Noi giornalisti tra bufale, inganni e camionisti contromano
5 min letturaCi scrive Giuseppe Smorto, co-direttore di Repubblica.it (la lettera è vera, abbiamo verificato :D)
Cara Valigia ti scrivo,
perché per me ieri è stata una giornata molto difficile. Capita nelle migliori famiglie, capita a chi fa il più bel mestiere del mondo. Io ogni mattina mi sveglio e mi sento fortunato, come c’è scritto sulla prima schermata di Google però ogni mattina mi dico: attento alla storia del camionista contromano.
Il mio lavoro è di questo tipo: può accadere in cinque minuti di dover analizzare una mozione ambigua sugli F-35 alla ricerca dell’aggettivo, risolvere il caso di un collega che si sfracella il piede giocando a calcio a piano-ferie già fatto, cercare di consolarne un altro che aspetta l’assunzione, rinviare per tre ore una telefonata a casa, capire quanto valga una notizia. E soprattutto se sia vera.
Questo, in verità, è un problema degli ultimi tempi. Nel nostro giornalismo le sacre regole sono le stesse, che tu stia sulla carta, sul web o su una nuvola. Quindi le notizie da controllare sono diventate molte di più. Ma alla base del nostro lavoro quotidiano c’è la fiducia nelle persone e nelle fonti. E poi ci sono le situazioni contingenti.
Se l’Ansa manda un take su Snowden alle 9 del mattino, troverà terreno fertile in una redazione che sta rifacendo totalmente il giornale. E vogliamo discutere l’Ansa? A Repubblica.it è noto il caso del nostro valoroso collega – finito perfino in un film – che chiamò il giornale da Genova, davanti al cadavere di Carlo Giuliani al G8. La risposta fu: “Meglio aspettare l’Ansa”. E questo lo racconto solo perché chi ha risposto in quel modo ha fatto una grande e bella carriera.
Insomma, ieri l’Ansa ci casca su un finto Snowden, e noi con lei. Ci viene il dubbio quando il finto Snowden comincia a delirare sulla razza bianca, blocchiamo tutto, poi Twitter ci aiuta a chiarire (peraltro Twitter annuncia da mesi la morte di Fidel, e ogni volta noi controlliamo). Resta un po’ d’amaro in bocca, un amaro che definirei corporativo. Sulla credibilità si gioca il futuro e l’occupazione di tanti ragazzi, il ruolo dei giornali come voce dei cittadini, quella che un tempo si chiamava opinione pubblica.
Nelle stesse ore, la lettera di una prof finisce in prima su La Stampa e nella rubrica delle lettere di Repubblica. La nostra valutazione è: peccato, potevamo usarla meglio, e bravo Gramellini (lo dico spesso, maledizione). È una valutazione carta-web, allo stesso tavolo. È stato fatto un controllo sul mittente, un giornale concorrente ne ha già parlato, tutto sembra chiaro.
Apriamo così un canale con i lettori, che commentano in gran numero. Si arriva al pomeriggio, ed è un particolare che secondo me conta moltissimo. Cominciano ad arrivare telefonate, La Vita in diretta vorrebbe parlare con la prof. Io – che sto organizzando la serata del sito, con il casino sulla giustizia, l’allarme su Mandela e la partita - scrivo alla prof e dico: “Vuole per caso partecipare a La Vita in diretta?” (in questo momento sto pensando a quanto sono scemo ndr).
Mi risponde via mail un certo Andrea. Lo chiamo, e questo con un’aria tutta soddisfatta, quasi dicendo “Sei su Scherzi a parte”, mi dice che è tutto finto, che è una strategia costruita a tavolino, “che un copy ci ha messo un quarto d’ora a farla”.
Rettifico anche questo pezzo (ed è la seconda volta nella giornata), poi su Twitter scrivo: nessuno crederà più a questa agenzia. Problema relativo, perché come dicevo più su, il problema è la credibilità dei giornali. Credo di averne viste un po’, ma mi mancava ancora il falso costruito a tavolino e difeso dagli autori come vero per 24 ore, per giunta su un tema così lacerante come quello del lavoro.
Ti dico una cosa di passaggio sulla credibilità. L’ultima volta a Perugia, è arrivata una domanda ad Ezio Mauro sulla colonna destra di Repubblica.it. Ora, io non voglio dire che siano contenuti da Treccani (di sicuro valgono una decina di posti di lavoro). Ma tu non immagini, cara Valigia, lo sforzo quotidiano per non pubblicare contenuti sessisti, contenuti scemi, baci-hot a Miami, e veline. E dare nello stesso tempo un po’ di evasione e di entertainment, un momento ludico e innocente ai nostri lettori. Studiare per favore, e poi fare un controllo sui concorrenti.
Questo per dire che un giornale sta aperto 24 ore, fa 400 aggiornamenti in home, produce 150 video, manda a quel paese il ministro che fa saltare il videoforum, fa due milioni e mezzo di lettori al giorno e poi magari deve rispondere sulla colonna destra, invece di risolvere problemi provocati da una (o più) colossali teste di cazzo.
Poi però torna la storia del camionista. Sì, quello che accende la radio e sente: “Avviso urgente, c’è un tir contromano sull’autostrada”. E lui, cercando di schivarne un paio: “Uno? Ma saranno almeno dieci!”. Quindi io mi sento ancora fortunato, e mi sento qualche volta come quel camionista.
Un abbraccio per quello che fate
Giuseppe Smorto
———
Caro Smorto, intanto grazie per questa lettera che ci dà la possibilità di confrontarci e misurarci su questioni che ci stanno molto a cuore. Queste in breve le nostre osservazioni:
1. Sì, vogliamo ridiscutere l'ANSA, come qualsiasi fonte primaria di informazioni. Basterebbe un giornalista che di mestiere verifica le fonti. Non è un lusso, sarebbe un investimento. Se siete i primi a smontare le bufale, sarete sempre più autorevoli (e i lettori si fideranno di voi, e vi leggeranno di più).
2. Però non è Twitter che annuncia la morte di Fidel, sono gli utenti. E si torna al punto uno.
3. Sulla lettera, si può sbagliare soprattutto se dall'altra parte c'è la volontà di trarre in inganno i media (così come è accaduto). Si può cadere nel tranello e si ha il pieno diritto di rispondere, pubblicamente, raccontando la storia. La Repubblica, come Gramellini, oggi ha tutto il diritto di raccontare che esiste un'agenzia di comunicazione che ha strumentalizzato una vicenda che causa dolore a milioni di persone (la disoccupazione) per scopi non chiari (se lo scopo era creare un dibattito, è miseramente fallito, dato che si parla solo del fatto che era una lettera falsa; se lo scopo era farsi conoscere, è legittimo che un giornale faccia sapere al mondo intero che c'è un'agenzia che strumentalizza una vicenda dolorosa in cambio dei soliti 15 minuti di celebrità).
4. La colonna destra dà lavoro a dieci persone, e va benissimo. Ma sostenere che Nicole Minetti è diventata Nicole Minetti grazie alle colonne destre di tutti i quotidiani (sappiamo bene che 'la colonna destra' non è una esclusiva di repubblica.it), vicini e lontani a Berlusconi (con tutte le conseguenze che conosciamo sulla politica e la società italiana), si andrebbe troppo lontano dalla verità? E questo potere dei grandi media (e dei grandi brand come Repubblica) nel (de)formare l'opinione pubblica può essere ridotto solo al rapporto tra numero di visualizzazioni generate e numero di posti di lavoro "salvati"? E inoltre: i click a breve termine sulla colonna destra sono del tutto irrilevanti nella (de)costruzione della reputazione di Repubblica (e di tutti i quotidiani con le colonne destre), a medio e lungo termine? È fisiologico pensare al presente più che al futuro in tempi di crisi, il nostro è solo un piccolo pungolo per il dibattito.
5. 400 aggiornamenti in home e 150 video forse non servono (più). Il sito di Repubblica avrebbe (forse) ottenuto più traffico facendo il debunking di entrambe le storie (e si torna al punto 1) che caricando 5, 6, 10 video e 10 aggiornamenti.
Grazie, in ogni caso, a chi scrive queste lettere, perché permette un dibattito franco e libero.
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