Niente da fare, il mercato del lavoro resta una palude
4 min letturaAncora nessun segnale di ripresa del mercato del lavoro in Italia. Il tasso di disoccupazione a marzo, ha certificato oggi l'Istat, è salito al 13% (+0,2% rispetto al mese scorso), mentre quello di occupazione è sceso in un mese dello 0,1%, arrivando al 55,5%. Dall’inizio del governo Renzi, il tasso di occupazione è diminuito, nonostante abbia mostrato un andamento altalenante durante l’arco dei mesi (figura 1).
Anche il tasso di disoccupazione (fig. 2) non mostra nessun segnale di miglioramento, anzi. Se tra aprile e giugno 2014 era calato rispetto a marzo dello stesso anno, nei mesi successivi il tasso è sempre più alto, nonostante presenti fluttuazioni.
Spesso, le variazioni del tasso di disoccupazione sono state giustificate da quelle di segno opposto del tasso di inattività: quando più gente cerca lavoro (senza trovarlo) il tasso di disoccupazione aumenta. Questo alibi esce sconfitto da una valutazione organica visto che un aumento del tasso di attività è dovuto, nel caso italiano, alla sempre più breve durata dei contratti a zero tutele in caso di licenziamento (o dimissioni forzate) e/o alla riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. Dagli ultimi dati Istat, il tasso di inattività (fig. 3) rispetto a febbraio 2015 rimane invariato, mentre diminuisce dello 0.2% rispetto a marzo 2014, dato trainato dalla componente femminile (-0.5%).
Grave è l’andamento del tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che diminuisce in un anno del 5%. Se è vero che tra maggio e novembre 2014 era aumentato rispetto a marzo dello stesso anno, nonostante fosse caratterizzato da una schiacciante prevalenza di contratti precari, la tendenza (linea rossa) ci parla di una costante riduzione. Questo non è un mercato per giovani, nonostante qualcuno, proprio negli ultimi giorni, abbia provato a scaricare il peso e le responsabilità di una politica economica inefficace proprio sulle giovani generazioni.
Come afferma il prof. Brancaccio:
«i dati evidenziano che a livello macroeconomico il problema della disoccupazione è in primo luogo un problema di pochi posti di lavoro esistenti. Imputarlo a una scarsa disponibilità a lavorare da parte degli italiani, in particolare dei più giovani, è semplicemente un imbroglio».
Un segreto di Pulcinella ben palesato dai dati sulle comunicazioni obbligatorie che mostrano che i posti di lavoro sono pochi e continuano a diminuire. Se nei primi due mesi del 2015, le variazioni nel numero di assunzioni nette erano imputabili esclusivamente agli sgravi contributivi per le imprese, dato che nessun provvedimento sul mercato del lavoro era ancora stato approvato, il mese di marzo è il primo in cui è possibile guardare anche all’effetto del Jobs Act entrato in vigore il 7 dello stesso mese.
Ai dati di gennaio e febbraio, discussi qui, è possibile aggiungere l’informazione, fornita dall’INPS, sulle trasformazioni di contratti a tempo determinato o apprendistato in contratti a tempo indeterminato, permettendo una stima, seppur grezza, della variazione del numero di posti di lavoro a tempo indeterminato.
Il risultato è negativo: delle 303.648 attivazioni di contratti, 95.804 sono trasformazioni, quindi nel primo bimestre del 2015, il numero di posti di lavoro è diminuito di 50.101 unità. Oltre al dato quantitativo relativo a assunzioni e trasformazioni, le informaizoni dell'osservatorio sul precariato dell'INPS ci dicono che i neo assunti a tempo indetermianto tra gennaio e febbraio hanno retribuzioni inferiori ai colleghi assunti nei primi due mesi del 2014, in particolore chi è stato soggetto a trasformazione di contratto da tempo determianto a indeterminato guadagnerà il 4,7% in meno di un altro lavoratore convertito nell'anno precedente.
Riguardo il mese di marzo, il ministero del Lavoro fornisce anche il dato sulle trasformazioni (40.034) mentre le attivazioni nette sono state 31.370: ricalcolando come per gennaio e febbraio, i posti di lavoro diminuiscono di 8.664 unità. Ad oggi gli sgravi e il Jobs Act non sono stati in grado di produrre nessun miglioramento in termini occupazionali. Al contrario, i due provvedimenti del governo hanno creato un trasferimento monetario dalle casse dello Stato alle imprese, dal momento che nessun provvedimento di politica economica volta all’aumento della domanda interna di consumi e investimenti li ha accompagnati. Le aziende senza nuovi ordinativi e commesse non hanno alcun incentivo ad assumere nuovi lavoratori e ad aumentare quindi la propria capacità produttiva.
Siamo il Paese che non può permettersi neppure di parlare di jobless recovery, cioè di una ripresa che tuttavia non crea lavoro, perché semplicemente siamo ancora in una fase di completa stagnazione della produzione, dei redditi e del lavoro, contrariamente a quanto continua ad affermare il ministro Poletti, citando anche la BCE. Il clima di fiducia, infatti, iniziato già nel 2013, quindi ben prima delle riforme dell’attuale governo, torna a ridursi a marzo, sia da parte delle famiglie che delle imprese. Sempre nello stesso periodo il fatturato delle imprese “diminuisce in termini tendenziali dello 0,9%, con un calo dell'1,6% sul mercato interno ed un incremento dello 0,8% su quello estero”. Anche gli ordinativi (le commesse) non mostrano alcun segnale di ripresa rispetto allo scorso anno, infatti questi tra gennaio e febbraio 2015 e lo stesso bimestre del 2014 diminuiscono dell’1.7% (dato grezzo). Lo stesso vale per la produzione industriale che diminuisce “nella media dei primi due mesi dell'anno dell'1,1% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente”.