L’orrore di Parigi dimostra che i media devono fare debunking in tempo reale
6 min letturaPubblichiamo questo post nella speranza di contribuire al dibattito anche qui in Italia. Ieri abbiamo lavorato a un post di debunking sulle notizie, rivelatesi poi false, pubblicate e diffuse dai media italiani. È chiaro che in situazioni come quella degli attentati a Parigi la fretta, la velocità, la tensione del momento possono indurre ad errori (anche se alcuni errori non possono di certo essere giustificati così), quello che però dovremmo pretendere e come professionisti dell'informazione e come lettori è un'etica condivisa della correzione e della rettifica (oggi purtroppo non c'è e diversi media quasi mai rettificano e correggono errori in modo trasparente) delle notizie false o sbagliate per rispetto del nostro lavoro e per rispetto di chi si affida a noi per informarsi. Ne va della credibilità e della reputazione del giornalismo in generale. Qui ci giochiamo sempre più la fiducia dei lettori, già fortemente compromessa. [Arianna Ciccone]
di Claire Wardle - co-fondatrice di Eyewitness Media Hub, membro di First Draft e research director al Tow Center for Digital Journalism
[traduzione di Marion Sarah Tuggey]
“Avete visto le notizie da Parigi? Semplicemente terribile, no?”
Questo messaggio su Whatsapp è stato l'inizio di una lunga sera di update incrociati su Tweetdeck, cercando di capire ciò che stava succedendo a Parigi e realizzando che l'espressione “semplicemente terribile” non poteva rendere giustizia all'orrore che stava avendo luogo.
Non è una sorpresa, come spesso succede in situazioni di caotiche breaking news, i rumor emergevano velocemente e venivano ampiamente diffusi.
Nelle prime ore si diceva che le luci della Tour Eiffel fossero state spente in segno di rispetto, quando in realtà vengono spente ogni notte all'una; girava il video di un incendio in un campo profughi di Calais che in realtà era stato girato all'inizio del mese; si condivideva un tweet di Donald Trump sul controllo delle armi che in realtà aveva fatto dopo gli attacchi di Charlie Hebdo di gennaio. E forse peggio di tutto, la condivisione di una foto di un concerto degli Eagles of Death Metal della notte prima a Dublino, con la gente che diceva fosse stato girato dentro al Bataclan.
Craig Silverman ha scritto ampiamente sulla diffusione della disinformazione, consigliando alle news organisation di giocare un ruolo più attivo nel debunking delle false informazioni.
Twitter è stato descritto come un forno autopulente, e anche se alla fine il debunking di quei rumor su Parigi è infine stato fatto, ci si è messo più di quanto si sarebbe dovuto, e ci si è messo ancora di più a far uscire il debunking dalla bolla dei ‘news nerd’ e a farlo giungere ad un pubblico più ampio.
Di certo ci sono stati più sforzi da parte delle organizzazioni di news per il debunking delle informazioni rispetto a quanto abbia visto in precedenza. Nelle 24 ore successive agli attacchi di Parigi, ho contato almeno 5 articoli con titoli simili a “I rumor online su Parigi ai quali non dovreste credere.” Ce ne sono esempi su Buzzfeed, BBC, Quartz, The Atlantic e France 24.
Non voglio essere irrispettosa, ma non è abbastanza. Questi pezzi di riflessione riassuntiva pubblicati dopo i fatti sono troppo in ritardo.
Questo esempio di Mashable dimostra che è possibile fare degli aggiornamenti live. ‘Rispondendo’ al loro tweet originale, era possibile mantenere la correzione collegata al tweet originale. Ma come spesso succede, la correzione è stata retwittata molte meno volte dell'originale informazione sbagliata (alle 12:40ET di lunedì 16 novembre, il tweet originale, sbagliato, aveva 2.816 RT, la correzione solo 550).In realtà, la falsa-notizia sulla Tour Eiffel è andata particolarmente fuori controllo quando @ProfJeffJarvis, account-parodia, ha twittato “Wow. Spente le luci alla Tour Eiffel per la prima volta dal 1889” (per prendere in giro tutti i tweet falsi sul simbolo francese). Eppure alla fine il tweet ha avuto circa 30.000 RT, incluso quello di una news organisation che lo ha ripreso come un fatto reale.
Abbiamo bisogno di un servizio 'live', dove il debunking viene fatto in real time su Facebook, Twitter, e Instagram. Chris Blow, designer di Meedan (membro della First Draft Coalition), ha scritto un bellissimo pezzo la scorsa settimana sul design per il debunking. Ha fatto riferimento al lavoro fatto sull'Uragano Sandy da Alexis Madrigal, Megan Garber, Chris Heller e Tom Phillips. Probabilmente conoscete quei post, foto di squali in mare aperto con un grande cerchio rosso con un bel FAKE piazzato in mezzo.
Dov'era quel tipo di servizio con gli attacchi di Parigi? Sono passati tre anni dall'Uragano Sandy, ma non siamo minimamente vicini a risolvere il problema.
Chi dovrebbe farlo? Una social media news agency come Storyful? Un social news service come Reportedly? Un canale pubblico come la BBC? Dovremmo lasciarlo alle piattaforme? Il team Twitter Moments dovrebbe mettersi in azione in momenti come questi?
Tre anni fa, quando l'Uragano Sandy ha evidenziato quanto velocemente i rumor possono diffondersi, i social network erano delle semplici piattaforme. Vederle giocare un ruolo editoriale attivo sembrava inconcepibile.
Ma mentre entrano nello spazio editoriale sempre più aggressivamente (Twitter Moments, Snapchat Live, Apple News, Facebook Instant Articles), non pare più così strano pensare che dovrebbero aggiungere il debunking alla lista delle loro responsabilità.
Insegnando ai giornalisti della BBC nel corso di “User Generated Content e verifica” fra il 2009 e il 2011, il ruolo della BBC nel debunking dei contenuti da social media era spesso citato. Ed era sempre contrastato dalla teoria che se fai debunking su alcune storie, allora lo devi fare per tutte, perché se non fai debunking su una storia suggerisci implicitamente che essa sia vera.
Tenere sotto controllo tutti i contenuti social, verificare pubblicamente e in tempo reale, implica sfide notevoli in termini di risorse, ma in una storia importante come quella degli attacchi di Parigi, quando ci sono così tante persone che si affidano ai social media, ne esiste chiaramente il bisogno. Articoli riassuntivi il giorno seguente non sono abbastanza validi. C'è bisogno di un servizio di debunking live, in tempo reale.
Ieri Jack Jones, britannico famoso per i suoi scherzi su YouTube, con circa 86.000 follower su Twitter, ha postato questa immagine.
L'immagine è di agosto 2006, ed una semplice ricerca inversa vi consente di trovare velocemente l'originale.
Il post di Jack Jones, nonostante gli sia stato detto che la foto non era quella della bomba di Beirut di giovedì 12 novembre, è ancora su Twitter. Mentre scrivo, ha oltre 50.000 RT e 36.000 like.
I giornalisti possono retwittare il tweet e aggiungere il testo FAKE, ma ciò significa che il tweet originale rimane online, con nessuno che lo contesti. Sarà ancora possibile trovarlo nei prossimi giorni e altre persone lo condivideranno.
Molti a livello di piattaforma credono nell'analogia del forno autopulente, ma io non penso che funzioni. Siano immagini di rifugiati ritoccate con Photshop, o vecchie immagini di saccheggi ri-condivise per le proteste di Baltimora, o immagini connesse agli attacchi di Parigi, non stiamo parlando di foto divertenti di squali. Parliamo di qualcosa di molto più serio.
Le informazioni false in queste situazioni hanno il potenziale per influenzare quello che la gente pensa di altra gente, gente di altre razze, gente di altre religioni. È più del semplice assicurarsi che i giornalisti verifichino i contenuti prima di pubblicarli. È fare tutto ciò che possiamo affinché informazioni potenzialmente false vengano fermate il prima possibile.
Abbiamo bisogno di sviluppare un modo per mettere a punto un semplice linguaggio visuale per il debunking di informazioni false, dobbiamo chiarire chi dovrà assicurarsi che tale ‘linguaggio’ venga implementato nei contenuti social che circolano sulle piattaforme. Che sia un'emoji concordata per ‘debunked’, un layer in stile Snapchat o uno sticker, che siano iniziative portate avanti dagli stessi social network, ci deve essere un'icona universale. I network condividono il marchio blu di account verificato e gli hashtag. Abbiamo bisogno di una nuova icona condivisa.
Chiedere a tutti di fare una ricerca inversa sulle immagini prima di condividerle sui social media non funziona. Bisogna ripensare alle possibili soluzioni.
Aggiornamento: Stacy-Marie Ishmael, Managing Editor per Mobile News a BuzzFeed News mi ha appena contattata su Twitter facendomi notare il lavoro di debunking in tempo reale fatto dal giornalista di BuzzFeed Adrien Sénécat, e l'account Vérifié, collegato all'account BuzzFeed Francia. È davvero impressionante, e l'uso della grande scritta rossa FAUX (FALSO) è esattamente quello di cui parlo qui.
Mi sarebbe piaciuto vederla venerdì notte. Ma così non è stato.
Come possiamo assicurarci che questo tipo di giornalismo sia la norma durante un evento "breaking news"?