Ripensare l’ora di insegnamento della religione cattolica a scuola
10 min letturaNelle ultime settimane, anche a seguito del presunto femminicidio della giovane Saman Abbas, la ragazza di origine pachistane scomparsa a Novellara, politici ed opinionisti sono tornati a interrogarsi sul ruolo che la scuola dovrebbe avere nel difficile compito di favorire l’integrazione interreligiosa e sul ruolo dell'insegnamento della religione.
L’importanza dello studio delle religioni è ormai riconosciuta in tutta Europa, tanto che nel 2008 è stata diramata una raccomandazione ai ministri dell’Istruzione del Consiglio d’Europa perché nei sistemi scolastici rientri anche “la dimensione delle religioni e delle convinzioni non religiose nella educazione interculturale, al fine di rinforzare i diritti dell’uomo, la cittadinanza democratica e la partecipazione”. In quest’ottica, già dallo scorso anno, ad Amburgo, in Germania, è stata avviata una sperimentazione: gli studenti seguono tutti la stessa ora di lezione, i cui contenuti sono concordati con la chiesa protestante, le associazioni islamiche e la chiesa ebraica. Anche i docenti possono appartenere a ognuna di queste confessioni religiose, mentre in precedenza erano per lo più protestanti.
In Italia, lo studio delle confessioni entra in classe durante l’ora di insegnamento della religione cattolica (IRC), eredità del Concordato tra Stato e Chiesa del 1929 che riconosce come “fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”. Con la caduta del fascismo, la Costituzione repubblicana sancisce l’indipendenza tra Stato e Chiesa (art. 7), ma l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato viene confermato. E sottoscritto anche con la revisione del concordato del 1984 (“la Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”), poi aggiornato nel 2012 con l’ultima intesa Miur-Cei.
Oggi la scuola statale prevede due ore settimanali di IRC nella primaria e una nella secondaria (medie e superiori). Gli alunni che non se ne avvalgono possono optare per lo studio di una materia alternativa, lo studio individuale assistito o possono richiedere l’ingresso posticipato o l’uscita anticipata. Non esistono dati recenti sulla percentuale di studenti che scelgono di frequentare l’ora di religione, ma secondo lo Snadir, il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione, la percentuale sfiora il 90%. Da diversi anni l’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) chiede al ministero dell’Istruzione di fornire i dati in formato aperto.
“Non siamo contro lo studio delle religioni. Il problema non è l’insegnamento ma come viene impartito", ha commentato a Valigia Blu Roberto Grendene, segretario UAAR. "Ad oggi questo istituto è profondamente sbagliato e diseducativo, perché impartito da docenti scelti dal vescovo e pagati dallo Stato. Siamo favorevoli all’insegnamento delle religioni, ma che avvenga in maniera laica e critica, non tramite insegnanti scelti dalla curia”.
Ai docenti di religione, infatti, è richiesta la certificazione dell’idoneità diocesana, regolamentata dal Codice di Diritto Canonico. Come si legge dal sito Orizzonte scuola, l’aspirante insegnante, deve dimostrare: una documentata conoscenza dei contenuti della rivelazione cristiana e della dottrina della Chiesa; una competenza pedagogico-didattica e metodologica adeguata al grado di scuola per il quale si emana il decreto; una testimonianza di vita cristiana coerente con la fede professata, vissuta nella piena comunione ecclesiale. Il riconoscimento di idoneità all'insegnamento della religione cattolica ha effetto permanente “salvo revoca da parte dell'ordinario diocesano”. Anche i libri di testo devono passare al vaglio della CEI e dell’approvazione dell’ordinario competente.
“Il fatto che gli insegnanti siano credenti è una sicurezza in più per studenti e famiglie: dà certezza e valore a quella disciplina. Vuol dire che i docenti mettono il cuore in quello che dicono e riescono a raggiungere meglio i loro studenti", spiega Orazio Ruscica, segretario generale Snadir. "Noi offriamo agli alunni strumenti e contenuti per una riflessione critica sulla complessità dell’esistenza umana, nell’idea di un confronto tra il cristianesimo e altre religioni. Vogliamo fare in modo che i nostri ragazzi siano tolleranti e accoglienti verso l’altro. Durante l’ora di religione ci si confronta anche sull’islam o l’induismo”. Secondo un sondaggio realizzato da Skuola.net (privo di valore statistico), durante l'IRC solo il 9.3% degli studenti che hanno risposto alle domande affronta temi riguardanti le altre religioni, mentre il 64.3% parla di temi morali (aborto, eutanasia, suicidio), e il 22% la ritiene “un’ora inutile”.
“Ho scelto di frequentare l’ora di religione cattolica perché la ritengo un arricchimento culturale, ma sarebbe bello se si parlasse anche della storia delle altre religioni, per conoscerle e capire come vivono le altre persone, quali sono le loro abitudini e le loro tradizioni”. Halima Ouanane ha 15 anni, è nata a Lavagna da genitori tunisini e frequenta il liceo ‘D’Oria’ di Genova. Non porta il velo, ha uno spiccato accento genovese, ma in famiglia parla l’arabo ed è molto orgogliosa delle sue origini e della sua religione: l’islam. “Ho avuto l’opportunità di raccontare il Corano ai miei compagni di classe durante una lezione di storia. Mi sono offerta volontaria per l’interrogazione, ho recitato a memoria delle Sure e fatto girare il Corano tra i banchi. I miei compagni ne sono rimasti affascinati. È stato molto toccante, mi sono anche un po’ commossa. Credo che capire le altre religioni sia importante, secondo me dovrebbe esserci più spazio per questi temi a scuola”.
“Quello dell’IRC non è un insegnamento confessionale ma culturale: non è finalizzato alla fede", ribadisce Orazio Ruscica. "La maggior parte dei miei colleghi si muove su questo versante. Poi se in classe avvengono cose diverse da quello che dovrebbe essere, questo è un problema che può riguardare anche gli insegnanti di altre materie”. Ma, obietta Roberto Grendene, segretario UAAR, "anche se si affrontasse lo studio di altre religioni, avverrebbe sempre dal punto di vista della dottrina cattolica”.
Per chi difende l’importanza dell’IRC a scuola, è giusto che l’ora di religione cattolica rimanga tale “perché serve per capire la nostra cultura”, sostiene Margherita d’Aquino, docente di religione al ‘Galileo Galilei’ di Catania. Nel liceo scientifico, la docente organizza progetti di volontariato, attività ludiche per i bambini che vivono nelle zone più svantaggiate della città e incontri durante i quali gli studenti si confrontano con temi come il femminicidio, l’eutanasia, la donazione di organi. “La religione è una materia meravigliosa – racconta – durante quest’ora gli studenti hanno la possibilità di affrontare la storia della chiesa e temi di bioetica. Facciamo religione cattolica perché è la nostra cultura, ma sempre con uno sguardo interreligioso. Non lo facciamo per indottrinare i ragazzi. Gli argomenti che affrontiamo servono anche per comprendere meglio la storia dell’arte o la letteratura italiane”. E sulla formazione, che deve avvenire necessariamente in facoltà approvate dalla Santa Sede, la docente osserva: “Chi non vive il ti amo di Dio non riesce né a leggerlo né a trasmetterlo”.
Non dello stesso avviso Erfan Adan, nato e cresciuto a Bologna da genitori bengalesi, da gennaio membro dell’organo esecutivo dell’associazione Giovani Musulmani d’Italia, di cui fa parte da cinque anni. Nella sua scuola, un liceo di Bologna, è vissuta più che altro come un’ora di svago. Si parla poco di religione, e quel poco è dedicato alla fede cattolica, per questo ha deciso di non frequentarla. Ma il fatto che sia musulmano, c’entra poco o nulla. “Dovrebbe essere un’ora piena di dibattito sulle religioni, sulla filosofia, sulla metafisica. Se il metodo e il modo di insegnare fosse stato diverso e aperto al dialogo avrei partecipato per dare il mio contributo, perché sono temi che mi interessano. Islam e cristianesimo da tanti punti di vista sono molto simili, quindi mi sarebbe piaciuto dare il mio contributo. Se non la seguo è solo perché è un’ora spesso vuota. Non c’è un vero interesse nell’approfondire il tema dell’ora di religione a scuola”.
A proposito del suo impegno nell’associazione Giovani Musulmani d’Italia, Erfan racconta: “Promuoviamo il dialogo interreligioso e cerchiamo di portare la voce dei giovani musulmani sia tra i nostri coetanei italiani che tra le generazioni più anziane di musulmani. Io mi occupo di formazione, e spesso intervengo durante le assemblee di istituto nelle scuole. Spieghiamo la realtà islamica e abbiamo sempre trovato giovani disposti ad ascoltarci, incuriositi e rispettosi della nostra religione. Con i miei compagni non ho mai avuto problemi di integrazione, abbiamo un bellissimo rapporto e ci divertiamo a guardare insieme le partite dell’Italia. I pregiudizi nascono quando non si conoscono le cose. Per questo sarebbe bello se l’ora di religione non fosse dedicata solo alla religione cattolica. Penso sia giusto riconoscerle un peso maggiore, ma credo che possa essere interessante anche metterla a confronto con le altre religioni. C’è un versetto del Corano che dice: abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda. Vuol dire che essere diversi è un elemento fondamentale per unirsi, non per dividersi”.
Un altro filone di pensiero, sostenuto per lo più da associazioni laiche e singoli parlamentari, preme invece per sostituire l’insegnamento della religione (non per forza cattolica) con un’ora obbligatoria di educazione civica. Nella primavera del 2019 un gruppo di parlamentari di diverso orientamento politico ha presentato una mozione per rivedere i rapporti Stato-Chiesa e abolire l’ora di religione. Il primo firmatario era Riccardo Nencini del Partito socialista italiano, le altre firme di Emma Bonino (+Europa), Carlo Martelli (Misto), Maurizio Buccarella (Leu), Roberto Rampi (Pd), Loredana De Pretis (Leu), Matteo Mantero (M5S) e Tommaso Cerno (Pd). Nella mozione si prendeva atto del fatto che, pur non essendo più religione di Stato, il cattolicesimo “è rimasto di fatto ‘religione di Stato’ nel sentire e soprattutto nei comportamenti della classe politica; il suo insegnamento in molte scuole è tuttora di fatto “obbligatorio”, per la casualità o la totale mancanza di alternative; lo stipendio dei suoi insegnanti è a carico dello Stato ed essi entrano nei ruoli della scuola senza concorso, con l'impegno a trovare loro un'altra collocazione nel caso in cui la Chiesa, che li designa, ritiri loro la sua legittimazione”. Si chiedeva, per questo, l’introduzione dell’ora di educazione civica al posto dell’ora di religione, la modifica del meccanismo di destinazione delle quote inespresse relative all'8 per mille, e la revisione delle norme relative all'applicazione dell'imposta municipale unica (IMU) sui beni immobili della Chiesa Cattolica.
Più recentemente, gli insegnanti di religione sono tornati al centro del dibattito politico perché il senatore Dem Andrea Rampi ha presentato un emendamento al decreto-legge n.44/2021 (un provvedimento anti-COVID) che rende equivalente il titolo di laurea magistrale in scienza delle religioni con la laurea magistrale in scienze storiche, scienze filosofiche e in antropologia culturale ed etnologia. Permettendo quindi ai laureati in scienze delle religioni di insegnare anche italiano, storia e geografia alle medie, storia e filosofia nei licei e italiano e storia negli istituti tecnici.
“Non ho ancora avuto modo di leggere la mozione, che è stata solo annunciata, ma se così fosse è segno del fatto che si vuole creare un ponte tra l’insegnamento della storia e quello della religione", commenta a Valigia Blu Bianca Laura Granato, senatrice ed esponente de ‘l'Alternativa c'è’. "È un’altra mano tesa agli istituti religiosi per aumentare le iscrizioni. Credo che invece il ruolo della religione a scuola vada ridimensionato. Abbiamo sacrificato insegnamenti che riprendono i valori fondanti della Repubblica e diamo spazio a un insegnamento confessionale… È un’ora che lo Stato paga, mentre i nostri studenti hanno sempre meno tempo per portare avanti i programmi. Sarebbe meglio attribuire quest’ora all’insegnamento della storia, in cui si parla anche delle religioni. Dedicare un’ora intera a questo argomento credo sia troppo. Certo, meglio un’ora sulla storia delle religioni che un insegnamento confessionale. Ma forse la vera cosa utile, anche per gli stranieri che vivono nel nostro paese o per chi è nato qui da genitori non italiani, sarebbe introdurre un insegnamento di educazione civica curriculare in cui insegnare i valori del nostro Stato. Se dobbiamo far conoscere la nostra cultura, che sia quella laica”.
La questione è più complessa, osserva a Valigia Blu Alessandro Saggioro, professore Ordinario di Storia delle Religioni all’Università Sapienza di Roma. Il docente ritiene che l’emendamento Rampi sia giusto, e che al contrario ci fosse un pregiudizio anticlericale nel non far accedere a quegli insegnamenti i laureati in storia delle religioni, studenti iscritti in università italiane e specializzati in scienze storico-religiose. Diversa la questione dell’accesso alle lauree magistrali con triennali ottenute in università pontificie. “In quel caso - spiega Saggioro – si tratta di un titolo estero, che non può essere automaticamente riconosciuto ma deve ottenere prima l’equipollenza da parte di un ente italiano, che ne riconosca crediti ed esami”.
Saggioro ha dedicato anni di studi al tema dell’insegnamento delle religioni a scuola, e nel 2011, insieme a Mariachiara Giorda, ha raccolto le sue riflessioni nel libro ‘La materia invisibile. Storia delle religioni a scuola’, in cui analizza anche la proposta di legge di Giovanna Melandri (Pd), che nel 2010 chiedeva l’istituzione dell’insegnamento "introduzione alle religioni’’ nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria superiore.
“È necessario aprirsi a quel pluralismo garantito dalla Costituzione. Strutturata così, l’ora di religione è anacronistica e poco fruibile per bambini e ragazzi che non si riconoscono nella religione cattolica. Anche per costruire un domani pacifico, partendo dalla scuola”, spiega ancora Saggioro. Per il professore universitario, tuttavia, sarebbe necessario mantenerla, perché “lo spazio riservato alle religioni nell’ora di storia è limitatissimo e circoscritto ai fatti, non entra in dinamiche valoriali incomprensibili senza un approfondimento adeguato. Le religioni rappresentano un aspetto cospicuo della storia dell’umanità e privarle di un’attenzione precipua sarebbe un errore”, aggiunge Saggioro. Per lo studioso, inoltre, “la conoscenza delle religioni è parte dell’educazione civica, che insegna alla convivenza. E tra le convivenze più complesse c’è la convivenza religiosa. Partendo dalla scuola si potrebbe elaborare la figura del cittadino globale di domani, anche perché le nostre classi saranno sempre di più plurali. Dovrebbe essere un’ora contro gli estremismi, gli odi e le derive. Diventerebbe un insegnamento culturale, ma ovviamente andrebbe cambiato il sistema di reclutamento”. Un passaggio non semplice, se si considera che i trattati Stato-Chiesa sono accordi internazionali bilaterali, come ricordato più volte anche in questi giorni in cui si è tornati a parlare del Concordato per ragioni diverse.
“Purtroppo – conclude Saggioro – su questo tema c’è un’immobilità politica ed istituzionale. La Chiesa non vuole rinunciare a questo ruolo, e la politica pensa troppo all’immediato e non alle trasformazioni che avremo tra qualche anno. Ma ad oggi questo insegnamento è fuori dallo scorrere del tempo”.
Foto anteprima via Messinaora