Nino Sarratore, lo “stronzo geniale”
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Uno degli effetti collaterali della morte di Silvio Berlusconi è l’aver denudato una pochezza intellettuale nell’elaborare la sua figura. Parlo di una pochezza quasi esclusivamente maschile e a sinistra: ovvero in quel campo politico che non solo avrebbe dovuto fornire strumenti critici e immaginari, ma anche produrre modelli e incarnare esempi. Perché un certo populismo di destra, godereccio e classista, ha propugnato prima di tutto un modello di mascolinità con cui fare i conti, se non altro per l’ingombrante spazio che occupava. O perché toccava un terreno comune di desiderio al di sotto delle apparenti divisioni ideologiche.
Con l'illustre salma è invece arrivato un profluvio sul padre scapestrato della nazione, i revisionismi storici su un monopolista che ha dato corpo e istituzionalità al conflitto di interessi - a partire dalla discesa in campo per salvare le aziende. Uno spettacolo che ha tradito un deprimente senso di ammirazione. E l’ammirazione, del resto, è uno dei momenti dell'invidia, del guardare l’erba del vicino avendo in mente il colore della propria. Figurarsi l’effetto quando il vicino tiene non una, ma molteplici ville, dove fa festini e "bunga bunga" (eh eh eh). A un certo punto ti viene da desiderare di essere invitato, o ti scopri a sperare che al vicino capiti qualcosa di brutto. Sempre nel campo del deficit di godimento stiamo. Ed emanciparsi dall'ossessione di tenere la villa o l’erba verde è un’arte che nessuna accademia insegna.
Ecco perché in certe analisi del periodo uno si sorprende a pensare, con quella malignità forgiata più dalle beghe di condominio che dai salotti letterari, “chissà questi che problemi tengono a casa”. Ed ecco perché ho trovato la spiegazione di molte parabole professionali inspiegabili in un personaggio letterario: Nino Sarratore, croce e delizia di Elena Greco nella quadrilogia L’amica geniale di Elena Ferrante. Perché in Nino Sarratore il discorso ideologico è una maschera; il colore assunto dal camaleonte mentre si mimetizza con un dato ambiente.
Chi sta seguendo in queste settimane l’ultima stagione della serie L’amica geniale avrà già assistito agli struggimenti di Elena adulta, condannatasi al peggior destino possibile: realizzare il suo sogno d’amore con Nino Sarratore. Figura odiatissima, tanto che “Nino Sarratore merda” è diventato una sorta di bandiera - nonché slogan da merchandising - sotto cui radunare un rabbioso spirito di solidarietà femminile. Uomini nonché colleghi di genere, fate una prova: chiedete a una ferranter di spiegarvi cosa pensa di Nino Sarratore e vi si aprirà un mondo di cui, molto probabilmente, non sapevate di far parte, voi e le vostre citazioni letterarie infilate ovunque, dagli articoli alle chat WhatsApp.
In alternativa, c’è chi si è presa la briga per voi di svolgere tutta la matassa sarratoriana, fino a rivelarne tanto la natura archetipica quanto le ragioni di una così fiera avversione. Lo ha fatto Raffaella Ferré in Lo stronzo geniale (Colonnese Editore), libro che, come recita il sottottitolo, è una “guida semiseria ai Nino Sarratore”. Tema più congeniale che mai all’autrice, perché Ferré ha in dote una vulcanica voce poetica da dirimpettaia decrescenziana, capace di raccogliere i tuoi sfoghi personali mentre alterna discorsi sullo scibile umano. Dal colore giusto per le piastrelle del bagno alle teorie sull’armonia nel mondo antico, passando per i neomelodici napoletani e i podcast true crime, senza dimenticare l’aneddoto sulle proprie sfighe che può accordarsi con le tue, facendoti capire che comunque, dietro quella girandola enciclopedica, c’è un essere umano senza piedistalli:
Quando si tratta di “Personal Nino” – un po’ come il Personal Jesus dei Depeche Mode, solo che qui più che “reach out/touch faith” bisogna dire fuje luntano/tuocc’ fierr’ – ognuno si calma i nervi come può e ha la propria citazione dotta che funziona o dovrebbe funzionare come antiemetico capace di diminuire il disagio di nausea e vomito o nel riuscire a prevenirlo. Ce l’ho anch’io, ovviamente. Perché sì, ho fatto parte del gruppo dei fortunatissimi urticati da questa medusa letteraria e dalle molteplici forme che può assumere nella realtà, altrimenti non sarei qui a scriverne.
La fortuna letteraria di Nino Sarratore, infatti, è di essere prima di tutto una finestra sui disastri delle nostre relazioni: l’avversione che proiettiamo su di lui ci dà la possibilità di vedere da una distanza di sicurezza una parte di noi che abbiamo odiato o che ancora detestiamo. Oppure, stimati colleghi di genere, parliamo di quella parte che è in noi e che dovremmo accompagnare per mano fuori dalle paludi dei nostri egoismi infantili invischiati in corpi adulti.
Sarratore è anche una finestra sugli stereotipi di genere - fa notare Ferré - con cui magari siamo portati a pensare alla “stupidità” del personaggio di Elena, senza soffermarci su come mai un uomo che è per sua stessa natura “un punto interrogativo” può andare per il mondo a far disastri senza mai fare i conti fino in fondo con le proprie responsabilità. Scansando il più possibile attriti e urti, volteggiando da una superficie all’altra, con una voglia (“tenendo genio”, come si dice da quelle parti) insopprimibile di infilarsi in qualunque varco, si tratti di un’opportunità di carriera o di un corpo femminile.
Non è un caso che Sarratore oscilli tra ammirazione e invidia per l’Elena Greco scrittrice. Che la incoraggi, la ostacoli o la derida, il suo atteggiamento verso l'intelligenza della donna è solo una parvenza esteriore. Dentro, invece, siamo sempre dalle parti di un bisogno insoddisfatto che accentra le vite altrui, e che quindi più facilmente può agire sulle donne come oggetti di possesso, funzioni, terminale di seduzioni la cui arte è lecita. La narrativa arriva là dove l’esperienza diretta si ferma, ci mostra la risposta al dubbio di cui sopra, “chissà questo che problema tiene a casa”, sorprendendoci con una domanda: “quale casa?”.
Ci sono stati nel recente passato altri grandi personaggi a foggia di “punto interrogativo” nella fiction, ricorda Ferré, come Mr Big in Sex and the city o Daniel Cleaver nel Diario di Bridget Jones. Ma lì eravamo nel campo della commedia romantica. Sarratore ha più a che fare con il dramma e le nostre tragedie personali. La risata liberatoria, se mai arriva, è sempre oltre la fine dell’arco narrativo, consegnata a una versione più adulta e completa di noi stessi, fuori da relazioni impossibili, fatte di un vocabolario di comportamenti “tossici” che, chissà perché, riusciamo a esprimere solo in lingua inglese, senza validi equivalenti italiani: “gaslighting”, “love bombing”, “breadcrumbing”, “mirroring”, “ghosting” e così via.
Mr Big inoltre era un magnete per “daddy issues”, come si dice in questi casi. Lo “stronzo geniale”, invece, incarna un altro archetipo, che lo accomuna al Silvio nazionale: il trickster, che potremmo tradurre con "imbroglione" o "ciarlatano". Sempre sempre avvinto a una massa informe di desideri che ne costituisce il nucleo, capace di essere ai nostri occhi uno, nessuno o centomila (o “cento nino”). Un piazzista che sa vendere prima di tutto sé stesso, terrorizzato all'idea di restare da solo davanti a uno specchio, in compagnia di un riflesso che non riesce più a sorridere.
Da buona dirimpettaia decrescenziana, Ferré ci indica la strada per fare i conti con il nostro "Personal Nino". Siamo pur sempre di fronte a una guida, e la strada verso l'uscita ha la forma di una lettera di congedo; un misto di spazi vuoti da riempire e formule di congedo elaborate con saggezza. Farsi da parte, saper lasciare la presa, capire quando arrendersi e separare per preservarsi, fare scelte che muovono i nostri piedi in direzione lontana dagli immaginari che ci intrappolano: maturare passa per queste tappe impervie.
Rinunciare può essere una necessità dolorosa imposta dalla vita, come capita con i lutti, o con i rovesci economici. Ma può anche essere un valore, poiché sottrae per un attimo dall’incantesimo collettivo che ci spinge a desiderare senza sosta l’accumulo illimitato. Solo allora si comincia a scoprire quanto è vasto quell'immaginario così inedito, e quanto era piccolo e stretto quello che consideravamo totalizzante. E, cari colleghi di genere, a volte basta davvero capire quando è il caso di farsi da parte, di imparare quanto può arricchire il ruolo del gregario o della spalla, invece di fare a cornate per quello del capobranco.
(Immagine in anteprima: frame via YouTube)