Opinione pubblica e informazione: la corruzione morale passa anche per la corruzione linguistica
6 min letturaQuesto mio articolo vuole essere un contributo a quanto scritto da Fabio Chiusi sull'urgenza di una nuova questione morale, e agli interventi di Dino Amenduni "Ogni uomo è un mezzo di comunicazione" e Galatea Vaglio sui blog come fonti di informazioni .
Determinate tematiche le sto affrontando da tempo sia qui su Valigia Blu, sia insieme a Jacopo Nacci su Scrittori Precari , sottoforma di dialogo a distanza dal titolo La società dello spettacaaargh!
Per quanto riguarda i media e più in generale quei processi che coinvolgono il rapporto tra opinione pubblica e istituzioni, sono tre i principali problemi che riscontro:
1. Agenda setting.
Troppo spesso c’è nei media la tendenza a spendere un’infinità di parole, articoli e servizi su argomenti tutto sommato trascurabili o futili. Il caso limite è naturalmente il classico servizio del tg1 a sfondo animale. Ma anche l’inseguire per giorni e giorni le dichiarazioni dello Stracquadanio di turno, quando esse sono al limite del trolling istituzionale e volontariamente provocatorie, crea nel complesso un effetto da arma di distrazione di massa, rispetto ai problemi concreti del paese.
Ciò credo sia causato:
- dalla nostra classe politica, che sul dire tutto e il contrario di tutto ha costruito una forma di potere grottesco, dove al Palazzo certe volte sembra sostituirsi il Teatro dell’Assurdo;
- da uno storico costume della nostra stampa che consiste, spesso, nell’accodarsi al flusso d’informazioni senza farsi troppe domande, cavalcando la corrente e la pancia del paese, costume incentivato dalle nuove tecnologie, per cui se ci si ferma a riflettere, a vagliare, a verificare si "buca" la notizia;
- da dinamiche di potere dei gruppi editoriali e da conseguenti contrapposizioni, sulle quali non mi dilungo per brevità.
2- Uso di un linguaggio corrottissimo.
Se la comunicazione fosse un ecosistema, oggi l'ecosistema comunicativo italiano sarebbe altamente tossico. Do tre linee di questa "corruzione".
- La tendenza a ragionare e ad argomentare per schieramenti. Nei dibattiti o nell’esporre la propria opinione prevale il seguente assioma, che relega ciò che si dice alla parrocchia di appartenenza, come se la società fosse un campionato di squadre di calcio e di gruppi ultrà: tu dici una cosa non perché pensi sia vera, ma perché fai parte della parrocchia A, e quindi se critichi Tizio non è perché non sei d’accordo con Tizio, ma perché Tizio fa parte della parrocchia B, che è nemica della parrocchia A; se sei d’accordo con Caio, è perché fa parte della tua stessa parrocchia, o della parrocchia C che è tua alleata. Questo relativizza qualunque argomento per cui non esiste una cosa come la ricerca della verità, esiste solo lo schieramento di cui fai parte, e la perpetua contrapposizione che giustifica qualunque cosa detta.
Si hanno così episodi paradossali come quella puntata di Ballarò in cui Stefano Rodotà, parlando di Costituzione, si è sentito replicare dal ministro Gelmini «è stato per tre volte parlamentare della Repubblica di sinistra ed è quindi evidente che il suo pensiero politico è legittimamente un pensiero politico Comunista, di Sinistra». L’alta competenza professionale di Rodotà, in questo schema, non conta nulla, conta solo lo schieramento politico che gli viene attribuito o di cui fa parte. Pensate che cosa succederebbe se si dividessero in analoghi schieramenti i chirurghi. «Lei è di destra, quindi non mi può operare». Ma a un chirurgo non è forse richiesto di essere bravo nel suo lavoro?
- L’uso dilagante di "idee senza parole". Uso “idee senza parole” per indicare ciò che Furio Jesi, in Cultura di destra, considerava l’uso di parole-contenitore in cui mettere all’occorrenza tutto ciò che serve in termini di retorica e propaganda. Un tipo di parole, dunque, caratteristico dei regimi, o delle fasi di transito dalle democrazie ai regimi. Sono parole che incarnano una vera e propria fuga dai significati e dunque da una relazione logica con la realtà.
Un esempio è la parola "casta". Ora io vi esorto a rispondere dentro di voi alla domanda "che vuol dire casta?" e poi a consultare un vocabolario. C'è un abisso tra l’uso che viene fatto quotidianamente di quella parola e il suo significato, la storia e il mondo che quella parola incarna. E inoltre: possibile che un politico, quando tuona contro i “privilegi della casta”, cioè contro se stesso, non venga messo di fronte questa contraddizione? Ogni volta che lo fa è un pugno contro la logica.
Questo uso linguistico è fortemente nichilista, distruttivo. Attacca la visione del mondo, perché i limiti del mio mondo sono i limiti del mio linguaggio, e se nell'uso il linguaggio si modifica, si modifica anche il mio mondo, e attraverso questa continua operazione si incide sulla nostra possibilità di azione e sui comportamenti.
- Perdita di relazione logica con la realtà. Questo punto è conseguenza degli altri due, ma lo do come separato perché mi pare sia diventato un fattore a sé, in questo momento storico, e generi continuamente dei mostri retorici: è come se rispetto a venti anni fa siano cambiati il vocabolario e la grammatica del pensiero. Solo una debolezza di pensiero logico, per esempio, può far paragonare Spider Truman a Julian Assange; quello, o una terrificante cattiva fede. Altro aspetto è la tendenza a vivere tutto di pancia, cavalcando acriticamente le proprie pulsioni nella continua e perpetua riedizione del minuto d'odio orwelliano.
3- La tendenza italiana a organizzarsi per consorterie/parrocchie.
Questo è un problema che esiste da una vita in Italia. Leopardi lamentava, rispetto alle altre nazioni, la mancanza in Italia di “società strette”. Ora noi abbiamo ovviato a questa carenza, però abbiamo ovviato, a mio avviso, creando una forte mentalità per cui non c'è la società e poi le «società strette»: esiste solo il mio Clan, e oltre a esso il resto del mondo. A livello amministrativo vuol dire che io sono la mia carica, io sono un centro di potere, e quella carica è roba mia. Non esiste l’idea che ricoprire una carica significa occupare un posto non mio, che appartiene alla collettività e che esiste perché, nell'esercizio della carica, io persegua il bene comune.
Ma ciò, è ora di dirlo con chiarezza, pacatamente, serenamente, genera anche situazioni in cui ci si accorda dietro le quinte tra consorterie e parrocchie varie, e poi in pubblico si fa finta che le cose siano successe in altro modo, per darla a bere all'opinione pubblica. Si è perciò nell’intrallazzo e nell'inciucio come prassi sociale, e a ciò, purtroppo, ci si abitua nel tempo.
Ma ciò, è ora di dirlo con chiarezza, pacatamente, serenamente, genera anche situazioni in cui ci si accorda dietro le quinte tra consorterie e parrocchie varie, e poi in pubblico si fa finta che le cose siano successe in altro modo, per darla a bere all'opinione pubblica. Si è perciò nell’intrallazzo e nell'inciucio come prassi sociale, e a ciò, purtroppo, ci si abitua nel tempo.
Ecco allora che se si punta il dito contro l'operazione Spider Truman, la gente dice "embè, che c'è di male se è organizzata?": lo dice perché la prassi sociale in Italia è quella dell'organizzare le cose dietro le quinte e poi fare la sceneggiata in pubblico. Cioè Spider Truman, come direbbe Stanis La Rochelle «è molto italiano»!
Altra conseguenza è che non esiste una morale di per sé, ma rispetto a. Io sono buono e bravo perché vado contro tizio che è cattivo, quindi siccome tizio è cattivo e io sono buono, tutto quello che faccio contro di lui va bene.
Ora io credo che, oggi, volendo proporre delle possibili soluzioni o degli spunti per elaborarle, qualunque blogger, chiunque operi nella comunicazione, debba concentrarsi sui punti 2 e 3 di queste mie osservazioni.
Darsi come obiettivo il creare un network di persone e competenze in cui si riesca a fare kantiano uso pubblico della ragione: un "luogo" dove io possa dare l'esempio di confronto in cui lo scopo non è battere l'avversario o mostrare quanto io sia intelligente, stiloso, o vantarmi di quanto i miei post siano condivisi sui social network, o aumentare di una zolla il mio orticello, ma in cui lo scopo è diffondere un modo di comunicare in cui il messaggio è il come si trasmette, e non soltanto il cosa si trasmette.
Del potere, dei filtri, della massa, eccetera bisognerebbe santamente non curarsene: nel senso che, per estendere il grado di civiltà nel paese attraverso il web, occorre agire in direzione contraria al processo di corruzione linguistica e, attraverso questa direzione, opporsi al processo di corruzione morale.
In questo bisogna rendersi riconoscibile, avere contesti ad hoc, di modo che si capisca: qui si fa uso pubblico di ragione, qui si fa simposio, confronto dialettico attraverso il riconoscimento reciproco delle persone, e non basandosi sull’affermazione di sé.
L’agenda setting, il gatekeeping di cui parla Dino, dovrebbero essere un effetto collaterale, una conseguenza non perseguita direttamente dell'agire ecologico sul piano comunicativo. Altrimenti il rischio è che si cada in quelle dinamiche di cui parlava il post di Galatea. Io ragiono a livello di singolo, e poi a livello di gruppo, e dunque il mio discorso è centrato sull'esempio che voglio dare, e che poi voglio condividere con chi vorrà metterlo in pratica.
Matteo Pascoletti
@valigia blu - riproduzione consigliata
Andrea Baggio
Grazie, condivido ogni singola parola. Purtroppo credo che un danno culturale così grave possa essere riparato solo in tempi molto lunghi, ma mi auguro anche di sbagliarmi.