La tragedia invisibile degli orfani di femminicidio
|
Il 28 novembre ad Andria Luigi Leonetti, 51 anni, ha confessato di aver ucciso la moglie Vincenza Angrisano, di 42 anni. In casa erano presenti anche i due figli di 11 e 6 anni, che sono stati prima accolti dal centro di cura del trauma della ASL locale e poi affidati ad alcuni familiari. poi affidati ad alcuni familiari. Al funerale di Vincenza Angrisano è stata letta una lettera del figlio maggiore della donna che l’ha ricordata come “la persona che amo di più al mondo".
“Orfani speciali”, li chiamava Anna Costanza Baldry, psicoterapeuta, criminologa, attivista e volontaria dell’associazione D.i.Re - Donne in Rete Contro la Violenza, riferendosi agli orfani di femminicidio, ovvero quei figli i cui padri hanno ucciso le loro madri e alla cui casistica si aggiungono anche i figli di Vincenza Angrisano.
A lungo Baldry ha evidenziato l’assenza di riconoscimento e supporto, uno stato di abbandono in cui erano lasciati sia i figli delle vittime di femminicidio sia le famiglie che li prendevano in carico: “A questi figli cosa è stato detto? La legge cosa ha fatto di loro? E quegli adulti che si sono ritrovati ad aprire le loro case che sostegno psicologico ancora prima che economico è stato dato, se è stato dato […] ? Come stanno adesso questi orfani?”, si chiedeva infatti la psicologa.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Chi sono e quanti sono gli orfani di femminicidio
Per capire come stanno gli orfani di femminicidio bisognerebbe però innanzitutto capire quanti e chi sono queste persone, un’informazione attualmente non disponibile. Così come non esistono ancora dati univoci sul femminicidio, non esiste neppure una banca dati nazionale che fornisca numeri certi sui figli di donne che ne sono state vittima.
Queste mancanze erano state già evidenziate nel 2015 da www.switch-off.eu, un progetto europeo a cui hanno collaborato i centri antiviolenza D.i.Re. e gruppi di studio dall’Italia, la Lituania e Cipro. In questa occasione venne fatta una rilevazione e analisi dei dati disponibili nel nostro paese, principalmente nell’ottica di identificare i bisogni degli orfani di femminicidio e redigere delle linee guida per i governi. Nel 2021, la Commissione parlamentare sul femminicidio invece pubblicò un’indagine sui casi avvenuti in Italia nel 2017 e nel 2018: gli orfani individuati in quel caso erano 169, di cui il 39,6% minorenne. Il 17,2% era presente al momento del femminicidio.
Dati aggiornati sono stati poi pubblicati a novembre 2023 dall’impresa sociale Con i Bambini per l’iniziativa A braccia aperte. Grazie a un finanziamento complessivo di 10 milioni di euro, infatti, nel 2021 l’impresa sociale aveva selezionato quattro progetti distribuiti sul territorio nazionale allo scopo di sostenere gli orfani di femminicidio: Orphan of femicide invisible victim per il Nord Est, SOS (Sostegno Orfani Speciali) per il Nord Ovest, il progetto Airone nel centro Italia e il progetto Respiro nel meridione e nelle isole.
Una delle attività svolte in questi due anni è stata proprio la raccolta e l’analisi dei dati sugli orfani di femminicidio. Questi numeri fanno riferimento ai bambini e ai ragazzi presi in carico dai progetti finanziati da Con i Bambini (157) o da associazioni partner (260). Si tratta perciò di dati parziali, che tengono conto solo delle persone raggiunte dalle associazioni o con cui è stato possibile stabilire una relazione continuativa. Tuttavia, rappresentano comunque un punto di riferimento importante per iniziare a inquadrare il fenomeno.
Tra i fatti più rilevanti, nel 36% dei casi i bambini erano presenti al momento del femminicidio, il 65% delle famiglie non era stata presa in carico dai servizi sociali, nonostante la presenza di elementi di vulnerabilità, e il 95% degli orfani ha cittadinanza italiana.
“Non ci sono dati, non ci sono statistiche, né i tribunali per i minorenni individuano e trattano queste questioni specifiche”, ha spiegato a Valigia Blu Fedele Salvatore, presidente della cooperativa sociale Irene’95 che è anche soggetto responsabile del progetto Respiro.
Per identificare gli orfani di femminicidio nel meridione e nelle isole, quindi, ha spiegato Salvatore, “abbiamo fatto una sorta di ricognizione in maniera abbastanza artigianale, attingendo ai dati sui femminicidi dei centri antiviolenza e andando a ritroso tra le notizie di cronaca degli ultimi 15 anni, e abbiamo individuato circa 305 orfani sotto i 21 anni di età e di questi siamo riusciti ad agganciarne 220”.
Circa un centinaio sono quelli oggi a carico del progetto, che si prende cura degli orfani e delle loro famiglie affidatarie sotto diversi aspetti, dai percorsi psicoterapeutici alle questioni educative sia in ambito scolastico sia extrascolastico.
Le tutele previste dalla legge per gli orfani di femminicidio
Le attività garantite da queste associazioni che operano direttamente con gli orfani e i loro caregiver non sono le uniche forme di supporto a cui i figli di vittime di femminicidio possono fare riferimento. Nel 2018 infatti è stata approvata la legge n. 4, che tutela i figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti rimasti orfani “a causa di crimini domestici”.
Questa legge prevede una serie di misure. Tra queste, troviamo l’accesso al patrocinio gratuito, il sequestro conservativo dei beni dell’indagato per il risarcimento dei danni, la provvisionale (ovvero una somma di denaro pari al 50% del totale che può essere data prima dell’accertamento della responsabilità), il diritto all’assistenza psicologica gratuita, la possibilità di cambiare il proprio cognome e di accedere a borse di studio e a percorsi di avviamento al lavoro.
Ci sono però voluti due anni prima che un decreto attuativo rendesse queste misure e queste risorse fatti concreti. “È una buona legge, la prima in Europa”, ha detto Fedele Salvatore, “ma cominciamo a vederne i limiti e ha bisogno di parecchi aggiustamenti”. Tanta responsabilità è ancora lasciata sulle spalle delle famiglie affidatarie, solitamente nonni o zii materni ma a volte anche paterni, che non sempre sono a conoscenza delle risorse e tutele a cui hanno diritto e di come fare per richiederle.
Le procedure sono molto macchinose e i tempi lunghi, e per tanti anche accedere alla normativa può essere complicato: “Non tutti i caregiver padroneggiano Internet e quindi le pratiche che bisogna fare online possono risultare un po’ difficoltose”, afferma Salvatore. Le famiglie affidatarie spesso non hanno neppure gli strumenti economici tanto quanto quelli emotivi e relazionali per gestire un orfano di femminicidio.
La legge oggi prevede un assegno mensile di 300€ per minore preso in carico, che però non è sufficiente per tante famiglie, mentre sono le associazioni a offrire percorsi di supporto psicologico ed educativo per gli stessi caregiver, che in molti casi però non riconoscono o sentono di non poter riconoscere l’importanza del loro benessere psicologico, in particolare se le loro attenzioni sono tutte concentrate sulle difficoltà economiche.
Il percorso psicologico gratuito previsto dalla legge n. 4 per gli orfani di femminicidio invece dovrebbe essere garantito dalle ASL territoriali, che ad oggi, però “sono oberate di lavoro, riescono a offrire soltanto una prima parte di accompagnamento e spesso non hanno neanche personale adeguatamente formato sul trauma”, sostiene Salvatore.
L’importanza della formazione sul trauma
Una formazione sul tema del trauma è necessaria anche per tutti coloro che entrano in contatto con orfani di femminicidio, dagli assistenti sociali alle forze dell’ordine e agli insegnanti. Per questa ragione il progetto Respiro ha realizzato dei percorsi di formazione base per tutti gli operatori che a diverso titolo si relazionano ai figli di vittime di femminicidio, con un approccio che tiene conto sia dell’evento traumatico in sé sia della cosiddetta "violenza assistita". Il femminicidio infatti è sempre preceduto da una storia di abusi e maltrattamenti agita sulla donna in varie forme e assistervi per un bambino o un ragazzo può avere un impatto sul suo sviluppo fisico, cognitivo, relazionale e comportamentale.
Sono poi soprattutto le persone che per prime comunicano con chi è rimasto orfano a dover avere questo tipo di preparazione, ma oggi non è prevista una procedura chiara e univoca da mettere in atto quando avviene il femminicidio di una donna con figli. Spiega ancora Salvatore:
Non esiste una procedura di intervento che definisca chi fa cosa e soprattutto con quali competenze: per legge, in presenza di minori, scatta l’intervento dei servizi sociali e del tribunale dei minorenni, ma non c’è un’attenzione specifica su una questione molto complessa come quella dell’orfano di femminicidio. In queste situazioni, si lascia fare al buon senso di chi per primo entra in contatto con i figli, ma questo non basta perché la letteratura e adesso anche la nostra pratica cominciano a darci evidenze su come i primi giorni, le prime settimane siano fondamentali: è fondamentale saper comunicare ai bambini la notizia nei dovuti modi e senza pietose bugie.
Gli orfani di cui nessuno si occupa
Nonostante le lacune e le criticità, la legge n. 4 rappresenta senza dubbio un importante passo avanti, soprattutto se paragonata al vuoto normativo e istituzionale con cui si sono dovuti confrontare gli orfani dei femminicidi antecedenti al decreto attuativo del 2020. Olga Granà è stata uccisa dall’ex marito nel 1997 quando il figlio Giuseppe Delmonte aveva 19 anni: “Dal giorno dopo ho iniziato a lavorare”, ha ricordato Delmonte spiegando di aver dovuto fare tutto da solo e di aver potuto contare solo sull’aiuto di qualche amico di famiglia. A questo, Delmonte ha aggiunto che il padre “ha avuto lo psicologo dalla settimana dopo” essere entrato in carcere “e ce l’ha da 26 anni tutte le settimane. Io invece me lo sono potuto permettere quattro anni fa di tasca mia”.
“Incredibile” è anche come Fedele Salvatore ha descritto la situazione trovata quando il progetto Respiro ha iniziato a lavorare con gli orfani dei femminicidi avvenuti negli ultimi 15 anni: “Ragazzi che non sono mai stati avvicinati dai servizi sociali o che dopo un primo contatto non hanno potuto fare affidamento su un percorso di accompagnamento, ma anche ragazzi ai quali ancora non era stata rivelata nei dovuti modi la causa della morte della mamma avvenuta anche cinque o sei anni prima”.
Oggi che esistono misure di tutela e sono diverse le associazioni che lavorano in questo ambito, restano comunque tante le lacune e le difficoltà che rendono l’attuazione della norma e il lavoro delle stesse associazioni ancora molto complicati: “Ci sono luoghi in cui non c’è neanche l’assistente sociale”, ha detto a questo proposito Fedele Salvatore parlando dell’area meridionale in cui opera il progetto Respiro.
“Sappiamo che tantissimi di questi ‘orfani speciali’ non riescono ancora ad accedere al supporto previsto”, ha detto la senatrice Valeria Valente, che dal 2019 al 2022 è stata presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, per cui “dobbiamo lavorare tutti insieme - istituzioni e società civile - affinché le criticità siano superate”. Intanto, sostiene Valente, è importante anche introdurre questo tema nel fenomeno della violenza di genere. Secondo la senatrice, infatti, “nell’affrontare la violenza contro le donne dobbiamo sempre, necessariamente, tenere conto anche” degli orfani di femminicidio così come dei “figli e figlie che assistono agli abusi e alle violenze in famiglia”.
Come ha sottolineato anche la stessa Valente, però, finché non sapremo con certezza quante sono le donne vittime di femminicidio sarà difficile individuare, raggiungere e dare supporto alle figlie e ai figli rimasti orfani.
Immagine in anteprima via La Stampa