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La Risoluzione ONU sul cessate il fuoco e gli effetti su Israele e Hamas

28 Marzo 2024 7 min lettura

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La Risoluzione ONU sul cessate il fuoco e gli effetti su Israele e Hamas

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Con quattordici voti a favore e l’astensione degli Stati Uniti, il 25 marzo 2024 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione richiedendo un cessate il fuoco temporaneo nel conflitto tra Israele e Hamas, iniziato a seguito degli attacchi del 7 ottobre 2023. Dopo mesi di stallo dovuti ai veti incrociati dei membri permanenti del Consiglio (tre veti statunitensi e due veti di Cina e Russia), è stato finalmente trovato un accordo sulla base di un testo proposto dai dieci membri non permanenti del Consiglio e presentato dal Mozambico.

Il testo della Risoluzione 2728 (2024), che è molto breve, richiede "a tutte le parti del conflitto di cessare le ostilità con effetto immediato per il mese del Ramadan", in vista di una successiva risoluzione definitiva del conflitto per via negoziale. Chiede inoltre "il rilascio incondizionato degli ostaggi" e che tutte le parti del conflitto rispettino gli obblighi che derivano dal diritto internazionale umanitario. Queste richieste non sono tra loro legate da un nesso di condizionalità.

Il testo rappresenta un compromesso tra le diverse proposte avanzate in precedenza dalle varie parti coinvolte, con l'intento di conferire maggiore o minore vincolatività al dispositivo della risoluzione. Gli Stati Uniti, preoccupati per le possibili conseguenze sui negoziati in corso, avevano precedentemente proposto una formulazione più ambigua che sottolineava “l'imperativo di un cessate il fuoco immediato e duraturo”, senza una richiesta esplicita intestata al Consiglio. D’altra parte, la Russia aveva invece richiesto che il cessate il fuoco fosse “permanente” e non limitato al periodo delle festività religiose, ma questo emendamento non è stato accolto.

Il testo della risoluzione non menziona specificamente gli attacchi del 7 ottobre né le responsabilità di Hamas, come auspicato da Israele. Piuttosto, condanna in modo generico "tutti gli attacchi contro i civili [...] e tutti gli atti di terrorismo”. Questo ha portato l’ambasciatore e rappresentante permanente di Israele alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, a definire l'adozione della risoluzione “una vergogna”.

La risoluzione è vincolante per Israele?

La risoluzione ha suscitato reazioni contrastanti. L’ambasciatore dell’Algeria ha affermato che questo può essere il primo passo per porre fine al “bagno di sangue” che sta avvenendo a Gaza. Gli Stati Uniti, pur non opponendosi alla sua adozione – il che lascia pensare a un certo malcontento dell’amministrazione Biden nei confronti delle attuali politiche militari israeliane –  hanno dichiarato sin da subito di non considerarla vincolante. In segno di protesta, Israele ha recentemente annunciato il ritiro dalle trattative in corso in Qatar, e il ministro degli Esteri, Israel Katz, ha detto che il paese non darà seguito all’ordine di cessate il fuoco.

Sebbene sia ragionevole aspettarsi che gli Stati rispettino le decisioni del Consiglio – dato che quest’ultimo agisce per tutelare la pace e la sicurezza comune – è tecnicamente complesso stabilire se le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza siano vincolanti dal punto di vista giuridico. Secondo una parte della dottrina internazionalistica, le uniche disposizioni della Carta che permettono l’adozione di decisioni vincolanti sarebbero gli articoli 41 e 42, che consentono l’adozione di misure coercitive, di carattere sanzionatorio (articolo 41), o di carattere militare (articolo 42), nei casi di minaccia alla pace internazionale o sue violazioni. La Risoluzione 2728 (2024) – probabilmente in virtù della sua natura di compromesso – non contiene alcun riferimento alla base giuridica su cui è stata adottata, per cui è difficile individuarne l’esatto fondamento nella Carta. Non sembrerebbe trattarsi degli articoli 41 e 42, perché il Consiglio non ha formalmente determinato, come richiederebbe preliminarmente l’articolo 39 della Carta, l’esistenza di una minaccia alla pace o una sua violazione.

Nella prassi delle Nazioni Unite, il “cessate il fuoco” è tipicamente considerata una “misura provvisoria” ai sensi dell’articolo 40 della Carta, ossia una misura temporanea che il Consiglio può adottare allo scopo di prevenire l’aggravarsi del conflitto. La risoluzione 2728 rientrerebbe in questa ipotesi, dato che dispone un cessate il fuoco temporaneo e contiene riferimento ai tentativi di negoziati in corso. Solitamente, però, si ritiene che le misure provvisorie non abbiano carattere vincolante, e infatti l’Articolo 40 parla di un “invito” che il Consiglio può rivolgere alle parti di un conflitto e specifica che, in caso di mancato ottemperamento, il Consiglio ne terrà “debito conto”.

Chi sostiene invece che tutte le decisioni del Consiglio siano vincolanti fa leva sul dato letterale dell’Articolo 25 della Carta, che impone agli Stati membri un generale obbligo di osservare e attuare le decisioni del Consiglio di Sicurezza. Questa interpretazione è stata anche fatta propria dalla Corte internazionale di giustizia (Opinione consultiva sulle conseguenze giuridiche della continua presenza del Sudafrica in Namibia del 1971, qui, para. 113).

Bisogna sottolineare che una risoluzione del Consiglio può avere sia un contenuto decisorio (decisioni) sia un contenuto più meramente esortativo (raccomandazioni) e che soltanto il primo sarà da considerarsi vincolante. La Corte internazionale di giustizia ha affermato che il carattere vincolante di una risoluzione debba essere valutato a seconda delle circostanze, del linguaggio utilizzato, delle discussioni tra i membri del Consiglio e delle disposizioni della Carta invocate (Opinione consultiva sulla Namibia, 1971, para. 114). 

Se si guarda al linguaggio utilizzato nella risoluzione 2728, è difficile ritenere che non sia un vero e proprio ordine. Di certo il verbo “demand” (“richiedere” in una traduzione approssimativa) non sembra meramente esortativo. Inoltre, il “cessate il fuoco” è indicato con pretesa di immediatezza e fa riferimento a un periodo di tempo circoscritto, il mese del Ramadan. Considerato che le festività religiose sono tutt’ora in corso, se si considerasse la misura come una raccomandazione, la Risoluzione 2728 verrebbe privata con tutta probabilità di qualsiasi effetto utile. 

D’altro canto, se il Consiglio avesse voluto rivolgere un invito o una raccomandazione, avrebbe potuto utilizzare un linguaggio diverso. Ad esempio, il cessate il fuoco nel conflitto israelo-palestinese del 2006 è stato richiesto per mezzo di formule come “calls for” (Risoluzione 1701/2006).

Formulazioni analoghe a quella della risoluzione 2728 sono state utilizzate in altre risoluzioni considerate vincolanti. Ad esempio la risoluzione 598/1987, che chiedeva un cessate il fuoco immediato tra Iran e Iraq, utilizzava il termine “demands” (“Demands that, as a first step towards a negotiated settlement, the Islamic Republic of Iran and Iraq observe an immediate cease-fire”), ed è stata considerata vincolante da numerosi Stati (qui, pp. 16, 21-22, 27-28), dall’allora Presidente del Consiglio di Sicurezza (qui), e dall’Iraq stesso (vedi. Doc. S/19045 del 14/08/1987), oltreché accettata incondizionatamente dall’Iran (vedi Doc. S/20094 dell’08/08/1988). Lo stesso termine è stato utilizzato nella risoluzione 660 del 1990, che richiedeva il ritiro delle truppe irachene a seguito dell’invasione del Kuwait.

Alcuni studiosi ritengono che possa parlarsi di decisione in senso proprio soltanto quando il Consiglio utilizza termini come “decides”. Tuttavia, in passato sono state riconosciute come vincolanti anche decisioni che utilizzavano termini più esortativi, come “calls upon” (ad es. la Risoluzione 269/1969 e la Risoluzione 276/1970, sul cui punto si può vedere Opinione consultiva sulla Namibia della Corte internazionale di giustizia, 1971, para. 115).

Al momento, in risposta alla posizione statunitense, alcuni Stati tra cui Cina, Russia, Sierra Leone, Francia e Algeria hanno chiarito di ritenere la risoluzione vincolante. In virtù di tutti questi elementi, può affermarsi che Israele debba dare seguito alle richieste del Consiglio di Sicurezza e adempiere all’ordine di cessate il fuoco. Una violazione del dispositivo della risoluzione comporta una violazione degli obblighi assunti da Israele con la partecipazione alle Nazioni Unite e in ultima analisi una violazione del diritto internazionale.

Dal punto di vista giuridico, questo potrebbe comportare eventuali comportamenti ritorsivi e sanzionatori da parte di altri Stati, oltreché l’adozione di misure sanzionatorie da parte degli organi delle Nazioni Unite. Da un punto di vista politico, il mancato ottemperamento da parte di Israele della risoluzione potrebbe aumentare il suo isolamento sulla scena internazionale e conseguentemente allontanarlo dai suoi attuali alleati. Inoltre, solleverebbe interrogativi sulla legittimità delle sue operazioni militari e sui loro obiettivi, considerando che finora esse sono state giustificate come operazioni di legittima difesa (Articolo 51 Carta ONU). 

Va ricordato a questo proposito che il 26 marzo è scaduto il termine per Israele per presentare il report sull’implementazione delle misure provvisorie indicate dalla Corte internazionale di giustizia nel ricorso proposto dal Sudafrica per le presunte violazioni della Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio. Il report è stato presentato ma non è attualmente pubblico.

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La risoluzione è vincolante anche per Hamas?

Una questione leggermente diversa è comprendere se la risoluzione sia vincolante anche per Hamas, dato che Hamas non può essere considerato uno Stato ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Come accennato in precedenza, l'Articolo 25 della Carta dell'ONU stabilisce l'obbligo di rispettare le decisioni del Consiglio di Sicurezza solo per gli Stati membri.

Tuttavia, è ampiamente accettato che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza possano riguardare anche Stati non membri delle Nazioni Unite e attori non statali. A differenza delle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia, che sono vincolanti solo per le parti coinvolte nel procedimento (inevitabilmente Stati) le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non incontrano questo limite, in considerazione della natura speciale della Carta delle Nazioni Unite.

In numerose occasioni, il Consiglio si è rivolto anche ad attori che non sono propriamente considerati Stati, imponendo loro il rispetto di obblighi internazionali. Ad esempio, la Risoluzione 814/1993 e la Risoluzione 1474/2003 sui conflitti in Somalia si sono rivolte rispettivamente anche a "movimenti e fazioni" e "altri attori", mentre la Risoluzione 1160/1998, adottata durante il conflitto in Kosovo, si è rivolta anche alla “leadership albanese del Kosovo”. Pertanto, nella parte in cui la Risoluzione 2728 ordina un cessate il fuoco a tutte le parti coinvolte nel conflitto (“an immediate ceasefire […] respected by all parties”), il Consiglio di Sicurezza si sta inequivocabilmente rivolgendo anche ad Hamas, con pretesi effetti vincolanti. D'altra parte, ancora una volta, se lo avesse voluto, il Consiglio avrebbe potuto utilizzare una formulazione differente. 

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