L’articolo sull’uomo che ha pagato Pamela per fare sesso e gli errori del Corriere
4 min letturaI fatti sono noti: il 7 febbraio esce sul Corriere della sera un articolo di Fabrizio Caccia (inviato a Mogliano) sull’uomo che, poco prima che Pamela Mastropietro fosse orribilmente uccisa nei pressi di Macerata (mentre scrivo non sono ancora chiare le cause della sua morte), aveva avuto con la ragazza un rapporto sessuale in cambio di denaro. In poche ore il pezzo suscita sui social media reazioni di rabbia, sconforto, indignazione e un gran numero di critiche anche ben argomentate, a tal punto che due giorni dopo il Corriere decide di eliminarlo. Così, di colpo, senza commenti né scuse per l’errore.
Un errore gravissimo, invece, sul quale una testata giornalistica come il Corriere della sera (che è il quotidiano più venduto in Italia) avrebbe dovuto fare una riflessione pubblica e trasparente, scusandosi con i lettori e le lettrici, facendo autocritica e proponendo una ricostruzione diversa di quanto accaduto alla ragazza prima che fosse barbaramente uccisa. Cerco di spiegare perché l’errore del Corriere è pesante, innanzi tutto dal punto di vista umano ed etico, poi giornalistico e comunicativo.
Primo errore: umano. L’articolo assumeva, dalla prima all’ultima riga, il punto di vista del 45enne «con la tuta rossa e i sandali da francescano», esprimendo per giunta una buona dose di empatia nei suoi confronti, perché faceva ipotesi sulle emozioni che l’uomo poteva aver provato: «chissà che peso grande ha sul cuore», «lo assilla il pensiero…», «gli vengono mille pensieri, mille rimorsi, e anche un po’ di vergogna», «ora non resta che il dolore e nessun piacere». Il protagonista del racconto (il titolo lo definiva «Il personaggio») era descritto come un uomo normale, uno che guarda «Mattino Cinque» in tv, un lavoratore dei campi («si scalda lavorando nel campo attiguo alla casa»), un fratello che va a trovare spesso la sorella. Una persona mite, insomma, che nella sua quotidianità più ordinaria si concede una parentesi di sesso a pagamento su un «materasso nel garage» della sorella, appunto.
Il raccontino quasi lirico del Corriere non problematizzava in alcun modo il fatto che solo un grande distacco emotivo potesse aver permesso a un uomo di mezza età di approfittare sessualmente del disorientamento e della dipendenza da eroina di una ragazza 18enne, appena fuggita da una comunità di recupero. Nessuna preoccupazione, nessuna tenerezza, nessuna comprensione per una giovanissima che avrebbe potuto essere sua figlia? Peggio ancora: l’articolo non alludeva neanche lontanamente allo stato di fragilità e difficoltà della ragazza (facilissimo da immaginare, invece), ma esprimeva empatia solo ed esclusivamente per l’uomo, il che equivale ad aver condiviso, da parte di chi lo ha scritto, la stessa indifferenza del 45enne in questione. Cosa che io trovo – e come me molti in rete – umanamente agghiacciante. Per un'analisi dettagliata di tutte le implicazioni sessiste del pezzo, si veda l'articolo di Marina Terragni.
Secondo errore: etico. Rappresentare come normale il comportamento di questo signore, al punto da esprimere empatia nei suoi confronti, implica – diciamolo senza mezzi termini – giustificare il cliente di un atto di prostituzione. Ora, è vero che in Italia e nel mondo la prostituzione è così diffusa da poter essere considerata «normale». Tuttavia, anche nei paesi in cui è legale come in Italia (illegale da noi è solo il suo favoreggiamento e sfruttamento), la prostituzione è comunque molto discussa dal punto di vista etico, quando comporta violazione della dignità della persona e/o disparità di genere, il che accade in tutte le situazioni in cui a prostituirsi siano donne in condizioni di forte subalternità economica, sociale e/o psicologica. Ora, è il caso che la più diffusa testata giornalistica italiana non problematizzi minimamente una pratica così controversa? Non direi proprio. Soprattutto se consideriamo la condizione in cui era Pamela: senza soldi, senza cellulare (tutto era rimasto in comunità) e senza aver risolto, visto che fuggiva, la dipendenza da eroina. Era in condizione di subalternità economica e psicologica massima, dunque.
Terzo errore: giornalistico. Cancellare un contenuto pubblicato in rete a seguito di critiche numerose e pesanti è un errore che non fa (da anni) nemmeno un/a blogger alle prime armi. Se metti online un testo che viene attaccato dai lettori e dalle lettrici in modo argomentato, allora devi discutere con loro e, laddove necessario o possibile, correggere ciò che hai scritto, ringraziando chi ti ha permesso di migliorare il testo. Nel caso di errori gravi e non emendabili (come quello del Corriere), cambi tutto e chiedi scusa, prometti di non farlo più e, anche stavolta, ringrazi chi ti ha fatto comprendere un errore che avevi commesso in buona fede. Solo così si esce da una crisi a testa alta: nelle discipline della comunicazione e nel marketing questo lavoro di negoziazione con i lettori e le lettrici (che per le aziende sono clienti e per i politici sono elettori) si chiama crisis management, è qualcosa che si studia (o almeno si dovrebbe) all’università, nei master e nei corsi di formazione professionale e che i giornalisti del Corriere dovrebbero conoscere.
Invece niente, il Corriere ha cancellato tutto senza aggiungere una parola né chiedere scusa, il che è un errore giornalistico gravissimo, perché i casi sono due: o non conoscono le regole di base della gestione di crisi, e questo indicherebbe una grande lacuna professionale, o, se le conoscono e hanno deciso di non seguirle, vuol dire che considerano i lettori e le lettrici online come persone delle cui opinioni possono non tener conto, lettori di serie B insomma. L’accaduto, al contrario, dimostra che i lettori online non sono affatto di serie B, anzi: è stata la loro reazione di massa a determinare la cancellazione del pezzo. D’altra parte l’articolo era uscito anche su carta, e di quella che fare? Forse i lettori online e quelli del cartaceo sono vasi non comunicanti? Suvvia. Il Corriere avrebbe dovuto pubblicare un’autocritica e le scuse sia su carta sia in rete, punto. Con tempestività massima.
Ultimo errore: comunicativo. Come dicevo, il crisis management è un settore disciplinare che dovrebbe essere noto e praticato non solo dai giornalisti ma, più ampiamente, da chiunque (azienda, istituzione, organizzazione non profit, leader politico) faccia comunicazione. Se non sai gestire al meglio le crisi che incontri nella tua professione, infatti, rischi di perdere credibilità e reputazione. Ne va della tua immagine, insomma, e ciò può portare a perdite più o meno rilevanti – a breve, medio o lungo termine – in termini di profitto, sostenibilità, lettori, voti, a seconda di chi sei. In questo senso l’errore del Corriere è più ampiamente comunicativo, non solo giornalistico. E data la grave crisi (di vendite e reputazione) in cui versa il giornalismo italiano da anni, su errori come questo dovrebbero meditare tutte le testate giornalistiche, non solo il Corriere.
Solo oggi il Corriere della Sera ha risposto genericamente a due delle tante proteste ricevute. Tutto qui?