede l'assoluta libertà di scegliersi il sesso, come fosse un capriccio”; nel frattempo la diffusione di opuscoli divulgativi per sensibilizzare alle diversità si trasforma in un “atto persecutorio contro la famiglia naturale”, mentre la proposta di istituire una “Giornata nazionale contro l'omotransfobia” – come quella contenuta nell'articolo 7 del ddl Zan – viene raccontata come “il cavallo di Troia del Gender nelle scuole”. Tutti, dal Ministero dell'Istruzione, all'Associazione italiana di psicologia (per non parlare delle Nazioni Unite) sembrerebbero insomma essersi ormai alleati con chi promuove la masturbazione precoce o la legalizzazione della pedofilia. Oppure, questa gigantesca fake news potrebbe esserci un po' sfuggita di mano.

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La censura dei cartoni animati invocata da Mollicone avrebbe molto in comune con l'iniziativa ungherese (poi condannata dall'Unione Europea) di vietare la produzione di libri o film ritenuti responsabili di “diffondere l'omosessualità” nel pubblico giovanile o con quella, sempre promossa dal presidente Orbán, di segnalare la presenza di comportamenti difformi dai ruoli di genere tradizionali nei libri per l'infanzia. Nascondere, negare, invisibilizzare – fino a cancellare del tutto – qualsiasi identità diversa dall'unico modello ritenuto socialmente accettabile: è questa la strategia adottata dalle destre per rispondere ai fantomatici attacchi di un nemico immaginario – la comunità LGBTQIA+ – e contrastare gli effetti di un'ideologia che non esiste. 

La “teoria Gender” non è che un dispositivo retorico, un pretesto per mantenere inalterate le disuguaglianze esistenti in termini di diritti e accesso alle opportunità, guadagnando consensi e alimentando la propaganda. E anche per squalificare settori di studi che sono bollati come “ideologici”, come “militanza”, come “non scientifici”, se non addirittura come vera e propria “cospirazione” per minare i fondamenti della società. Non sono quindi solo parole o slogan: mentre Giorgia Meloni inveisce contro la “lobby gay”, infatti, le coppie omosessuali rimangono costrette a uscire dal paese per poter avere figli, per molte persone transgender il riconoscimento legale della propria identità rappresenta un miraggio e l'Italia rimane, a dispetto delle raccomandazioni UE, uno dei sette paesi europei privi di una legge specifica per i crimini d'odio basati sull'identità di genere o l'orientamento sessuale. Uno scenario non esattamente felice, per una comunità accusata di voler sottomettere chiunque non aderisca alla propria fantomatica “ideologia”. Ma forse ha ragione Mollicone, forse è proprio Peppa Pig il problema, non l'oppressione sistemica che la comunità LGBTQIA+ è costretta a sopportare ogni giorno. 

Immagine in anteprima via BBC

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