Chi è Narges Mohammadi, l’attivista che ha vinto il Nobel per la Pace mentre è detenuta in Iran
|
Una vita dedicata alla difesa dei diritti umani, contro il regime sciita e la sua sistematica oppressione delle donne. L'attivista iraniana, Narges Mohammadi, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per le sue lotte che durano da oltre 20 anni, ma l'11 dicembre non ha potuto partecipare alla cerimonia ufficiale: dal 2021 è di nuovo in carcere, è stata condannata a 31 anni di pena e 154 frustate. Al suo posto c’erano i figli Kiana e Ali, di 17 anni, che vivono in esilio in Francia da quando ne avevano nove. A turno hanno letto il discorso scritto in cella dalla madre, che si scaglia contro il regime di Ali Khamenei:
“Sono una donna mediorientale e vengo da una regione che, nonostante la sua ricca civiltà, è ora intrappolata tra la guerra, il fuoco del terrorismo e l'estremismo. L'hijab obbligatorio imposto dal governo non è né un obbligo religioso né una tradizione culturale, ma piuttosto un mezzo per mantenere l'autorità e la sottomissione in tutta la società”.
Conferire il Premio Nobel per la Pace a lei è stato un omaggio a tutti gli iraniani che hanno lottato contro il regime, e soprattutto alle donne che sono scese in piazza nell’ultimo anno con lo slogan “Donna, vita, libertà”. Nel frattempo, le autorità iraniane hanno impedito ai familiari di Mahsa Amini – la giovane curda-iraniana morta l’anno scorso a 22 anni mentre era sotto la custodia della polizia morale per non avere indossato in modo corretto il velo – di partire per ritirare il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.
Ma facciamo un passo indietro. Chi è Narges Mohammadi? Cinquantuno anni, laureata in matematica e fisica, con la passione per il canto e l'alpinismo, è una giornalista e attivista per i diritti delle donne, sostenitrice della campagna contro la pena di morte. Negli ultimi 25 anni Mohammadi è stata ripetutamente condannata dai tribunali della Repubblica islamica ed è stata incarcerata ben 13 volte. La sua vita la racconta lei stessa nel documentario Unbreakable - My fight for freedom in Iran, che oltre a ripercorrere la sua storia dà voce ai suoi familiari che vivono in esilio, agli attivisti politici, alle vittime di tortura.
Il regime non è riuscito a silenziarla neanche durante la detenzione. “Dalla prigionia, Narges Mohammadi è stata in prima linea nelle grandi proteste contro il regime iraniano nell'autunno del 2022”, si legge sul sito del Premio Nobel. Le sue lettere infiammano il popolo e rappresentano importanti denunce sulle condizioni delle carceri iraniane e sulla violenza esercitata contro i prigionieri.
“Sto scrivendo questa prefazione nelle ultime ore del mio permesso a casa. Molto presto sarò costretta a tornare nella mia prigione... Questa volta sono stata giudicata colpevole a causa del libro che state tenendo tra le mani”.
È l’incipit di White torture, libro uscito alla fine del 2022 e firmato da Mohammadi, che ha messo insieme 14 interviste a donne che sono state detenute e torturate dal regime, che raccontano cosa succede là dove nessuno guarda. I detenuti sono rinchiusi in celle di due metri per tre illuminate in modo permanente, anche se spesso senza luce naturale: per questo si parla di “tortura bianca”. Il risultato è una completa perdita di controllo: le persone perdono il senso del tempo, dello spazio e del proprio corpo. La tortura bianca non lascia cicatrici visibili, ma comporta traumi molto difficili da superare. La maggior parte cede e rilascia confessioni false, con il rischio poi di essere condannato a morte. Per chi sopravvive, il trauma spesso comporta disturbi e crolli psicologici, fino in certi casi ad arrivare al suicidio.
Oggi Mohammadi si trova nel famigerato carcere di Evin a Teheran, dove sono detenuti centinaia di prigionieri politici. Da 18 mesi non riceve visite e non parla al telefono con il marito e i figli. Amnesty International denuncia che le sono state negate le cure mediche, nonostante soffra di una malattia polmonare. Eppure lei non smette di lottare: “Anche dalle prigioni, dove ci sono tantissimi attivisti e intellettuali, il movimento va avanti”, ha spiegato a Valigia Blu Shiva Boroumand, attivista per i diritti umani iraniana che oggi vive in Italia e fa parte di diverse associazioni.
A distanza di oltre un anno dal decesso di Mahsa Amini, le proteste non si fermano, nonostante siano già morte più di 600 persone (tra cui 79 minorenni) e oltre 22mila siano state arrestate. In occasione dell’anniversario della morte della ragazza che è diventata il volto della sollevazione, le autorità iraniane hanno arrestato diversi familiari delle vittime delle proteste, compreso il padre della stessa Mahsa Amini. Dal reparto femminile del carcere di Evin, Narges Mohammadi insieme ad altre sei prigioniere politiche – Azadeh Abedini, Sepideh Gholian, Shakila Manafzadeh, Golrokh Iraee, , Mahboubeh Rezaei e Vida Rabbani – ha inviato un comunicato in solidarietà “con il popolo” e per protestare contro il regime.
Narges Mohammadi è la 19esima donna a vincere il Premio Nobel per la Pace e la seconda iraniana dopo l’attivista per i diritti umani, Shirin Ebadi, premiata nel 2003. La sua ultima battaglia è cominciata proprio il giorno della consegna del Premio: lo sciopero della fame in solidarietà con la minoranza religiosa baha'i, la più grande dell'Iran, bersaglio di una discriminazione mirata.
“Il popolo iraniano smantellerà l'ostruzionismo e il dispotismo attraverso la sua perseveranza”, ha scritto Mohammadi nella sua lettera per il Nobel. “Non abbiate dubbi: questo è certo”.
Immagine in anteprima via nobelprize.org