L’eredità delle Paralimpiadi di Parigi
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Quelle che si sono da poco concluse a Parigi potrebbero essere le Paralimpiadi che cambieranno la storia delle Paralimpiadi. Almeno a livello di percezione generale: si è trattato di un successo di pubblico incredibile e per molti versi inaspettato, con quasi 2,5 milioni di biglietti venduti (fatte le dovute proporzioni, stiamo parlando di circa il 26% del pubblico dei Giochi Olimpici, per cui sono stati venduti 9,5 milioni di biglietti). Di questo aveva già scritto su Valigia Blu Alfredo Ferrante, ma le dimensioni del successo parigino vanno al di là della semplice affluenza del pubblico.
Se guardiamo infatti all’aspetto puramente numerico, Parigi 2024 non ha fatto segnare un record per la competizione: Londra 2012 aveva venduto 2,7 milioni di biglietti. È però molto rilevante considerare il contesto attorno a questo risultato: la Francia è sempre stata un paese in cui gli sport paralimpici erano poco considerati sia dal pubblico che dallo stesso Stato, eppure quest’anno la quasi totalità degli spettatori dell’evento erano francesi. Un dato trainato anche dai successi degli atleti e delle atlete locali - che hanno raccolto un totale di 74 medaglie, di cui 19 d’oro - generando un entusiasmo senza precedenti, come ha sottolineato anche il Guardian. Il paese transalpino ha investito molto, negli ultimi anni, sulle discipline paralimpiche, ma Parigi 2024 è stata anche l’occasione per rinnovare la capitale ben al di là della mera prospettiva sportiva.
Come ha fatto notare prima del via della competizione il Comitato Paralimpico Internazionale, i Giochi lasceranno in eredità una città completamente rivoluzionata nel suo rapporto con i disabili. A livello sportivo, si guarda soprattutto alle strutture, rinnovate e rese più accessibili (per un investimento da 10 milioni di euro), e anche alla realizzazione di un impianto come la Porte de La Chapelle Arena, un palazzetto da 8.000 posti indicato come un modello di struttura sportiva moderna e di primo piano per le discipline paralimpiche. Oltre a questo, però, verranno rese pienamente accessibili alle persone disabili 244 scuole parigine, tutti gli uffici pubblici e i mezzi di trasporto, e verranno implementate nuove soluzioni per migliorare la vita quotidiana delle persone con disabilità. Questo insieme di progetti segue quello che è stato il leitmotiv di tutta Parigi 2024, quello dei Giochi Olimpici improntati alla sostenibilità e a creare un lascito positivo - invece che i soliti debiti e ruderi inutilizzabili - che rinnovi veramente la città che li ha ospitati.
Ovviamente le promesse dovranno poi essere mantenute nei prossimi anni, ma che ci sia un cambiamento attorno allo sport paralimpico è innegabile. Se il pubblico dal vivo è solo andato vicino al record di Londra, quello delle persone collegate in tv è riuscito ad alzare l’asticella: per la prima volta, tutte le discipline della competizione hanno ricevuto una copertura televisiva, e il numero delle emittenti coinvolte a livello globale (225) è stato il più alto di sempre. La cerimonia di apertura ha fatto registrare 22 milioni di telespettatori su France Télévisions, mentre il britannico Channel 4 ha comunicato di aver avuto una media di 18,5 milioni. Le Paralimpiadi stanno dunque diventando un altro evento mediatico di massa, e questo si riflette anche nell’aumento degli investimenti dei grandi brand nel settore - come ad esempio Citibank - che stanno iniziando a utilizzare atleti e atlete in viste di testimonial.
Una nuova idea di sportivo
La popolarizzazione degli atleti paralimpici è un fenomeno che è emerso soprattutto negli Stati Uniti, dove ad esempio la giocatrice di basket in carrozzina Bailey Moody (bronzo a Tokyo e argento a Parigi) è diventata testimonial dall’azienda di dolciumi Reese’s. Rachel Axon ha evidenziato su Sports Business Journal che Visa ha sotto contratto ben 46 atleti paralimpici in tutto il mondo, mentre Toyota sponsorizza più atleti di questa categoria che olimpici (sette contro sei) e gli otto sportivi statunitensi supportati da Bridgestone sono tutti paralimpici.
Nel suo piccolo, anche l’Italia ha una storia da raccontare su questo fronte, quella di Bebe Vio. A quindici anni era già tra i tedofori di Londra 2012, a diciotto era ambasciatrice della Regione Veneto all’Expo di Milano, e a venti conduceva un programma su Rai 1: in realtà, il fenomeno mediatico Bebe Vio ha in gran parte anticipato i suoi successi sportivi, dato che i suoi primi grandi trionfi nel fioretto sono arrivati quando era già molto conosciuta (campionessa mondiale nel 2015 e oro olimpico nel 2016). Questo però rende il suo caso ancora più significativo: non sono state le medaglie a rendere Vio un modello positivo, semmai l’hanno confermata come tale. Allo stesso modo va notato come la sua fama abbia iniziato a formarsi soprattutto in relazione alla malattia che l’aveva colpita e alla sua disabilità: diventando campionessa del mondo e poi olimpica, Bebe Vio si è trasformata in qualcosa di diverso, ovvero in un personaggio pienamente sportivo.
Questo passaggio è tutt’altro che banale, e comporta il riconoscimento di una diversa dimensione dell’atleta paralimpico, non più in quanto disabile che riesce a reinserirsi nella società, ma come sportivo a pieno titolo. Il successo di pubblico delle Paralimpiadi di Parigi è probabilmente connesso alla crescente consapevolezza negli spettatori che questo evento non abbia più un valore esclusivamente sociale, ma sia prima di tutto una manifestazione con discipline, atleti e atlete con una propria dignità sportiva, una propria spettacolarità e che compiono gesti tecnici che possono essere analizzati e apprezzati in maniera autonoma. Si tratta, in breve, del superamento di quel pietismo che spesso riserviamo al tema della disabilità, e che le persone disabili per prime trovano spesso fastidioso, come ha sottolineato anche Rigivan Ganeshamoorthy, oro azzurro nel lancio del disco F52 a Parigi: “Il fatto che non si possa scherzare con noi e su di noi disabili è una cosa primitiva, una fissazione dei normodotati” ha detto a Fanpage.it. Peraltro, Ganeshamoorthy è rapidamente diventato a sua volta un piccolo fenomeno mediatico sui social per il suo modo di porsi e le battute umoristiche, e non è escluso che possa diventare anche lui un personaggio popolare anche al di fuori del contesto paralimpico.
In senso più ampio, le Paralimpiadi parigine si inseriscono sulla scia dei Giochi Olimpici per il modo in cui hanno contribuito, in Italia e non solo, a destrutturare la figura dell’atleta di alto livello. In un precedente articolo si era già affrontato il problema dell’idea ormai obsoleta dello sportivo-macchina, infallibile e costretto a essere sempre al top, ma parte di quel vecchio mito è collegato anche alla considerazione degli atleti e delle atlete paralimpici come delle specie di “superuomini” capaci di andare oltre i limiti della disabilità. Quando il judoka francese Teddy Riner - oro a squadre nella categoria +100 kg a Parigi - ha descritto gli atleti con disabilità come dei “supereroi”, Sofyane Mehiaoui - giocatore di basket in carrozzina - ha replicato dicendo: “Non siamo supereroi, siamo atleti”. Che è poi un discorso molto simile a quello fatto da Ganeshamoorthy su Instagram o da Angela Procida - bronzo nei 100 metri dorso a Parigi - a Rai Sport: “Facciamo gli stessi sacrifici degli atleti olimpici, ci mettiamo la stessa passione, la stessa determinazione. Siamo atleti con la A maiuscola anche noi, e siamo anche persone”.
La parte dell’Italia
Gli atleti paralimpici, nel nostro paese, ci sono e si fanno vedere e sentire - lo confermano le 71 medaglie conquistate a Parigi, di cui 24 d’oro, che migliorano il risultato di Tokyo e piazzano l’Italia al sesto posto nel medagliere, davanti anche alla Francia, paese organizzatore. Il pubblico, almeno in parte, c’è: la Rai ha rivelato che la manifestazione ha fatto registrare uno share medio del 5%, con 611.000 spettatori totali e picchi dell’8,7% per le finali dell’atletica. Va segnalato che una fetta significativa del pubblico italiano è stato composto dagli under-35, confermando che tra i più giovani sembrerebbe essere in atto un cambiamento nel modo in cui si guarda allo sport, a livello non solo olimpico ma anche paralimpico. Resta però un altro aspetto non irrilevante da considerare: la presenza di strutture adeguate e l’accesso allo sport nel nostro paese.
Nel 2021, il presidente del Comitato Paralimpico Italiano, Luca Pancalli, spiegava come ci fosse ancora “un grave problema nel nostro paese” da questo punto di vista, sotto il profilo della distribuzione degli ausili sportivi. D’altro canto, però, aggiungeva che la riforma che ha concesso l’ingresso degli atleti disabili nei corpi dello Stato abbia rappresentato un importante passo avanti per il parasport in Italia, consentendo anche a chi pratica discipline paralimpiche di approcciarsi a esse in modo di fatto professionistico. Ma, appunto, rimangono ancora delle lacune, in particolare sulla qualità delle strutture (non presenti su tutto il territorio, specialmente a livello scolastico, e spesso obsolescenti) e sull’accesso per le persone con disabilità, che secondo uno studio presentato lo scorso dicembre sarebbe garantito solo in quattro impianti su cinque.
Un banco di prova, per certi versi, saranno i Giochi invernali di Milano-Cortina, a cui tra il 6 e il 15 marzo 2026 seguiranno le Paralimpiadi. Fatte le dovute proporzioni con i Giochi estivi, si potrà valutare se l’interesse per il parasport sarà ancora vivo a circa due anni da Parigi. Alla fine del 2023 il governo ha firmato un protocollo d’intesa per assicurare la piena accessibilità e fruibilità dell’evento, seguendo l’annuncio di marzo del governatore del Veneto Zaia, secondo cui quelli di Milano-Cortina saranno “i primi Giochi olimpici completamente accessibili” anche per le persone disabili. Al momento, però, non è ancora chiarissimo in cosa consisterà questo progetto in termini pratici.
Immagine in anteprima: frame video Sportstar via YouTube