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Crisi climatica: oltre 1000 morti, mezzo milione di persone senza casa, un terzo del paese sott’acqua. Il Pakistan travolto dalle piogge monsoniche

6 Settembre 2022 8 min lettura

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Crisi climatica: oltre 1000 morti, mezzo milione di persone senza casa, un terzo del paese sott’acqua. Il Pakistan travolto dalle piogge monsoniche

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Nel 2010 il Pakistan fu devastato da una delle inondazioni più catastrofiche della sua storia. Morirono più di 2mila persone e si parlò di un evento di quelli che capitano una volta ogni cento anni.

E invece, appena 12 anni dopo, il paese asiatico, tra i più popolosi e indebitati, conta le vittime e i danni delle piogge monsoniche che hanno ucciso oltre 1.100 persone, lasciato senza casa almeno mezzo milione di pakistani e un terzo del paese sott’acqua, come mostrato dalle immagini dell’Agenzia Spaziale Europea.

Si sono creati laghi lunghi centinaia di chilometri e larghi decine. Più di 1 milione di case e circa 3mila km di strade sono state danneggiate o distrutte. Oltre un milione di animali uccisi, i raccolti spazzati via. Questa alluvione rappresenta il “momento più difficile” della storia del Pakistan, ha detto il primo ministro, Shebaz Sharif, che ha dichiarato la "catastrofe climatica". Il governo ha affermato che in totale sono state colpite più di 33 milioni di persone e ha quantificato i danni in almeno 10 miliardi di dollari. Si stima che la provincia di Sindh abbia subito danni per oltre 1,6 miliardi di dollari. Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per raccogliere 160 milioni di dollari per fornire assistenza alimentare e in denaro al Pakistan.

Come può riprendersi il Pakistan? Ed è possibile evitare che una catastrofe del genere possa ripetersi una terza volta? 

Perché l’impatto delle inondazioni è stato così devastante

Non è possibile ancora stabilire con esattezza in che modo il cambiamento climatico abbia determinato il disastro, ma gli studi concordano nel dire che il riscaldamento globale sta aumentando notevolmente la probabilità di piogge estreme nell'Asia meridionale, dove vive un quarto dell'umanità. Ci sono pochi dubbi sul fatto che il riscaldamento globale ha reso più intense e irregolari la stagione dei monsoni dell’Asia meridionale. Secondo uno studio del 2021 l’aumento di 1°C della temperatura globale avrebbe comportato il 5% di pioggia in più. Ma già le analisi delle inondazioni del 2010 (alle quali avevano contribuito l’aumento delle temperature degli oceani e dell’Artico) erano giunte alla conclusione che l’aumento delle temperature avrebbe reso più probabili eventi meteorologici estremi.

Il monsone estivo dell'Asia meridionale – riporta il New York Times – fa parte di un modello meteorologico regionale. Da giugno a settembre i venti tendono a soffiare da sud-ovest da giugno a settembre, portando tempo umido. In tempi normali, gli agricoltori di tutta la regione contano sulle piogge monsoniche per i loro raccolti. In tempi di riscaldamento globale, l’acqua del mare evapora molto più velocemente, l’atmosfera più calda può trattenere più umidità. E così i monsoni rischiano di portare troppa pioggia.

I ricercatori avranno bisogno di tempo per condurre gli studi di attribuzione e capire esattamente cosa è successo quest'estate ma, spiega il professore della Brown University, Steven Clemens, i mesi di diluvio in Pakistan sono “molto coerenti con ciò che ci aspettiamo in futuro” con il riscaldamento del pianeta.

In questa stagione monsonica, le precipitazioni in Pakistan sono state quasi tre volte superiori alla media nazionale degli ultimi 30 anni, ha dichiarato l'agenzia per i disastri del paese. Dall'inizio di agosto, le precipitazioni sono state nove volte superiori alla media nella provincia di Sindh e cinque volte superiori in tutto il paese. “Il Pakistan non ha mai visto un ciclo ininterrotto di piogge come questo”, ha dichiarato Sherry Rehman, ministra pakistana per i cambiamenti climatici. “Otto settimane di inondazioni ininterrotte hanno lasciato vaste aree del paese sott'acqua. È un diluvio da tutti i punti di vista”. 

Ma il cambiamento climatico arriva fino a un certo punto a spiegare le dimensioni della catastrofe. A rendere disastrosi gli impatti delle piogge è stata una combinazione di fattori: la particolare conformazione del territorio con la presenza di ripidi pendii montuosi in alcune regioni, la distruzione inaspettata di argini e dighe (tra cui quelle sul fiume Kabul che sfocia nell’Indo), la maggiore esposizione dei cittadini più vulnerabili (la maggior parte dei 221 milioni di abitanti del Pakistan vive lungo il fiume Indo che scorre in tutto il paese dall'Himalaya a nord) che sono stati colti di sprovvista perché impreparati ad affrontare situazioni di questa portata e si sono trovati da un momento all’altro costretti ad abbandonare tutto.

Le piogge intense hanno colpito luoghi in cui l'acqua defluisce rapidamente dai pendii scoscesi. Anche gli argini dei fiumi sono stati distrutti. “Stiamo parlando di volumi d'acqua potenzialmente senza precedenti: era impensabile che alcune parti di questi bacini sarebbero state colpite”, ha spiegato al Guardian Liz Stephens, professoressa associata di rischi climatici e resilienza presso l'Università di Reading, nel Regno Unito. 

E poi ci sono le responsabilità delle politiche di sviluppo di tutti questi anni. Dopo l’indipendenza dell’India e la nascita del Pakistan, nel 1947, il governo ha proseguito le politiche dell’epoca coloniale basate sullo sfruttamento su larga scala delle risorse naturali, l’antropizzazione sfrenata, una gestione dissennata del territorio. La crisi climatica non sta facendo altro che amplificare gli effetti sull’ambiente di queste politiche. 

La deforestazione, in gran parte per produrre milioni di ettari di nuovi terreni agricoli per sfamare una popolazione in rapida crescita, ha contribuito ad aumentare la velocità di deflusso delle piogge in alcuni punti: torrenti d'acqua che si riversano sulla terra arida non appena piove, travolgendo i fiumi, erodendo i terreni fertili e insabbiando i bacini e i canali di irrigazione. 

Una crisi che ha colpito un paese già in crisi

I monsoni si sono abbattuti su un paese già in crisi. Prima dell’inizio della stagione dei monsoni, il governo pakistano era alle prese con turbolenze politiche ed economiche. Il paese ha evitato per un soffio la bancarotta a luglio e resta in uno stato di confusione politica dopo che ad aprile è stato mandato via l’ex primo ministro Imran Khan ed è stato formato un nuovo governo multipartito. Nonostante gli avvertimenti dei meteorologi e mentre alcune parti del paese registravano precipitazioni superiori alle medie stagionali, l’attenzione per l’emergenza in corso “è passata in secondo piano”, spiega sul Guardian la giornalista Zofeen T. Ebrahim, da 35 anni corrispondente dal Pakistan. “Erano tutti concentrati sulla crisi politica ed economica e il governo non ha dato quelle informazioni necessarie in caso di disastri: cosa fare in caso di inondazioni, come evacuare le proprie abitazioni prima che sia troppo tardi”, aggiunge al New York Times, Madiha Afzal, analista della Brookings Institution di Washington.

“Dietro questa devastazione c’è ovviamente il cambiamento climatico, ma è evidente che la scarsa pianificazione, l'incapacità delle istituzioni governative e il mancato coordinamento tra governo e [organizzazioni non governative] stanno causando problemi”, spiega ancora Ebrahim.

La debolezza politica ed economica del paese – “Dopo la pandemia e la guerra in Ucraina le bollette e i generi alimentari sono diventati estremamente cari”, dice Ebrahim – influisce sull’azione del governo. Non ci sono risorse sufficienti per i progetti di adattamento. Sono a rischio gli interventi per dare rifugio agli sfollati e ricostruire ciò che è andato distrutto. L'agricoltura rischia di subire un colpo particolarmente forte. Secondo i dati della Banca Mondiale, il settore impiega quasi il 40% dei pakistani. Al di là del confine, in India, rappresenta quasi la metà di tutti i posti di lavoro.

Il Pakistan dovrà affrontare altri monsoni nei prossimi anni ma i loro impatti potranno essere gestiti con una migliore preparazione, maggiori investimenti nelle infrastrutture, un nuovo giro di vite sul disboscamento illegale. "Quello che vediamo oggi è solo un'anticipazione di ciò che ci aspetta con la povertà, la fame, la malnutrizione e le malattie se non prestiamo attenzione ai cambiamenti climatici", ha commentato Ali Tauqeer Sheikh, esperto di sviluppo e clima.

L’appello per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite

Ci vorranno almeno dieci anni prima che il Pakistan si riprenda dagli effetti delle inondazioni di quest'anno. Come detto, al momento il governo pakistano ha stimato danni per oltre 10 miliardi di dollari. Ma i costi potrebbero salire una volta che l'entità dei danni sarà più chiara. 

La scorsa settimana il paese ha ottenuto un prestito di 1,1 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale per evitare un default ormai imminente.

Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per un finanziamento di emergenza di 160 milioni di dollari per aiutare almeno 500mila persone sfollate. Gli Stati Uniti hanno annunciato un aiuto di 1 milione di dollari, il Regno Unito si è impegnato a stanziare fino a 1,5 milioni di sterline per garantire un’assistenza immediata, mentre le associazioni di beneficenza britanniche e i gruppi della diaspora pakistana hanno raccolto altri 1,5 milioni di sterline in pochi giorni.

Aleena Khan e Fatima Asfandyar, due pakistane che vivono a Londra, hanno iniziato a raccogliere fondi su Instagram. “In meno di una settimana abbiamo ricevuto donazioni per oltre 10.000 sterline da più di 100 persone in tutto il mondo, al di fuori del Pakistan”, ha dichiarato Khan che ha lavorato con un team di volontari della Società della Mezzaluna Rossa a Islamabad. Finora, grazie a queste donazioni sono state raggiunte circa cento famiglie.

I tempi sono maturi per la finanza climatica

In un’intervista al Guardian, la ministra per i cambiamenti climatici, Sherry Rehman, ha sollevato la questione della finanza climatica, uno dei nodi irrisolti dei negoziati delle Conferenze sul clima delle Nazioni Unite. 

I paesi ricchi e inquinanti sono i principali responsabili della crisi climatica ma non stanno mantenendo la promessa di ridurre le emissioni, di aiutare i paesi in via di sviluppo ad adattarsi al riscaldamento globale e di risarcire chi sta pagando per responsabilità altrui, è il succo del pensiero della ministra pakistana. "Il riscaldamento globale è la crisi esistenziale che il mondo sta affrontando e il Pakistan non è che l’inizio, nonostante abbiamo contribuito appena all’1% delle emissioni gas serra di tutto il pianeta”, afferma Rehman che chiede di riconsiderare gli obiettivi delle emissioni globali e i risarcimenti, data la natura accelerata e inesorabile delle catastrofi climatiche che colpiscono paesi come il Pakistan.

Il Pakistan ha più di 7.200 ghiacciai - più di qualsiasi altro luogo al di fuori dei poli - che si stanno sciogliendo molto più velocemente a causa dell'aumento delle temperature, aggiungendo acqua ai fiumi già gonfiati dalle piogge.

È ragionevole aspettarsi che i paesi ricchi, grandi inquinatori, si prendano una responsabilità maggiore, prosegue la ministra. “Ci deve essere un certo livello di equità climatica in modo che il peso del consumo irresponsabile di carbonio non venga scaricato sulle nazioni vicine all'equatore, che ovviamente non sono in grado di creare infrastrutture resilienti da sole”.

Più che di aiuti – osserva al New York Times la professoressa Nida Kirmani della Lahore School for Management Sciences – si dovrebbe parlare di “risarcimenti per le ingiustizie accumulate negli ultimi secoli”.

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I paesi più ricchi e inquinanti sono stati finora lenti a erogare il denaro promesso per aiutare i paesi in via di sviluppo ad adattarsi alla crisi climatica, e ancora più riluttanti a impegnarsi in negoziati significativi sul finanziamento delle perdite e dei danni subiti dalle nazioni più povere come il Pakistan, che hanno contribuito in modo trascurabile alle emissioni di gas serra.

“Saremo molto chiari e inequivocabili su ciò che consideriamo le nostre esigenze e i nostri doveri, così come sugli obiettivi globali più ampi: i danni e i rischi per il sud del mondo, che è già in preda a una distopia climatica accelerata, dovranno essere parte del patto stipulato alla Cop27”, ha concluso Rehman.

Immagine in anteprima: frame video Washington Post

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