Se davvero teniamo alla scienza della firma di Grillo non dovrebbe fregarcene niente
15 min letturaOra che la Scienza ha finalmente preso in Italia il Palazzo d'Inverno, grazie alla firma di Matteo Renzi e di Beppe Grillo all'”appello per la scienza di Roberto Burioni” (in realtà promosso anche da altre persone, tra cui il medico e scienziato Guido Silvestri che ha fatto da consulente al MoVimento 5 Stelle sulle politiche vaccinali), c'è un elemento che non comprendo ed è questo: il motivo per cui, tra tutte le firme possibili in calce a questo "manifesto" l'unica a venire "problematizzata" (commentata, criticata, attenzionata, ironizzata) debba essere quella di Beppe Grillo. Non pensiate che io cada dalle nuvole. Io commentavo sui social media (blastavo forse addirittura, ma questo verbo all'epoca non era ancora in uso) le sparate e le scemenze di Grillo sui vaccini e l'AIDS già nel 2010 o 2011, quando Il Fronte Unitario per la Liberazione dell'Italia dall'Oscurantismo Antiscientifico (unitario perché ci si iscrivono tutti, pure i clima-negazionisti - tra cui, ne parlerò più avanti, giornali come Il Foglio - o i clima-menefreghisti, ma non c'è problema, prego accomodatevi) ancora non era stato fondato e parecchi dei suoi iscritti e militanti se ne fregavano del rapporto tra scienza e società o dello stato della scienza in Italia. Per cui conosco benissimo il personaggio e ricordo a memoria le sue affermazioni passate.
Eppure, se solo riuscissimo a liberarci dalla morsa degli stereotipi di comodo, della memoria collettiva difettosa e distorta e delle immagini artefatte, troveremmo insensato e ingiusto che si accendano i riflettori solo su Grillo e la sua firma.
Attenzione: comprendo molto bene il motivo per cui ciò di fatto accade, cioè la ragione per cui tutti parlano (criticano, ironizzano) solo della firma di Grillo. Perché questo accada è ovvio. Benché infatti l'appello venga definito, nientemeno, un "Patto per la Scienza", è sciocco nascondere la realtà dietro etichette altisonanti. Questo "patto" nasce in seguito alla diatriba che si è trascinata in Italia, negli ultimi due o tre anni, attorno ai vaccini (per essere più precisi: attorno all'estensione dell'obbligo ad altri vaccini oltre a quelli già obbligatori). Una discussione che ha visto Roberto Burioni tra i protagonisti impegnati in prima linea. Su quanto sia stata spesso scadente la qualità di questo dibattito, sia nella politica che sui media (sia mainstream che social), ho già scritto su Valigia Blu ed è inutile tornarci sopra. Questo Patto prende le mosse e si sostanzia quasi per intero da e attorno al tema dei vaccini. Non è un caso, infatti, che sui giornali il "Patto per la Scienza" diventi il "Patto Pro-Vax".
Grillo firma il patto pro-vax di Burioni: "Io contro? Polemica da terrapiattisti". E Di Maio prende le distanze [news aggiornata alle 21:12] https://t.co/j5NzMsqwwa
— la Repubblica (@repubblica) 11 gennaio 2019
Perciò è conseguente a tutto questo che a fare notizia e a tenere banco sia solo la firma di Grillo, l'unico che si pensa debba farsi perdonare qualcosa sui vaccini per le posizioni espresse in questi anni. La firma di Beppe Grillo a un "Patto per la Scienza", che in realtà viene interpretato da tutti come un "Patto pro vaccini", suona come la resa definitiva, il ravvedimento finale del comico antivaccinista, la sua andata a Canossa.
Arrivato a questo punto, posso chiarire una prima ragione che mi spinge a ritenere non corretto concentrarsi solo sulla firma di Beppe Grillo.
Dato che prendo sul serio le parole del Patto per la Scienza, leggo che i suoi promotori vogliono impegnare i firmatari a sostenere la scienza «come valore universale (...) che non ha alcun colore politico». I promotori quindi vorrebbero che questioni che riguardano la salute di tutti, come i vaccini, non si trasformino in temi partisan, come si dice nel mondo anglosassone, cioè di parte. Se è così, mi pare che non sia soltanto Grillo a dover fare autocritica per come è stata trattata in questi anni la questione. Durante la scorsa campagna elettorale abbiamo visto cose come queste:
Il Partito Democratico, in virtù del suo impegno per l'approvazione della legge che ha esteso l'obbligo vaccinale, ha rivendicato di essere non solo il "partito dei vaccini", ma addirittura il "partito della scienza". Io non riesco a immaginare nulla di più partisan di Vota la scienza, Scegli PD (o qualsiasi altro partito). In Italia è successo. Chiariamo un punto: è legittimo (a volte perfino doveroso o inevitabile) fare di un tema (qualsiasi esso sia, vaccini compresi) una questione politica. Cioè, una questione su cui la collettività deve prendere delle decisioni. Penso sia perfino legittimo che una parte politica rivendichi l'approvazione di una legge, come quella sull'obbligo vaccinale, come un risultato positivo (e magari lo è davvero). Però allora bisogna decidersi: o i vaccini possono essere una questione partisan o non devono esserlo. Temo che né la firma di Grillo né quella di Renzi lo chiariscano, né per il passato né per il futuro. Se Grillo deve farsi perdonare certe sparate anti-scientifiche sui vaccini, credo che Renzi e il suo partito dovrebbero riflettere sull'errore di aver fatto dei vaccini un vessillo elettorale fino al punto da identificarsi con La Scienza e da intestarsi la qualifica di partito della scienza, come quello slogan elettorale affermava con perentorietà.
Altroché "scienza senza alcun colore politico". In Italia in questi anni si è imposta una narrazione disgraziata che ha diviso gran parte del paese tra "pro-scienza" e "anti-scienza" in base alla posizione (di cittadini e partiti) sulla sola questione dei vaccini (anzi, dell'obbligo vaccinale). Tutte le parti ci hanno messo del loro per trasformare la discussione in una specie di guerra civile. Le reazioni e i commenti al Patto per la Scienza non mi inducono all'ottimismo per il futuro. Nessuno, ahimé, sta accogliendo questa iniziativa come un passo verso una scienza non partisan. Che si parli solo di Grillo è del resto proprio un sintomo di come i più siano ancora intrappolati all'interno di una narrazione partisan. Temo non bastino le firme di due V.I.P. per cambiarla (peraltro una, quella di Grillo, è la firma di un tizio che non ha incarichi né di partito né istituzionali. A nome di chi firma Beppe Grillo?).
C'è poi un secondo elemento che, a mio parere, dovrebbe farci accantonare, almeno per un attimo, Beppe Grillo e la sua relazione complicata con i vaccini. Io, che evidentemente prendo questo appello molto più sul serio di chi in queste ore lo celebra, non posso fare a meno di notare il quinto punto del patto:
Tutte le forze politiche italiane s’impegnano affinché si assicurino alla Scienza adeguati finanziamenti pubblici, a partire da un immediato raddoppio dei fondi ministeriali per la ricerca biomedica di base.
I promotori parlano della ricerca pubblica e del suo finanziamento. Il riferimento è alla ricerca biomedica, ma la questione su cui i promotori vogliono richiamare l'attenzione è seria e non può riguardare solo questo settore.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), nella Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia pubblicata l'anno scorso, dipinge un quadro piuttosto deprimente dello stato e della storia recente del finanziamento pubblico della ricerca scientifica italiana. L'investimento pubblico in ricerca, rispetto a tutta la spesa statale, è diminuito di quasi il 40% tra il 2005 e il 2014. Questo calo è avvenuto in buona parte nel periodo successivo all'inizio della crisi economica-finanziaria del 2007-2008 e non ha riguardo solo l'Italia, ma anche altri paesi europei (con l'eccezione importante della Germania). Ma come spiega il CNR, «la generale tendenza alla riduzione delle risorse ha avuto effetti più importanti in paesi come l’Italia, già in partenza sotto-dimensionati per quanto riguarda il volume di spesa per ricerca e sviluppo».
La spesa pubblica italiana per la ricerca, come osserva giustamente il giornalista scientifico Pietro Greco commentando questi dati, è stagnante. Tristemente stagnante. Perché, come scrive sempre Greco, «non è stata una scelta, quella dei governi italiani, dettata da ragioni di bilancio. È stata una scelta (ahinoi) deliberata». La realtà italiana, nonostante tutto il gran parlare di scienza che si è fatto di recente, è quella di un paese che della ricerca scientifica (e, in generale, della cultura, non solo scientifica) come motore di sviluppo e di progresso economico e sociale, se ne frega da molto tempo. Nonostante gli ottimi risultati che la scienza italiana consegue, anche se in condizioni materiali difficilissime.
Dal 2005 (ma anche da prima) a oggi nessun governo ha dimostrato di voler cambiare davvero rotta. Il tema della ricerca scientifica (come quello dell'Università) rimane fuori dall'agenda delle questioni che contano davvero, quelle su cui si giocano le sorti del confronto - politico, mediatico, elettorale - tra le alterne maggioranze e opposizioni. Nessun partito può vantare grandi risultati in questo settore. Nessun governo, nessuna maggioranza parlamentare, può affermare di aver contribuito a far fare alla ricerca italiana lo scatto necessario per strapparla da un destino di eterna stagnazione e marginalità. Non esiste in Italia, da questo punto di vista, nessun partito della scienza.
Dal 2001 l'Italia ha perfino deciso di vietare la sperimentazione in campo di piante geneticamente modificate, di fatto bloccando un intero settore della ricerca pubblica. Una politica che, se fosse applicata in tutti paesi del mondo, regalerebbe il monopolio di importanti conoscenze e tecnologie (per di più frutto proprio della ricerca pubblica) alle grandi multinazionali private del settore. Da allora si sono succeduti governi di "centrosinistra", di "centrodestra" e "tecnici". Ma non c'è stato alcun cambiamento. Tutto questo è avvenuto ben prima dell'ascesa del cosiddetto "populismo", prima che Grillo contasse qualcosa nella sfera pubblica, prima di tutte le diatribe sui vaccini.
Qual è in queste ore il livello di intensità della discussione riguardo a questa importante sollecitazione sulla ricerca scientifica che arriva dal Patto della Scienza firmato da Grillo e Renzi? Mi pare che zero sia una stima realistica. Non vedo nessuno che sia interessato all'importante quinto punto del Patto. Sarà perché è l'ultimo e nessuno legge il testo fino in fondo? Comunque, mi spiace, cari promotori del Patto per la Scienza, ma stanno tutti parlando solo di Grillo e della "rivolta dei no-vax contro Grillo". I no-vax: una esigua minoranza che fino a qualche anno fa era sconosciuta ai più e trattata più o meno come un fenomeno da baraccone, oggetto di studio per chi si occupa di sottoculture complottiste. E a cui oggi la narrazione mediatica ha dato una visibilità e perfino, a quanto pare, un potere di condizionamento enorme. Lo sentite comunque il rumore di fondo del chiacchiericcio? Suona più o meno così: vaccini, vaccini, vaccini, Grillo, vaccini, Grillo, Grillo, vaccini.
Quindi: le parole dell'appello sono tutte apprezzabili e condivisibili. Il punto è l'uso mediatico e politico che se ne fa. La narrazione che lo accompagna. Quello che rimane fuori. Già, cosa rimane fuori?
Se dobbiamo prendere sul serio la definizione stessa di Patto per la Scienza (e io lo voglio fare), allora direi: tutto. il Patto per la Scienza, anche se aspira ad andare oltre la recente e confusionaria discussione sui vaccini, rimane inchiodato lì. Non fa in realtà nessun passo avanti. E non solo per la narrazione (sentite? vaccini, vaccini, vaccini, Grillo) che accompagna la sua pubblicazione. Ma anche perché la "scienza" di quel Patto non esce dai confini della medicina. Antivaccinismo, negazionismo dell'AIDS, terapie non basate su prove scientifiche, pseudoscienze che riguardano la salute. Questi sono i pericoli richiamati nell'appello ed è comprensibile, dal momento che i suoi promotori sono medici.
E qui arriviamo alla terza, e ultima, ragione che dovrebbe spingerci a smetterla per una buona volta di parlare solo di vaccini e di Grillo. Se dobbiamo davvero prendere sul serio (ma veramente) il messaggio e gli obiettivi del patto, dobbiamo liberarci proprio delle narrazioni che, in Italia, associano quasi sempre la parola scienza a "oggetti" medici. Moltissimo di ciò che è accusato (e a ragione) di essere pseudoscientifico, nell'attuale frangente italiano, ha a che vedere con la medicina. Ho notato che chi denuncia la diffusione di pseudoscienze o le "derive antiscientifiche" che, a detta di alcuni, affliggerebbero in particolar modo il nostro paese tanto da farne un caso a livello internazionale (tesi per me discutibile, ma che richiederebbe un post a parte per essere esaminata) stila spesso elenchi di temi e questioni su cui il "campo pro-scienza" (passatemi queste espressioni, ma è per capirci) si sente particolarmente mobilitato e sollecitato a prendere posizione a difesa, appunto, della scienza. Questi elenchi fanno quasi sempre riferimento a vicende italiane, a casi nostrani di scienza contestata, rifiutata, incompresa: il caso Di Bella, il caso Stamina, la vicenda Xylella in Puglia (che non riguarda la medicina). E poi naturalmente i vaccini ed esempi assortiti di bufale e complottismi tra i più bizzarri (scie chimiche et similia). Elenchi dove le pseudoscienze che hanno a che vedere con la salute giocano insomma la parte del leone.
Per giunta, storie come quella del "metodo" Stamina vengono riesumate oggi per raccontarle come vicende dove da una parte c'è La Scienza, senza macchia e senza paura, dall'altra i ciarlatani e la massa di ignoranti o disperati (o entrambe le cose) che abboccano ai servizi del programma televisivo Le Iene. Tutto molto rassicurante, in fondo. All'epoca, insieme ad altri, avevo criticato e smontato i servizi delle Iene invitando gli autori del programma ad ammettere gli errori e la cattiva informazione che quei servizi contenevano. A distanza di più di cinque anni mi sento in dovere di fare un a piccola autocritica. Durante quei mesi si è parlato troppo delle Iene e troppo poco delle responsabilità dei medici che, prima dei servizi delle Iene, avevano aperto le porte degli Spedali Civili di Brescia a Vannoni e alla sua truffa (Le Iene non avevano fatto altro che rendere di pubblico dominio il fatto che in una importante struttura ospedaliera fosse disponibile una "cura", che purtroppo non aveva alcuna efficacia). Questo non vuol dire che l'intera categoria medica sia da mettere sul banco degli imputati. Significa solo che il modo con cui oggi ripeschiamo e raccontiamo storie come Stamina può essere funzionale a una certa narrazione semplicistica e di comodo. Come storia di mera antiscienza, di conflitto tra esperti e non esperti, di buoni da una parte e di cattivi dall'altra, Stamina non regge. Si è trattato, ahimé, di una vicenda ben più complessa e grave. Una storia di mancati controlli, di interessi economici che hanno tentato di penetrare nel sistema sanitario pubblico (se al posto di Stamina ci fosse stata una grande azienda farmaceutica lo scandalo sarebbe stato ben maggiore e più devastante) e perfino di un conflitto tra parlamento, enti pubblici tecnico-scientifici, tribunali. Giustamente la comunità scientifica protestò quando la Camera dei Deputati decise di stanziare milioni di euro per la sperimentazione della "terapia" Stamina a Brescia, in seguito a un decreto dell'allora ministro della Salute Renato Balduzzi (ministro - lo ricordo - di un "governo tecnico").
Non posso poi fare a meno di ricordare che Luigi Di Bella, padre dell'omonimo metodo anticancro privo di evidenza di efficacia, era un medico e docente universitario. Andrew Wakefield, autore dello studio-truffa che voleva collegare vaccini e autismo, è un medico. Tullio Simoncini, inventore della tesi secondo la quale il cancro sarebbe un fungo che si può curare con il bicarbonato, è un medico. E non mancano, tra i medici, sostenitori dell'omeopatia. Non sarà la comunità medica per prima ad avere al suo interno una relazione complicata con la scienza (magari anche per gli interessi economici che possono spingere qualche camice bianco ad abbracciare e consigliare pratiche e terapie prive di efficacia)? Forse invece di far firmare appelli pro-scienza a Renzi e a Grillo, sarebbe il caso di farli girare (!!!111) all'interno della categoria.
Quando poi oggi si parla di antiscienza va molto di moda prendere in giro il terrapiattismo come esempio di una certa "mentalità antiscientifica". Ma è un fenomeno ridicolo, del tutto marginale e minoritario nella società. Spesso è perfino difficile distinguere i veri adepti del terrapiattismo da chi diffonde questa credenza per prenderla in giro o per trolling. Il terrapiattismo di cui si parla oggi nasce nel XIX secolo (e non nel Medioevo, come forse qualcuno ancora crede). Come scrive la rivista del CICAP Query, «quasi scomparsa all’inizio degli anni ’90, la credenza ha ricominciato a diffondersi soprattutto con i gruppi goliardici sui social network». Cito il terrapiattismo perché non è un caso che Grillo lo menzioni nella risposta alle critiche ricevute per la sua firma del Patto per Scienza. Lo può fare perché terrapiattisti è diventato sinonimo di scemi. Questo è ciò che accade quando l'asticella che dovrebbe segnare il livello al di sopra del quale ci si può annoverare nella categoria Persone Razionali e Scientifiche si abbassa fino a sprofondare verso cose come il terrapiattismo. Basta non essere terrapiattisti per essere salvi. Basta davvero poco, insomma.
Quando si compilano certi elenchi di "temi pro-scienza" (dove figurano vaccini, OGM e poco altro), la stessa scelta di escluderne alcuni (anche senza avvedersene) può essere funzionale a una visione politica, ideologica. Per esempio, a quanto vedo, chi si lamenta di come sia "incompresa e osteggiata la scienza in Italia", non parla mai della crisi climatica. Non è un'assenza di poco conto. Stiamo parlando della più grave e urgente questione scientifica (ambientale, sociale, politica, economica) globale. Eppure il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici sono assenti da questo accesissimo e appassionato dibattito sulla scienza in Italia. Il clima è ancora troppo spesso trattato alla voce Ambiente invece che Scienza. In Italia questo produce effetti paradossali. Nel 2016 Paolo Mieli, dopo aver scritto un editoriale in cui accusava l'Italia di essere un paese «che non mostra alcuna sensibilità nei confronti dei metodi e del rigore che si addicono al mondo della scienza», in un successivo articolo infilava una serie di argomentazioni scorrette sul riscaldamento globale. Schizofrenia? Disonestà? No, solo scarsa informazione, mescolata a pregiudizi e frame ideologici che inducono a sostenere che siano solo celebrità e gruppi ambientalisti, e non prima di tutto la comunità scientifica, ad affermare che è in corso un riscaldamento globale di cui le attività umane sono le principali responsabili. Tutto questo però avviene sul Corriere della Sera, un quotidiano che Mieli ha diretto in passato e di cui non si può certo dire che sia il portavoce dell'antiscienza, del populismo, degli ignoranti, dei somari (credo, perlomeno).
Un altro caso di "dimenticanza climatica". Gilberto Corbellini, docente di storia della medicina e di bioetica, ha pubblicato di recente su Il Foglio un decalogo per riconoscere una pseudoscienza. Scrive Corbellini: «i temi della pseudoscienza sono cavalcati politicamente, come nel caso di vaccini, OGM, Xylella» (stiamo sempre lì). Mi domando se per un esperto attento come Corbellini, da tempo impegnato contro le pseudoscienze, abbia senso pubblicare decaloghi su come stanarle sulle pagine di un quotidiano che da anni, sulla questione dei cambiamenti climatici, abbraccia posizioni e diffonde tesi che sono classificabili come pseudoscienza perfino secondo il suo stesso decalogo. Non credo affatto che sia un negazionista climatico, ma ho il sospetto che Corbellini non pubblicherebbe certi interventi su testate anche solo in odore di antivaccinismo.
Perché quindi un giornale che da sempre contesta il consenso scientifico sul clima, e che subisce il fascino dal neocreazionismo del Disegno Intelligente, si tramuta in un crociato della scienza quando parla di vaccini, arrivando perfino a proporre di nominare Piero Angela senatore a vita? Per rispondere a questa domanda dovremmo riflettere sugli intrecci tra fatti e valori, su come la posizione rispetto a un certo tema scientifico possa essere condizionata dalla propria visione politica, ideologica, culturale. Il Foglio è un giornale che segue una linea conservatrice e liberista, che vede nell'ambientalismo una minaccia per la prosperità economica e lo sviluppo e che contesta certe idee antiscientifiche solo quando provengono dagli avversari politici (che in questo momento sono i grillini).
Soltanto se sveliamo queste complesse dinamiche, che intrecciano il rapporto tra scienza, società, media e politica, possiamo comprendere il senso di certi dibattiti su alcuni temi scientifici "caldi", risalire alla loro origine e seguirne gli sviluppi. Sono dibattiti in cui la posta in gioco non è certo solo la scienza né, astrattamente, il suo rifiuto o la sua difesa aprioristici. In gioco ci sono anche i valori personali, le posizioni politiche, le appartenenze di gruppo.
Comunque: Renzi e Grillo hanno firmato il Patto per la Scienza. Vittoria! La politica d'ora in poi seguirà la scienza. Ottimo.
Mi attendo dunque che:
Nelle prossime leggi di bilancio aumentino le risorse per la ricerca scientifica pubblica.
Il contrasto ai cambiamenti climatici entri nell'agenda delle questioni più importanti e urgenti dei governi e delle maggioranze che nei prossimi anni si succederanno alla guida del paese, perché non c'è più tempo da perdere.
Che per quanto riguarda la medicina, il dibattito pubblico vada oltre i vaccini per spostarsi su altri problemi, serissimi ma ben poco conosciuti, come la resistenza batterica agli antibiotici (che per l'Organizzazione Mondiale della Sanità è tra le maggiori minacce alla salute globale).
Che si parli di medicina anche per ciò che riguarda l'organizzazione politica ed economica della sanità pubblica. Silvio Garattini, scienziato, fondatore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, denuncia da tempo che molti dei farmaci in commercio sono inutili, perché l'attuale legislazione, che regolamenta il processo di autorizzazione, non prevede che di un nuovo farmaco si misuri anche il valore terapeutico aggiunto rispetto alle molecole già esistenti. Perché su questo problema non si scatena nessuna battaglia per l'applicazione di un rigoroso metodo scientifico? Abbiamo paura di alimentare i complottismi contro Big Pharma? Il Patto per la Scienza di Burioni invita a non sostenere terapie non basate su prove scientifiche. Ma se, a detta almeno di Garattini, l'intero sistema di approvazione dei farmaci non è davvero scientificamente rigoroso (con le conseguenze che questo ha per la sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale), ha senso dare la caccia solo alle pseudoscienze come l'omeopatia (che senza dubbio deve essere contrastata)?
Che lo Stato trovi al più presto le risorse necessarie ad avviare un grande piano per la messa in sicurezza antisismica da Nord a Sud, problema su cui l'Italia è in perenne e grave ritardo come dimostrano anche i recenti terremoti in Italia Centrale.
Che il Parlamento approvi entro quest'anno un'efficace legge per fermare il consumo di suolo, un problema che riguarda l'agricoltura, l'urbanistica, la tutela del paesaggio, una questione totalmente assente dal dibattito politico e mediatico ma sui cui l'ISPRA, l'ente scientifico nazionale che si occupa di ambiente, incalza da anni Governo e Parlamento.
Tutto questo (e ci sarebbe molto altro) non è "benaltrismo". Lo ripeto: prendo solo molto sul serio e in parola un "Patto per la Scienza". Se l'obiettivo è davvero quello di portare più scienza nelle decisioni collettive su temi come la salute l'ambiente, la ricerca pubblica o almeno di fare dei passi avanti in questa direzione, piantiamola di parlare di Grillo e delle sue personali opinioni sui vaccini e iniziamo a parlare di scienza.
Foto anteprima via shespeaksscience