L’impero mediatico del male della famiglia Murdoch
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Dopo settant’anni di regno ininterrotto, il 21 settembre del 2023 Rupert Murdoch ha annunciato che non sarà più il presidente dei colossi mediatici Fox e News Corp.
In una nota interna, riportata per primo dal Wall Street Journal (controllato da Murdoch), il magnate australiano ha scritto che “per tutta la mia vita professionale ho avuto a che fare ogni giorno con le notizie e le idee, e questo non cambierà. Per me questo è il momento giusto di assumere ruoli diversi”.
Nel medesimo comunicato, il 92enne ha spiegato di “stare bene” e ha infine sciolto ogni dubbio sulla sua successione – un tema su cui si speculava incessantemente da anni e che è stato pure alla base della serie televisiva Succession, in larga parte ispirata alla famiglia Murdoch.
A prendere le redini del colosso mediatico sarà infatti il figlio 52enne Lachlan Murdoch: quello più allineato alla visione affaristica e politica del padre, che l’ha descritto come un “leader appassionato e di sani principi”.
Dal canto suo, Lachlan si è complimentato con il genitore per la lunga carriera e per il “suo spirito da pioniere, la sua incrollabile determinazione e l’eredità che lascia alle aziende che ha fondato e alle persone su cui ha avuto un impatto”.
Ma l’eredità di Murdoch va ben oltre le televisioni e i giornali che possiede; ed è un’eredità a dir poco controversa, segnata da scandali di ogni tipo, interferenze con il processo democratico di vari paesi – Stati Uniti in primis – e l’indissolubile intreccio con la destra radicale e populista.
Dal momento dell’annuncio, infatti, Murdoch è stato definito un “avvelenatore di pozzi”, un “pericolo enorme per la democrazia”, l’uomo che ha lasciato gli Stati Uniti “più arrabbiati e più divisi che mai dai tempi della guerra civile”, un dottor Frankenstein che ha creato tanti mostri (su tutti Donald Trump), il “cattivo della crisi climatica” (per aver dato ampio spazio alle tesi negazioniste) nonché “una macchia sulla psiche del mondo”.
In altre parole: una specie di tiranno a capo del più grande impero mediatico del male della storia.
Ma com’è riuscito a concentrare così tanto potere? Che conseguenze profonde ha avuto questa accumulazione senza precedenti? E quale sarà il futuro dell’impero?
Di cosa parliamo in questo articolo
La creazione dell’impero di Murdoch, da Adelaide al Regno Unito
Tutto parte da un singolo quotidiano locale australiano: il The News di Adelaide, ereditato dal padre Keith nel 1953.
L’allora 22enne Murdoch torna in Australia dall’Inghilterra (dove stava studiando a Oxford) e lo trasforma in un tabloid. La scommessa paga in tempi relativamente brevi: negli anni Sessanta si espande in ogni stato australiano e lancia il primo quotidiano a tiratura nazionale, The Australian.
La sua influenza sulla politica è evidente già all’epoca: i suoi giornali di fatto creano e distruggono Gough Whitlam, il primo premier laburista dell’Australia dal 1949. In un rapporto diplomatico statunitense si legge che Murdoch aveva personalmente ordinato ai direttori dei suoi giornali di “uccidere [politicamente] Whitlam” – cosa poi puntualmente successa nel 1975.
Dopo aver consolidato la sua posizione in Australia, il magnate sbarca nel Regno Unito comprando i tabloid The Sun e News of the World. Alla fine degli anni Settanta tira la volata elettorale a Margaret Thatcher, che ricambia il favore una volta diventata premier: grazie a un patto segreto (rivelato solo molti anni dopo), Murdoch viene lasciato libero di comprare i quotidiani Sunday Times e Times in totale spregio della legislazione antimonopolistica.
Per tutti gli anni Ottanta, i giornali britannici di Murdoch sono allineati con i governi conservatori. Ma negli anni Novanta il magnate inverte la rotta, decidendo di puntare su Tony Blair e la sua “terza via”.
È una mossa spregiudicata, ma pure questa volta le cose gli vanno bene: Blair diventa premier nel 1997. La sua relazione con Murdoch, definita “quasi incestuosa”, si rafforza quando il magnate sostiene l’entrata in guerra contro l’Iraq – una decisione vista negativamente dalla maggioranza dell’opinione pubblica britannica.
In cambio, ancora una volta, gli viene lasciato campo libero negli affari – cosa che continueranno a fare pure i successori di Blair. Nel tentativo di diversificare gli investimenti, Murdoch lancia la tv satellitare Sky UK – poi fusa con la rivale BSB, da cui viene fuori BSkyB – e riesce ad accaparrarsi i diritti per trasmettere le partite della Premier League.
Nel 2010 fa un’offerta da quasi 8 miliardi di sterline per prendere il controllo totale di BSkyB, di cui deteneva il 39 per cento delle azioni. L’obiettivo di Murdoch è quello di fondere le televisioni con i giornali, andando così a creare il più grande conglomerato mediatico del Regno Unito.
Ma nel 2011, lo scandalo che colpisce il News of the World fa saltare tutto. Per anni, infatti, i giornalisti del tabloid avevano illegalmente intercettato i telefoni di celebrità, politici, dipendenti della famiglia reale e addirittura di una tredicenne (Milly Dowler) scomparsa e trovata morta nel 2022.
I risultati dell’inchiesta giudiziaria, poi confluiti nel rapporto Leveson, sono devastanti: la famiglia Murdoch viene descritta come una sorta di entità oscura che ha accumulato troppo potere, e lo stesso Rupert una “persona non adatta” a controllare un gruppo mediatico internazionale.
Il magnate è dunque costretto a chiedere pubblicamente scusa, e soprattutto a chiudere News of the World. È un duro colpo: per un momento, infatti, sembra che sia arrivata la fine del suo regno mediatico – almeno nel Regno Unito.
Ma è solo un’illusione, per l’appunto. Se in Europa le cose non vanno alla grande, al di là dell’Atlantico è tutta un’altra storia.
La voce più rumorosa nella stanza: lo sbarco negli Stati Uniti e la nascista di Fox News
Murdoch sbarca negli Stati Uniti all’inizio degli anni Settanta, prima con l’acquisizione di diversi giornali locali e poi del tabloid New York Post.
Il copione è più o meno uguale a quello che si è visto all’opera nel Regno Unito: mettere a disposizione i propri media ai politici di destra in cambio di favori nel campo degli affari.
Nel 1980 incontra l’avvocato Roy Cohn – ex consulente del senatore anticomunista Joseph McCarthy e mentore di Donald Trump – che lo introduce nel cerchio magico di Ronald Reagan, che di lì a poco sarebbe diventato presidente anche grazie ai media di Murdoch.
Per sdebitarsi, l’amministrazione reaganiana gli regala la cittadinanza – un passaggio obbligato per comprare le televisioni – e gli permette di controllare tv e giornali nello stesso stato, eludendo così le norme antitrust.
Nel 1986 fonda la Fox, che diventa il quarto network nazionale dopo ABC, CBS e NBC. Murdoch però non si accontenta: è geloso di Ted Turner, e vuole anche lui una CNN – di destra però. La realizza nel 1996 insieme a Roger Ailes, un ultraconservatore che ha lavorato per Richard Nixon, Ronald Reagan e George H. W. Bush, e che molti anni più tardi sarà accusato di molestie sessuali da più di venti donne.
Fox News applica lo stile sensazionalista dei tabloid alla televisione, senza fare mistero di schierarsi dalla parte dei repubblicani.
Ma il canale va ben oltre la partigianeria: è a tutti gli effetti una macchina da guerra propagandistica che disprezza le più basilari regole giornalistiche, determina fortune (e sfortune) politiche, disintegra nemici politici (interni ed esterni), diffonde teorie del complotto, sparge razzismo e islamofobia a piene mani, rilancia il più bieco e irresponsabile negazionismo climatico, e radicalizza l’intero dibattito pubblico statunitense.
Se da un lato imprime una svolta radicale alla destra americana – dando ad esempio moltissimo spazio al movimento dei Tea Party, o a conduttori estremisti come Glenn Beck e Tucker Carlson – dall’altro il canale cavalca lo spirito dei tempi, intercettando gli umori profondi della base conservatrice.
E non lo fa solo negli Stati Uniti. A pochi anni dallo scandalo di News of the World, i media di Murdoch tornano a condizionare l’orientamento degli elettori in occasione del referendum sulla Brexit.
Il Sun, ad esempio, lancia una campagna forsennata per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea – un vecchio pallino del magnate. Ed è anche grazie ai suoi tabloid che, a sorpresa, il Leave vince di poco.
Dopo il voto, Murdoch dice che il paese si è finalmente liberato dalla “prigione europea” e festeggia con Nigel Farage, uno degli architetti della Brexit.
La presidenza Trump, le elezioni del 2020 e lo scandalo Dominion
Ma il prodotto di punta di Fox News è senz’ombra di dubbio un altro: Donald Trump.
Per anni, se non decenni, Trump è una presenza costante nei media di Murdoch – prima sui tabloid e poi su Fox News, in particolare nella trasmissione Fox & Friends.
Ma un conto è fare la personalità mediatica, un ruolo che Murdoch ritiene appropriato per uno come Trump; ben altro conto è candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti.
E infatti, l’annuncio della candidatura viene accolto dal magnate australiano (e persino da Ailes) in maniera molto tiepida – per non dire glaciale. Secondo una lunga inchiesta di Jonathan Mahler e Jim Rutenberg pubblicata sul New York Times, Murdoch pensa che Trump sia “una persona non seria” se non direttamente “un fottuto idiota”.
In un primo momento, dunque, la copertura non è particolarmente entusiasta: Fox News sembra preferire i candidati Ted Cruz e Marco Rubio. Trump si lamenta costantemente di questo trattamento, anche perché è evidente che la base repubblicana pende dalla sua parte.
A complicare il quadro per Fox News ci sono i nuovi media ultraconservatori – tra tutti Breitbart News – che sostengono entusiasticamente Trump e rischiano di togliere spettatori preziosi.
Non resta dunque che adeguarsi, seguendo il corso della storia. Il canale si trasforma in uno sfrenato organo di propaganda del candidato: i conduttori anti-Trump vengono messi all’angolo, mentre quelli trumpiani come Sean Hannity sono elevati al rango di stelle della programmazione.
Murdoch è comunque convinto che sarà la candidata democratica a vincere le presidenziali; ma, come sappiamo, non va affatto così.
Per Mahler e Rutenberg, la vittoria di Trump coincide con il picco dell’impero politico-mediatico di Murdoch. Fox News e il 45esimo presidente diventano praticamente una cosa sola. Nel 2018, giusto per fare un esempio, Hannity interviene nel comizio conclusivo di Trump prima delle elezioni di metà mandato.
Ma è con le presidenziali del 2020 che il rapporto simbiotico tra Fox News e Trump rivela appieno i suoi aspetti patologici.
Il canale si accoda acriticamente alla narrazione trumpiana delle elezioni “rubate”, e rilancia a tutto spiano teorie del complotto sui presunti brogli che avrebbero regalato la vittoria a Joe Biden. Il tutto, com’è emerso da svariate conversazioni private, sapendo perfettamente che Trump aveva perso e che le elezioni si erano svolte regolarmente.
È una scelta che Fox News pagherà a carissimo prezzo: per la precisione, 787.5 milioni di dollari. Questa è la somma pagata a titolo di risarcimento a Dominion, un’azienda che era stata falsamente accusata di aver truccato il voto elettronico.
Stando all’ultimo libro del giornalista Michael Wolff, dedicato proprio ai Murdoch, Rupert si aspettava di pagare soltanto 50 milioni di dollari.
Ed è anche per questo che – sempre secondo la stampa statunitense – i rapporti tra la famiglia Murdoch e Donald Trump si sono raffreddati non poco.
Il futuro dell'impero e i danni irreversibili alla democrazia
A tal proposito, la gestione della campagna per il 2024 è uno dei dossier più scottanti sul tavolo di Lachlan; anche perché il figlio maggiore non ha alcuna simpatia per Trump.
Nel libro di Wolff c’è un aneddoto indicativo: durante la campagna del 2016, Lachlan aveva fatto mettere della carta igienica con la faccia di Trump nella sua villa a Los Angeles. E quando ha vinto le presidenziali, sua moglie e i figli “sono scoppiati a piangere”.
Ma per il resto, il suo orientamento è ancora più ideologico, radicale e brutale di quello del padre.
L’ascesa di Tucker Carlson – il conduttore più estremo all’interno della storia di Fox News, licenziato dopo il risarcimento a Dominion – è stata favorita da Lachlan in persona, che l’ha difeso quando ha fatto commenti razzisti.
Ed è sempre Lachlan ad aver voluto la radicalizzazione di Sky News Australia, che per certi versi è più complottista ed estremista di Fox News. Per non parlare poi della disinformazione climatica portata avanti dai giornali del gruppo, che negli ultimi anni si è addirittura intensificata.
Come il padre, inoltre, anche Lachlan è stato accusato di aver fatto fuori (almeno politicamente) un primo ministro australiano: il conservatore moderato Malcom Turnbull. Nel 2018 una fronda del Partito Liberale si era opposta all’implementazione degli accordi di Parigi sul clima; i giornali e le tv di Murdoch si erano avventati su Turnbull, invocando la ribellione interna e dichiarandolo un “morto che cammina”.
Alla fine, il primo ministro era stato sfiduciato dal partito e costretto a rassegnare le dimissioni. I (pochi) quotidiani australiani non posseduti dalla News Corp. avevano parlato di un “colpo di stato” orchestrato dalla famiglia Murdoch. L’ex premier laburista Kevin Rudd l’aveva addirittura definita “il cancro che si sta mangiando il cuore della democrazia australiana”.
Insomma: la linea scelta da Rupert Murdoch è quella della continuità assoluta.
Tuttavia, tenere insieme l’impero – almeno per come lo si è conosciuto finora – sarà piuttosto difficile.
Anzitutto, la morte di Rupert Murdoch potrebbe scatenare una guerra per la successione tra fratelli e sorelle, che hanno gli stessi voti all’interno del trust familiare che controlla le aziende. Tra il figlio minore James e quello maggiore Lachlan, ad esempio, ci sono da tempo profondi dissapori.
I grandi cambiamenti tecnologici e digitali, inoltre, minacciano le fondamenta su cui è stato fondato l’impero: la carta stampata e la televisione. E non è detto che Lachlan riesca a navigare in questo mare piuttosto agitato e imprevedibile.
Comunque vada, l’influenza nefasta e tentacolare dei Murdoch ha già provocato danni irreversibili alle democrazie occidentali – e potrebbe non essersi esaurita con l’uscita di scena del fondatore.
Immagine di anteprima via Wikimedia Commons