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L’attacco di Musk ai giudici italiani e l’ascesa fascista globale degli oligarchi della Silicon Valley

15 Novembre 2024 7 min lettura

L’attacco di Musk ai giudici italiani e l’ascesa fascista globale degli oligarchi della Silicon Valley

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Elon Musk è entrato a gamba tesa nella politica italiana, attaccando a testa bassa la magistratura italiana.

Nel commentare la sentenza del tribunale di Roma che per la seconda volta non ha convalidato il trattenimento dei migranti nei centri di detenzione in Albania, Musk ha scritto su X che “questi giudici se ne devono andare”.

Non pago, ha poi rincarato la dose. Citando un post dell’influencer di estrema destra Ian Miles Cheong, secondo cui “al governo di Giorgia Meloni in Italia non sarà consentito espellere gli immigrati clandestini” (cosa non vera), l’imprenditore sudafricano si è provocatoriamente chiesto: “Il popolo italiano vive in una democrazia o è un'autocrazia non eletta a prendere le decisioni?"

Non è la prima volta che Musk interviene sulle politiche migratorie dell’Italia con affermazioni fuorvianti o totalmente allineate a quelle del governo Meloni, oppure se la prende con i magistrati italiani.

Lo scorso settembre aveva definito “pazzo” il pubblico ministero che ha chiesto sei anni di reclusione per Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio per avere impedito nel 2019 lo sbarco di 147 migranti soccorsi dall’ong spagnola Open Arms.

Prima ancora, nel settembre del 2023, Musk aveva rilanciato un post dell’account razzista ed estremista @RadioGenoa, in cui sosteneva falsamente che alcune “ong finanziate dal governo tedesco” stessero “raccattando clandestini” in giro per il Mediterraneo “da scaricare in Italia”.

Ma ora Musk non è soltanto il proprietario di X: è uno dei principali artefici della rielezione di Donald Trump, nonché il responsabile del cosiddetto “Dipartimento per l’efficienza governativa” (che in realtà è più un comitato consultivo che un vero e proprio dipartimento).

In altre parole, ricopre un ruolo politico e lavora per il governo di un altro paese straniero. Dopo il 5 novembre del 2024, le sue parole hanno un peso sensibilmente diverso.

È per questo motivo che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche in qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, si è sentito in dovere di intervenire con un comunicato molto duro.

“L’Italia è un grande paese democratico che […] sa badare a sé stesso nel rispetto della sua Costituzione”, si legge. “Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni”.

Gli interessi di Musk in Italia

Se la posizione di Mattarella è netta, quella del governo italiano è stata molto tiepida – se non esplicitamente dalla parte di Musk.

Matteo Salvini ha detto che l’imprenditore sudafricano “ha ragione”, mentre il vicesegretario della Lega Andrea Crippa ha giustificato così l’attacco del proprietario di X: “noi a volte interveniamo per dare pareri sulla politica americana, non vedo perché Elon Musk non può intervenire dando un suo parere sulla politica italiana".

Dal canto suo, Meloni non ha commentato in via ufficiale l’accaduto. L’ha fatto soltanto in via ufficiosa, cioè con i retroscena, facendo sapere di “ascoltare sempre con grande rispetto le parole del presidente della Repubblica”.

È un silenzio paradossale, se si pensa che per anni (insieme a Salvini) ha denunciato le inesistenti ingerenze del finanziere George Soros. Al tempo stesso, è spiegabile con l’alleanza politica che la Presidente del Consiglio ha stretto con Musk da quando è a Palazzo Chigi.

Da un lato Meloni può contare su una sponda nella Casa Bianca trumpiana, e comunque in un megafono globale che amplifica la sua propaganda; dall’altro, Musk ha una via preferenziale per promuovere i suoi interessi in Italia e nell’Unione Europea.

Come ha raccontato il Corriere della Sera, da tempo a Palazzo Chigi è in corso un dialogo per la fornitura di satelliti Starlink che “garantirebbero connessioni sicure alle istituzioni italiane”, durerebbe cinque anni e varrebbe 1,5 miliardi di euro.

Il governo sta inoltre pensando di appoggiarsi a Musk per raggiungere gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per quanto riguarda la connettività del paese.

Il piano “Italia a 1 Giga”, ricorda Luca Zorloni su Wired, è uno dei “progetti cardine per la digitalizzazione” ma è indietro sulla tabella di marcia dei lavori. Da qui l’idea di coinvolgere l’imprenditore sudafricano, che tuttavia è piuttosto complicata dal punto di vista tecnico, legale e giudiziario – come ha dimostrato l’inchiesta su Sogei. Inoltre, non è vista di buon occhio dalle istituzioni comunitarie.

A tal proposito, Musk è vicino a Meloni e Salvini anche per un altro motivo: gli serve una mano nella sua battaglia contro il Digital Services Act (DSA), le regole dell’Unione Europea sui servizi digitali. La Commissione europea ha infatti avviato una procedura formale di infrazione contro X per presunte violazioni del DSA.

Se quest’ultime dovessero essere confermate, la piattaforma di Musk potrebbe essere colpita da una multa pari al 6% del fatturato globale. Si tratta di una cifra vicino a 300 milioni di dollari, che potrebbe mettere in seria difficoltà un’azienda che ha perso moltissimo del suo valore iniziale e naviga in pessime acque finanziarie.

L’influenza di Musk sulla Casa Bianca trumpiana

L’Italia non è un caso eccezionale, ma soltanto uno dei paesi in cui Musk attua un modus operandi ormai collaudato: sostenere leader di estrema destra con il suo peso economico e mediatico, in cambio di affari per le sue aziende e protezioni politiche dalle istituzioni internazionali e dalle autorità di controllo nazionali.

Una situazione simile alla nostra, ad esempio, si è verificata in Argentina. L’imprenditore sudafricano ha sostenuto Javier Milei prima, durante e dopo la campagna elettorale, invitando i suoi 200 milioni di follower su X a investire nel paese (un consiglio che non hanno seguito in molti, a giudicare dal disastroso andamento dell’economia argentina).

Al di là dell’affinità ideologica, Musk è interessato soprattutto al litio – un metallo che serve a produrre le batterie per le Tesla – di cui l’Argentina è il quarto paese estrattore al mondo.

Milei ha promesso di aumentare la capacità estrattiva aprendo nuove miniere e togliendo le misure di protezione ambientale per attrarre capitali stranieri (tra cui quelli di Musk). Inutile dire che il piano del presidente argentino ha pesantissime ricadute ecologiche e sociali sulle comunità locali nelle province di Catamarca, Salta e Jujuy.

L’appoggio a Donald Trump, chiaramente, è il punto culminante di questa strategia. Musk ha investito centinaia di milioni di dollari nella campagna di rielezione e, di fatto, si è comprato un posto privilegiato all’interno della Casa Bianca.

Formalmente, per l’appunto, dovrebbe occuparsi di tagliare gli “sprechi” della burocrazia con il suo “Dipartimento per l’efficienza governativa”; in realtà, come sostengono varie analisi, il suo vero ruolo è quello di vicepresidente ombra.

Secondo un recente articolo del New York Times, Musk ha ormai “acquisito un’aura mitologica nell’entourage di Trump” – al punto tale da essere acclamato ogni volta che si presenta agli eventi organizzati a Mar-a-Lago, la villa di Trump a Palm Beach in Florida.  

In questi giorni l’imprenditore “sta esercitando una profonda influenza sulla transizione al potere di Donald Trump”, e questo lo rende senza alcun dubbio “il più potente cittadino privato d’America”.

Musk ha infatti partecipato al processo di selezione dei segretari e dei funzionari più importanti, alle telefonate di Trump con vari capi di stato (tra cui Recep Tayyip Erdogan e Volodymyr Zelensky), e addirittura a una riunione dedicata sulla sicurezza interna degli Stati Uniti con il futuro vice capo di gabinetto Stephen Miller e il figlio Donald Trump Jr.

Oltre a ciò, l’imprenditore sudafricano sta cercando di piazzare i suoi amici della Silicon Valley e del settore tech statunitense dentro la nuova amministrazione trumpiana.

Se dovesse riuscirci la Casa Bianca si riempirebbe di miliardari in palese conflitto d’interessi, visto che molti di loro hanno appalti attivi con il governo federale. E lo stesso Musk assumerebbe un potere tale da diventare una sorta di stato nello stato.

L’assalto alla democrazia dei “broligarchi”

Ma del resto, è proprio questo l’obiettivo del proprietario di X e dei “broligarchi” – un neologismo nato dall’unione tra “brother” (fratello) e oligarca, che indica quei magnati della Silicon Valley su posizioni antifemministe, anti-woke, antistatali e antidemocratiche.

Il loro sostegno a Trump è recentissimo. Nel 2016, infatti, uno dei pochi tycoon a sostenere Trump era Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e grande finanziatore del vicepresidente JD Vance; nel 2024, invece, sono stati in molti altri a farlo. Trump, del resto, ha promesso tagli fiscali e deregolamentazioni a tappeto anche nel mercato delle criptovalute (che infatti è schizzato alle stelle dopo l’elezione).

Il candidato repubblicano, insomma, è stato visto come un protettore dei loro interessi. Sia a breve termine, cioè nei prossimi quattro anni; sia a medio-lungo termine, come un mezzo per liberarsi di ogni controllo statale – dalle tasse fino alla legislazione antitrust – e del controllo di altre istituzioni, su tutte la stampa.

Questo, del resto, è un vecchio pallino di Peter Thiel e della corrente reazionaria e tecno-libertariana della Silicon Valley. Nel suo manifesto L’educazione di un libertariano, pubblicato nel 2009, il magnate statunitense rigettava del tutto la “politica elettorale” e ribadiva la necessità per gli ultraricchi di “fuggire dallo stato”.

Nel passaggio più agghiacciante di quel breve testo, Thiel spiegava poi che “la democrazia e la libertà non sono per forza di cose compatibili”.

Il senso di quella frase era molto chiaro: la loro libertà, quella dei magnati, vale più della democrazia.

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La separazione dei poteri, lo stato di diritto e le carte costituzionali sono soltanto dei fastidiosi ostacoli all’accumulazione della ricchezza e alla circolazione dei loro capitali; vanno pertanto rimossi, senza pensarci su troppo. E vanno tolti in tutto il mondo.

Ora, a quindici anni di distanza da quel manifesto, ci sono tutte le condizioni perché si realizzi il sogno antidemocratico di Thiel.

I leader di estrema destra, foraggiati da Musk e dai “broligarchi”, sono ben contenti di adeguarsi a questa agenda intrinsecamente fascista: dopotutto, coincide perfettamente con i loro propositi di smantellare la democrazia liberale.

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