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Il premio Nobel per la pace, Dmitrij Muratov: “In Ucraina Putin combatte la sua personalissima Seconda guerra mondiale, distruggendo il futuro dei nostri figli”

4 Aprile 2022 34 min lettura

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Il premio Nobel per la pace, Dmitrij Muratov: “In Ucraina Putin combatte la sua personalissima Seconda guerra mondiale, distruggendo il futuro dei nostri figli”

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Poche settimane dopo l'inizio dell'invasione russa in Ucraina, la giornalista e documentarista russa Katerina Gordeeva ha intervistato il premio Nobel per la Pace e direttore del giornale indipendente russo Novaja Gazeta, Dmitrij Muratov. L'intervista originale in russo è stata messa online lo scorso 7 marzo. Il 28 marzo, dopo 28 anni di attività, Novaya Gazeta ha sospeso fino alla fine della guerra le pubblicazioni dopo aver ricevuto un secondo richiamo dal Roskomnadzor, l'agenzia statale russa per il controllo sui media. A inizio marzo è entrata infatti in vigore una legge che punisce chiunque diffonda quelle che sono ritenute dal governo "notizie false" sull'invasione dell'Ucraina. Chi si ostina a dare versioni diverse da quella indicata rischia fino a quindici anni di reclusione. I media statali definiscono l’invasione della Russia in Ucraina una “operazione militare speciale” piuttosto che “guerra” o “invasione”. In base alla legge recentemente approvata, in Russia due ammonimenti sono sufficienti per far chiudere un giornale. "La Russia bombarda l'Ucraina", è stato l'ultimo titolo a caratteri cubitali prima della sospensione delle pubblicazioni.

Novaya Gazeta è una delle più importanti testate indipendenti russe. Diversi suoi giornalisti dal 2000 sono stati uccisi per le loro inchieste. Tra questi Anastasia Baburova, Yuri Shchekochikhin e Anna Politkovskaja, autrice di importanti reportage sulla seconda guerra cecena e sulle violazioni dei diritti umani all’interno della Federazione Russa. Politkovskaja è stata uccisa il 7 ottobre 2006.

Pubblichiamo la trascrizione in italiano dell'intervista a Muratov nella traduzione di Elisa Baglioni, Giulia De Florio, Luisa Doplicher e Claudia Zonghetti. Il testo viene qui proposto con minimi adeguamenti esclusivamente ai fini di una migliore lettura in italiano.

Dmitrij Muratov (d'ora in avanti DM): Sai che ti abbiamo cambiato nome al programma? Chiedilo anche a lui. Adesso si chiama: “Di’ NO alla Gordeeva”.
Katerina Gordeeva (KG): No, non mi piace.
Voce fuori campo: No alla guerra, non a lei!
KG: Non sono la guerra, io, infatti...

...

KG: Non la prendo da lontano: come sta?
DM: I lati della medaglia sono due, come sempre. Uno è il nostro pubblico. Ogni giorno ci leggono circa quattro milioni e mezzo di persone: sul sito e sui social network; lo vediamo dalle statistiche: circa 27, anzi più di 27 milioni di contatti. L’altro lato... Sai, ne abbiamo già viste tante, ci siamo abituati: la morte di amici e colleghi, la guerra in Cecenia, la guerra in Georgia... Abbiamo subìto centinaia di minacce. I fascisti, i nazisti russi di BORN [organizzazione militante dei nazionalisti russi, NdT] ci hanno recapitato delle teste di maiale perché capissimo cosa poteva succedere a tutti noi, da chi pulisce al caporedattore. Insomma, ne abbiamo viste di tutti i colori... Perciò, direi che al momento i nervi non sono a fior di pelle, ma sottopelle. Certo, per i più giovani la musica è diversa. Il loro stato d’animo spazia dalla curiosità allo sconforto, e va da sé che la voglia di andarsene tra loro è molto forte. Abbiamo già scansionato i loro passaporti... Così, se c’è l’occasione...

(Riunione di redazione di Novaja Gazeta)
– Se non c’è altro passiamo alle notizie.
– Fra ieri sera, questa notte e questa mattina le aziende straniere se ne sono andate tutte. Tutti i produttori di auto: Mercedes, BMW, Toyota e via dicendo. Per aerei e aeroporti non si capisce niente perché Airbus e Boeing chiedono di restituire 520 aerei in leasing. Se ci fidiamo di RBK [grande conglomerato mediatico russo, NdT], l’unica opzione che il governo considera è la nazionalizzazione della flotta.
DM: Ieri ho parlato con i medici: in pratica i dentisti devono chiudere, perché tutte le cose di uso comune, inclusi gli impianti, le corone, i trapani eccetera, erano perlopiù tedeschi. Altra cosa: ieri ho parlato con uno dei nostri migliori chirurghi, ci possiamo scordare le protesi. Femori, anca e ginocchi: era tutta roba estera... Le nostre protesi si usurano troppo in fretta. E per quanto i cinesi copino sempre al meglio gli europei, le loro non reggono minimamente il confronto.
– Sull’argomento medico posso aggiungere problematiche molto più serie: sono sospesi i trapianti di midollo, e non solo. L’Organizzazione internazionale di soccorso oncologico rifiuta i pazienti che vengono dalla Russia.– Rifiutano di portarli fuori dal Paese, ma continuano ad aiutarli qui da noi.– E ancora, per capirci, un altro aspetto chiave. Non ci sono riserve valutarie. La Banca centrale che dichiara di voler introdurre la regolamentazione dei cambi al 30% tassando l’acquisto di valuta ed eliminando il 20% dell’IVA sull’oro, significa, tecnicamente, che non hanno compratori per le tonnellate di oro su cui facevano conto. Vuol dire che pensavano di vendere a qualcuno che, invece, ha detto di no. Dunque cercheranno di prendere i soldi alla gente usando l’oro come garanzia.
– Metteranno le mani sulle cassette di sicurezza?
– Sì.
– Fantastico.
– Altre notizie?
– Cherson è caduta e continuano a bombardare Char’kov [forma russa del nome della città; quella ucraina è Charkiv. Per le due città seguenti la forma ucraina è rispettivamente Černihiv e Kyijv, NdT], dove hanno già colpito la cattedrale. I bombardamenti continuano anche su Černigov e Kiev. Queste le notizie dal fronte.

...

DM: Queste sono le copertine di quest’anno, vedi?
KG: Sì.
DM: Ho parlato con un mio amico, un pilota eccezionale e molto conosciuto. Di solito i piloti non sono star, lui sì: è il migliore. Mi ha detto che gli aerei “restano attaccati al cemento”. È gergo del mestiere, ed è tremendo. Non avranno i ricambi e gli aerei in leasing torneranno alla base. E considera che il 50% della nostra flotta è costituita da Airbus. Le persone non potranno incontrarsi perché non potrà decollare niente. Nessuno partirà: né gli aerei, né noi.

KG: Ma fino all’ultimo lei aveva immaginato che la guerra fosse possibile?
DM: Purtroppo lo avevamo intuito, e con un po’ anticipo. C’eravamo confrontati molto, sull’argomento: tra di noi, tra i vari uffici, con tutti. Avevamo capito che sarebbe successo subito dopo le Olimpiadi. E che delle Paralimpiadi, che sono subito dopo, se ne sarebbero fregati. Abbiamo subito fissato alcuni punti. Il primo: parlare con tutti, con tutti e sempre, perché reagire alle parole è un meccanismo innato. Però se inizia la guerra non ci lasciano scelta. L’avevamo capito da un po’ di cose. In alcune sue dichiarazioni Vladimir Putin aveva fatto l’elenco lucidissimo delle offese arrecate alla Russia e alla sua persona. E molto si capiva dal lessico che sceglieva di utilizzare. Li ho letti, quei discorsi: c’erano sempre di mezzo i nazisti, i fascisti, la Grande guerra patriottica [nome russo della Seconda guerra mondiale, NdT], le grandi imprese dei nostri antenati. Era chiaro che per Putin quella guerra non era mai finita. Anagraficamente non l’ha fatta, la Seconda guerra mondiale, ma mi viene da pensare che è come se stesse cercando di vincerla di nuovo lui. E la sua vittoria consiste nel difendere gli esiti di quella guerra che lui ritiene giusti. In Ucraina Putin sta combattendo la sua personalissima Seconda guerra mondiale. Questa è la mia ipotesi. Le coscienze sono militarizzate... Anche quelle filantropiche, a volte, e penso al Reggimento immortale [che sfila nei cortei con le foto dei veterani della Seconda guerra mondiale, NdT]. Non è un caso che abbiano portato via l’idea a TV–2 e a Lapenkov e Mučnik [Sergej Lapenkov, ex giornalista di Tomsk, fra gli ideatori del Reggimento immortale; Julija Mučnik, anche lei di Tomsk, giornalista di TV-2, NdT] che se l’erano inventato, e lo abbiano trasformato in un movimento patriottico governativo, mentre prima era una cosa un po’... individuale, un po’ da nonni, e comunque...
KG: Da famiglie, no?
DM: Esatto, da famiglie, brava. Prima era una cosa da famiglie, ora è una cosa paramilitare. Questi templi utili ai soldati per ricordare la guerra. Che poi significa una cosa sola: vivere nel passato. Per cosa? Per portare a casa la vittoria. Come se non lo avessero già fatto allora.

KG: Gli uomini della cerchia di Putin restano al suo fianco per paura, oppure credono in quello che fa?
DM: Ieri ho parlato con alcune persone di potere. Evitiamo di chiamarli "élite", però, per cortesia. Chiamiamoli “i potenti”, “l’entourage”, ma élite proprio no. Hai presente la famosa riunione del Consiglio di sicurezza, quella in cui degli uomini tremanti andavano al leggio e si piazzavano lì a gambe aperte... Sai perché stavano a gambe aperte, Katja? È colpa del pannolone.
KG: Vabbè, su...
DM: Per questo non voglio chiamarli "élite". E comunque i prescelti, le persone al potere, non sono mai stati così uniti fra loro. E non parlo di affari o di soldi: è un tema affine, ma è un’altra cosa. In questo momento sono compattissimi, condividono in tutto e per tutto la visione del mondo del presidente Putin. E la sua immagine del mondo è quanto mai solida e incrollabile: come le piramidi egizie, di fatto, dove tra le pietre non passa neanche un raggio di sole. La sua immagine del mondo è lampante: la Russia è una fortezza. Che non per niente è il titolo del libro dell’ex vice portavoce della Duma, ora defunto. Michail Jur’ev, se non sbaglio si chiamava così. Molte citazioni, interi passaggi di quel libro (che è un libro complottista) finiscono dritti dritti nei testi del Presidente. “Il nostro è un paese isolazionista, è un paese con grandi risorse minerarie, non ha bisogno di nessuno. Deve capire che l’Occidente è il nemico, che il mondo è il nemico”. E questa immagine del mondo ha attraversato le generazioni e ha generato l’élite di oggi...

KG: Vede, alla fine le è scappata, quella parola!
DM: È la forza dell’abitudine!
KG: In senso politologico sono un’élite.
DM: Non so, non sono pronto a chiamarli eroi, élite...
KG: Élite non è un complimento, comunque.
DM: Sono commilitoni, loro. Ascolta, l’élite è fatta di persone che con sangue, sudore e lacrime conquistano la felicità per il proprio paese.
KG: Questo si chiama onore, o valore.
DM: Dunque non possiamo chiamarli élite. Dicevo: sono tutti d’accordo con Putin, non c’è alcuna spaccatura interna. Continuano a rifilarci teorie secondo le quali finirà tutto presto, dicono che ci sarà un avvicendamento al vertice quale conseguenza di chissà quali crepe nell’élite... Non c’è nessuna crepa.
KG: Però lo ha detto anche Lei che avevano paura, al Consiglio di sicurezza.
DM: Avevano paura, sì, ma di non sapere la risposta giusta! Perché alla fine erano lì per dare l’esame, ma non erano certi di sapere tutto il programma. Adesso l’hanno imparato per benino.
KG: E lo condividono?
DM: Non metterei la mano sul fuoco per tutti, ma la metto di sicuro per dire che fanno comunque quello che Putin dice loro di fare. Tutto quanto. Non credo si sia mai visto un governo più fedele di questo.
KG: Pazzesco.

(Discorso di Dmitrij Muratov alla sottocommissione del Parlamento Europeo per i diritti umani)
DM: Non possiamo accettare che l’esercito russo uccida gli ucraini e che le forze armate ucraine, per difendersi dall’aggressione, uccidano i soldati russi. Di nuovo si occultano i cadaveri. Di nuovo abbiamo decine di feriti, madri che piangono. Decine di madri russe, come durante la guerra cecena, vanno in cerca dei figli, seguono le loro tracce. Una cosa devo dirvela, però. Non credete ai sondaggi governativi russi. In Russia la gente non vuole la guerra. Non confondete i russi con il potere che ha scatenato questa carneficina. Questa guerra ha tolto il futuro ai nostri figli, glielo ha frantumato.

...

KG: Quando è iniziato tutto questo? E perché l’Ucraina? Non è iniziato nel 2014, comunque, no?...
DM: No, è iniziato prima. Per capire a cosa ci ha ridotto Putin, dobbiamo tornare a prima del 2006 (o giù di lì, non vorrei sbagliarmi). Se ti ricordi, a Bruxelles c’era una rappresentanza diplomatica russa presso la NATO con vari ambasciatori, tra i quali, tra l’altro, anche Rogozin [oggi direttore generale dell’Agenzia russa per l’esplorazione spaziale, NdT]. All’epoca Putin aveva proposto molto seriamente di discutere l’eventualità di un ingresso della Russia nella NATO, e si era molto stupito quando gli avevano risposto che ci voleva un periodo di prova, che c’erano dei documenti da preparare. Lui era convinto che non avrebbero rifiutato una proposta più unica che rara, e quelli facevano storie! In seguito, quando si convinse che lo stavano prendendo in giro, arrivò il discorso di Monaco, nel quale, a conti fatti, già nel 2007 abbiamo sentito esattamente quello che sentiamo ora. Nessuno però lo ha preso sul serio. Giusto i regimi di qualche paese latinoamericano, e Cuba.

KG: Eppure è uno dei discorsi più importanti di Putin.
DM: Infatti, proprio così. Ma non lo hanno ascoltato... Solo la seconda parte, che era più conciliatoria. I politici importanti, i leader europei, non l’hanno preso sul serio. Credevano fosse retorica, e invece l’anno dopo c’è stata la guerra in Georgia, con il presidente Bush che diceva una cosa a Putin e un’altra a Mikheil Saak’ashvili [all’epoca presidente della Georgia, NdT]. E i servizi segreti che confrontavano le versioni. Penso che quello sia stato il momento di frattura più grave rispetto a ciò che la Russia ha sempre detto sull’adesione ai valori occidentali, sulla dittatura della legge, sul fatto che eravamo aperti, che il mondo era globale... Di fatto finì tutto in quel momento esatto. “Non credono a nulla e capiscono solo la forza”. Non solo non credono a nulla, ma capiscono solo la forza! “Non capiscono la nostra lingua...”. Fu una sorta di monologo interiore. Il monologo interiore di un potere collettivo offeso con l’Occidente. Offesissimo, anzi: se la sono presa a morte. Poi, però, è successa un’altra cosa: di colpo Putin ha capito che chi gli parlava di valore intendeva in realtà "prezzo". Facci caso: Putin ha comprato all’ingrosso una gran quantità di figure di primo piano della politica occidentale per metterli nei consigli di amministrazione di società e compagnie statali russe.
KG: Gente che adesso sta lasciando di corsa quegli incarichi.
DM: Ora li lasciano di corsa, ma altrettanto di corsa sbavavano per accettarli. Fra quella gente c’erano un primo ministro francese, un cancelliere tedesco, anzi un paio, diversi politici italiani. Tutti con la loro bella poltrona. E con in cambio...
KG: Un sacco di soldi.
DM: Non lo so per certo di tutti, non lo ricordo a memoria. Ma posso dirti che si trattava di diversi milioni di dollari all’anno. A quel punto Putin s’è fatto una bella risata: e questi vengono a parlarmi di valori? I soldi vogliono, quelli lì! Ne era certo. Credo che ragionasse così: “Non mi avete voluto come amico? Peggio per voi”. È una logica risaputa. Anch’io sono cresciuto in un ambiente simile. È la logica della strada, o dei bambini delle elementari e delle medie. Non vuoi essere mio amico? Peggio per te! È una ferita psicologica grossa. Che si è riaperta nel momento di maggior crisi, nel momento più critico per il nostro paese... Perché, cos’è successo nella notte del 23 febbraio? Hanno mandato in frantumi il futuro del paese. Lo hanno frantumato, sì. Ma persino in quel momento, Putin ha fatto il suo lungo elenco di offese. E non basta, c’era anche un’altra cosa nel discorso di Putin. Ha detto: scusate, con chi dovrei fare accordi, io, se i loro politici cambiano di continuo?! Ora te lo sto parafrasando, ma nel complesso, se ci pensi, da quando noi abbiamo Putin, in Germania si sono avvicendati alcuni cancellieri, qualche presidente negli Stati Uniti, mezza dozzina di primi ministri in Italia e di presidenti in Francia. Cambiano di continuo. E in effetti, con chi può parlare, Putin, se non con Gandhi? “Non fai in tempo ad abituarti, che quello finisce il mandato! Dov’è la razionalità? Non c’è”. Così Putin è diventato il politico più esperto al mondo. È al potere da poco più di 22 anni: già da premier aveva un’influenza enorme. Nessun politico europeo o nordamericano è rimasto al potere così a lungo. Lui, poi, li conosce tutti come le sue tasche e non crede più a niente né a nessuno. Potrei giurare che sta pensando: “Davvero lo avete capito solo ora che abbiamo mandato le truppe per – com’è che la chiama? – l’operazione speciale in Ucraina? Davvero prima non avevate capito nulla?”. Quando aveva rovesciato Janukovič... O negli otto anni del Donbass... E se gli dicono: ma non è stata la Russia a entrare in Donbass? Lui ribatterà: “In Crimea la gente ha votato”. È cominciato tutto da lì. È la sua logica, questa. È successo perché l’Occidente non ha riconosciuto l’annessione della Crimea. “La gente ha votato, accidenti” dice lui. C’è questa consapevolezza, questa convinzione dell’offesa subita, e la certezza assoluta e incrollabile di aver ragione. Quando pensava di avere una ragione più risicata, di serie B, le offese si accumulavano e basta. Ma con l’arrivo dei missili Iskander, Bulava e Cirkon, è diventato chiaro che le offese potevano essere sbandierate tranquillamente.

KG: Secondo lei, Putin si è reso conto che, a oggi, nessuno ha mai vinto una guerra contro chi ritiene di star difendendo la propria patria? E penso all’URSS nella Seconda guerra mondiale, o alla Russia con Napoleone.
DM: Katja, possiamo anche scavare nella storia, ma la storia non si ripete, temo io. Certo, con una tale potenza, con una tale forza in campo, per qualche tempo lo si può anche prendere in leasing, un altro paese, magari dividendolo in più parti. È solo una mia ipotesi, ma è plausibile: 1) Una parte occidentale, con Leopoli capoluogo, che può vivere come più le pare e piace; 2) Una parte centrale, che naturalmente deve essere un protettorato russo (e vedremo chi sarà il favorito alle eventuali elezioni); 3) E una parte orientale che, certo, apparterrà di fatto alla Russia. Il piano, più o meno, era questo, credo. Ma poi s’è scoperto che lì c’era qualcuno con le palle: Zelen’skij. Pochi credevano in lui, e in Ucraina già perdeva consensi. In più, i nostri propagandisti pensavano che il popolo ucraino avrebbe accolto l’esercito russo con i fiori in mano.
KG: Chiunque sia stato in Ucraina nell’ultimo anno avrebbe potuto dirgli che non sarebbe andata così. Lo hanno ingannato?
DM: Adesso te lo spiego, cos’è successo. Non l’hanno ingannato: è stata una cosa più sottile. Allora: le nostre autorità ordinano alla tv di Stato di trasmettere propaganda per convincere la gente. Poi guardano la televisione per controllare che esegua l’incarico assegnato, e a poco a poco anche loro iniziano a credere a quello che si sono inventati e che hanno detto alla tv di trasmettere. La psicologia ha un termine apposito per questo processo: autoinduzione. Capisci, uno dei motivi più seri di quanto è accaduto è che si sono ingozzati della loro stessa propaganda fino a rivomitarla. E hanno finito per credere alle cose che si erano inventati.

(Discorso di Dmitrij Muratov alla sottocommissione del Parlamento Europeo per i diritti umani)
DM: La radio Echo Moskvy, che lei ha menzionato, è stata appena chiusa. Esisteva da 32 anni, sono nostri amici, sono amici di Novaja Gazeta; solo a Mosca hanno un milione di ascoltatori, e diversi altri milioni in decine di città della Russia. Echo Moskvy era una radio sistemica, fondamentale per il nostro paese. Ma tre colletti bianchi hanno tolto a decine di milioni di persone la possibilità di leggere il sito e di ascoltare Echo Moskvy. Questi tre burocrati si chiamano Jurij Alekseevič Kostin, presidente di Gazprom–Media Radio; Julija Sergeevna Golubeva, vicedirettrice generale di Gazprom–Media; Leonid Fedorovič Sovkov, presidente del consiglio d’amministrazione. Ricordatevi questi nomi: Kostin, Golubeva e Sovkov. Queste persone hanno tolto un punto di vista libero e indipendente a decine di milioni di persone in Russia. Ci hanno messo quindici minuti di orologio, in un consiglio d’amministrazione in cui non hanno nemmeno invitato Aleksej Venediktov, che di Echo Moskvy è il direttore. È una junta, una dittatura militare!
Dedicheremo un intero numero alla guerra in Ucraina e alla chiusura di Echo Moskvy. Echo Moskvy è indissolubile dalla storia russa, è da sempre una piattaforma per lo scambio di opinioni. Echo Moskvy si è espressa contro la guerra, e lo stesso abbiamo fatto noi. Sono sicurissimo che questo sia il motivo principale per cui l’hanno chiusa. Perché in questo momento qualsiasi voce contro la guerra è considerata un attacco allo Stato.

...

DM: Per me quella di Echo Moskvy è una tragedia umana enorme. Molti di loro sono miei amici da sempre. Venediktov lo conosco da 30 anni almeno. È un mio carissimo amico, e spero di esserlo anch’io per lui. Questa paura di qualunque punto di vista alternativo, visto che solo la propaganda è verità... Persino i sondaggi sul consenso sembrano fatti solo sugli spettatori dei canali di Stato... È una tragedia enorme, quello che è successo. Hanno staccato di colpo la spina. È una follia. Ricordi la canzone? “Si mostra alla finestra, ma con la spina nascosta dietro la schiena”. È Vysockij [noto cantautore russo d’epoca sovietica, NdT], giusto? Hanno staccato la spina a Echo. La legge sugli agenti stranieri ha smantellato tutti i mezzi di informazione più indipendenti, giovani e vivaci. C’è un esodo gigantesco – gigantesco – di giornalisti, professionisti, analisti, programmatori e specialisti di grandi dati che lasciano la Russia. Si vedrà presto cosa intendo. Per me è una perdita personale. La specie può solo peggiorare, in questo modo. Come hanno potuto chiuderla così, la radio? Chi pagherà gli stipendi dei prossimi due mesi? Non c’è una legge che lo vieta? No. Che domande faccio... “I russi vogliono la guerra?” e “Non c’è una legge che lo vieta?” non sono più domande retoriche.

KG: Quanto pensa che resisterà Novaja Gazeta?
DM: Secondo me, due giorni [si era al 7 marzo 2022; in realtà ha resistito molto di più: fino al 28 marzo, NdT]. Se ora approvano la legge sulle notizie false, sui fake, qualsiasi nostro collaboratore può finire in prigione per un bel po’, da 2 a 15 anni. Perché? Diranno che quello che ha scritto è falso. Ma come, se abbiamo verificato la notizia con due o tre fonti? Se abbiamo i filmati. “È falsa perché lo diciamo noi, capito? Perché noi della procura, del Roskomnadzor [addetti al controllo della comunicazioni, di fatto un analogo del Glavlit, l’organo di censura d'era sovietica, NdT] e di piazza Staraja [uffici della presidenza, NdT] diciamo che è falsa”. Invece è la verità. È la verità riguardo ai feriti, e ai morti. Perché il nostro lavoro è proprio di stabilire il numero delle vittime e di mostrare alla gente l’entità reale degli eventi. Questa non è un’operazione speciale, Katja. Hai visto quel meme che circola, che strappa un sorriso amaro? Il romanzo di Tolstoj ha un nuovo titolo: “Operazione speciale e pace”.
KG: O anche “...e obbligo alla pace...”.
DM: Esatto, anche la “pace” hanno cambiato. Ecco, se approvano la legge, con pene di quell’entità come si può rischiare che i colleghi finiscano in prigione? Come si fa? Da noi, per esempio, ogni notizia viene esaminata da una serie di persone, almeno una decina. E quindi? Riempiamo una tradotta solo con i nostri giornalisti? Con tutti quanti gli inviati? Se quella legge verrà approvata, in Russia i mezzi di comunicazione indipendenti verranno cancellati. Senza tribunali [imparziali] la legge sulle fake news ucciderà i media.

(Riunione di redazione di Novaja Gazeta)
– Poi... c’è quello che succede nell’industria cinematografica e musicale.
– Che è già ferma.
– Ripetono le première: roba da pazzi.
– Insomma, per farla breve, è un disastro totale.
– Altre proposte?

DM: Rapidamente.
– Riassumo io. Tutti i pezzi sono stati consegnati. Forse oggi o domani avremo un reportage: il ritratto di un sergente di Čeljabinsk che è rimasto ucciso. Abbiamo un inviato sul posto.
– Arnol’d mi ha appena mandato qualcosa, ma dice di mostrarlo agli avvocati, che al Roskomnadzor non piacerà di certo. Ora lo facciamo.
– Io ho un pezzo di Nina Petljanovaja, sul lato umano della questione. Sono madri ucraine di bambini malati di cancro che scrivono delle lettere in tempo di guerra alle madri russe di bambini malati di cancro. Eccole, sono tre lettere. Spezzano il cuore.

DM: Questo va pubblicato subito.
– Ho il pezzo, tra poco lo consegno.
– Se non c’è altro, parliamo della prima pagina di questo numero. Propongo di dedicarla a Echo Moskvy.
– E a che altro si potrebbe, scusa?
– Le alternative ce le avremmo: l’economia, e...
– L’economia c’era prima che chiudessero Echo Moskvy...
– Mettiamo “Eco di guerra” come titolo.
– “Eco di guerra”.
– Sì.

La copertina dedicata a Echo Moskvy

...

KG: Lei ha visto con i suoi occhi un discreto numero di guerre. Оra lo dirige, il giornale, ma è stato redattore durante le altre guerre. Quello che vede ora, l’esercito russo, l’esercito ucraino e i mezzi di cui dispongono, le consente di farsi un’idea dello Stato dei due eserciti? Mi sembra di essere riuscita a formulare la domanda con la dovuta cautela.
DM: Chiaro, sì, l’hai posta con grande tatto. Ricordo bene il Karabach [zona contesa tra l’Armenia e l’Azerbaigian, NdT], dove le truppe aviotrasportate d’epoca sovietica cercavano di salire sui monti con carri armati vecchissimi. Era uno spettacolo penoso. E ricordo la Prima guerra cecena, e ancora prima: l’Afghanistan. Già lì avevo visto un esercito ben addestrato, ma che non capiva perché stava combattendo. Di fatto combattevano per difendersi gli uni con gli altri, e non per dovere internazionale. Non se ne rendevano minimamente conto. Lo slogan di quella guerra era “vendichiamo il compagno morto in battaglia”. Nessuno si chiedeva “cosa ci facciamo qui”. La guerra cecena, poi, ci ha messo davanti agli occhi cose tremende.
KG: La prima?
DM: Sì. Ricordo un campo pieno di fango su cui sostavano dei veicoli corazzati BTR. I soldati avevano tagliato degli alberi e li stavano bruciando per scaldarsi. Io ero in macchina con un cameraman del Primo canale [primo canale televisivo di Stato, dove di recente Marina Ovsjannikova ha mostrato il suo cartello, NdT], Vasja. Siamo tornati indietro, al mercato locale, abbiamo comprato una tanica da tre litri di latte fresco, un po’ di biscotti e salame affumicato. Poi abbiamo parcheggiato vicino a quel campo e abbiamo raggiunto i soldati. Ho passato loro il mio taccuino perché ci scrivessero i numeri di telefono di casa: di ritorno a Mosca avrei avvisato le famiglie che erano vivi. Facevo il postino e il vivandiere: portavo latte, biscotti e salame. Il loro comandante aveva gli occhi fuori dalle orbite. Era capitano, ma fra gli stronzi lo avrebbero fatto generale. Davanti ai soldati mi ha urlato: “Adesso ti ficco una pallottola in testa”, e l’ha ripetuto anche a Vasja. Poi ha buttato tutto il cibo a terra e ha costretto i soldati a calpestarlo, e lui ha fatto lo stesso. La terra nera, il latte bianco, le facce infelici di quei ragazzi con le mani piene di pustole... Erano tutti soldati di leva. Mentivano quando dicevano che non c’erano reclute: erano tutte reclute. Tutte reclute. Tutte. Giuravano e partivano, alcuni senza nemmeno i sei mesi di addestramento. Questo era l’esercito dell’epoca. Ora è un’altra storia. Aspetta, però. In realtà gli eserciti sono due: quello tradizionale russo e quello di Kadyrov [capo della Cecenia, NdT]. Il secondo è addestrato a combattere e ama farlo: è il loro lavoro, la loro missione di vita. Sono ben equipaggiati, hanno attrezzature e divise all’avanguardia. E durante la guerra in Cecenia hanno catturato molti “shaitany” [spiriti maligni del mondo islamico, NdT], i diavoli russi, come li chiamano loro.
KG: Ma no, non sono gli stessi!
DM: Invece sì, molti appartengono a quella generazione. E sono tanti.
KG: Gente sulla quarantina, quindi?
DM: Esatto.
KG: Nelle foto avranno 25 anni.
DM: Ci sono diverse foto, guardale bene tutte. Ci sono facce che conosco. È gente istruita all’uso delle armi sin dalla più tenera età, per tradizione del loro popolo. E, poi, per Kadyrov la Cecenia non è una piccola regione russa a statuto speciale. È un esercito di cui lui è il comandante in capo e che, al primo squillo di tromba, si trasforma nella fanteria di Putin. Sono fortemente motivati, e la loro motivazione è combattere. L’esercito russo non ha un motivo per andare in Ucraina a combattere. Le informazioni che ricevo sono di vario tipo. I soldati russi non capiscono perché devono combattere contro gli ucraini. Ma quelli sono gli ordini. Oggi un comandante non butterebbe a terra il latte, però il sistema militare è rigido e gerarchico per definizione, e la paura delle punizioni, del tribunale militare, dell’ira del comandante spinge comunque i soldati a obbedire. Ma che siano motivati perché difendono la patria, questo proprio no. Al contrario di Putin, il comandante supremo, loro non ce l’hanno, questa motivazione. Putin ha la certezza assoluta (e non so se gli viene dall’intelligence o se è una sua convinzione interiore) che se non avesse attaccato ora l’Ucraina, nel giro di qualche giorno l’Ucraina avrebbe attaccato il Donbass. Può insistere quanto gli pare, ma la realtà è che l’Ucraina non ha attaccato il Donbass, mentre noi abbiamo attaccato l’Ucraina. E adesso? “Abbiamo scongiurato un male maggiore con uno minore”. È così che argomentano. Ma come possono essere certi che sarebbe successo? O anche solo che sarebbe potuto succedere? In otto anni nessuno ha visto i bombardamenti e i morti nel Donbass. Chi c’è andato, a verificare nel Donbass?
KG: Noi li abbiamo visti.
DM: Sì, ma l’OCSE li ha visti? No. L’OCSE ha mandato una missione, ha fatto qualche indagine. L’Occidente ha ignorato tutto, si è disinteressato. Alcuni battaglioni di volontari hanno fatto attività di sabotaggio. E allora? Cosa vi aspettavate? La domanda vera che faccio io è: “Chi è entrato per primo nel Donbass?”. Era una regione fiorente. Pensa agli Europei di calcio del 2012! Ecco, se confrontiamo il Donbass di qualche anno fa con quello di oggi, con l’idea del “mondo russo”, come l’hanno concepita Jur’ev e molti altri, tra i quali Konstantin Malofeev [Konstantin Malofeev è noto anche in Italia per i legami con Savoini/Salvini; dal 2017 l'Ucraina ha spiccato per lui un mandato di cattura internazionale accusandolo di creare gruppi paramilitari illegali, NdT] e tutti i cosiddetti politologi di corte, era una regione molto fiorente con un magnifico stadio, bellissimi centri commerciali, parchi. Guardalo ora. Qual è il risultato? Cosa hanno fatto lì? Ok, Malofeev si è indebitato con la banca VTB per decine di milioni di dollari. Voleva costruire delle centrali del latte e gli sono morte tutte le vacche. Allora ha mandato Strelkov, il capo della sua sicurezza, a Slavjansk, nella regione di Doneck: è da quel giorno che si parla di un bambino crocifisso che non è mai esistito. MAI. Un nostro fotoreporter, Evgenij Fel’dman, era lì, a Slavjansk, il giorno della notizia, proprio sulla piazza dove lo avrebbero crocifisso. Quando Feld’man riferisce la notizia alle persone in piazza, si stupiscono tutti. Non avevano guardato la tv: erano lì fra i piccioni, le vecchiette leggevano un libro... Chi è entrato per primo nel Donbass, eh? Noi o qualcun altro? Cosa ci facciamo lì? È questa la domanda. Se siamo entrati in quel territorio (che poi è il motivo della guerra di oggi) è perché combattiamo in Ucraina per contrastare l’America e un fantomatico Occidente, cioè il male che identifichiamo con l’area Schengen. Lo facciamo perché l’Occidente non ha riconosciuto l’annessione della Crimea. Tanto la Crimea ha votato, no? Voi non riconoscete la volontà delle persone? Bene, allora noi mandiamo laggiù Strelkov e la nostra tv crocifiggerà il bambino di Slavjansk. E così, passo dopo passo, secondo dopo secondo, ci avviciniamo al momento in cui – l’ho scritto da qualche parte – il Presidente della Federazione russa vorrà giocare con il pulsante nucleare. Proprio come il proprietario di una macchina costosa giocherella con il portachiavi per far vedere che è la sua. L’hai mai visto fare?
KG: Solo negli anni Novanta.
DM: E cosa credi che intendessi? Come negli anni Novanta. Tornando a essere seri, non sono sicuro al cento per cento che a un certo punto, quando le sanzioni inizieranno a demolire l’economia in modo irreversibile... Ed è quello che sta già succedendo ora... Putin lo ha già detto? “A chi serve un mondo senza la Russia?”. Tra l'altro, non è nemmeno un pulsante: si deve proprio girare una chiave.

KG: Finora abbiamo parlato del potere politico. Ma esistono anche uomini d’affari importanti che, col passare delle ore, stanno perdendo quasi tutto ciò che hanno ottenuto in questi anni. Perché non parlano?
DM: Non tutti restano in silenzio. Quando Abramovič ha capito che gli avrebbero tolto tutto, ha venduto il Chelsea e ha dichiarato che avrebbe devoluto il ricavato agli aiuti umanitari per l’Ucraina.
KG: A mio parere è un grande passo.
DM: Sì. E dico sul serio.
KG: È una dichiarazione molto importante, che dovrebbe incoraggiare gli altri a cambiare atteggiamento. Un segnale.
DM: No no. Te lo ripeto. Non è così, Katja. Ricordi, hanno la museruola e i pannoloni... Alcuni di loro...
KG: Quindi solo Abramovič può permettersi di...
DM: No. Alcune persone molto intelligenti, che hanno creato enormi industrie senza i prestiti per azioni, ora non parleranno, perché capiscono perfettamente che lo Stato potrebbe nazionalizzare le imprese che non sono in perdita. E vogliono proteggere il lavoro di una vita. In realtà qualcuno si è espresso, e penso a Fridman, che è già stato colpito dalle sanzioni. Ma è un caso particolare: i suoi genitori vivono a Leopoli. Non solo, lui ci organizza importanti festival jazz ed è anche tra i finanziatori del monumento alle vittime dell’Olocausto ideato dal genio di Il’ja Chržanovskij [regista cinematografico, NdT]. Perciò si sente ferito e offeso per essere stato colpito dalle sanzioni: lui rispetta il suo paese, il paese dei suoi genitori, dov’è nato. Tra gli uomini d’affari si levano soltanto singole voci di protesta, a differenza degli sceneggiatori, di attori e scrittori, di medici e insegnanti e, ovviamente, dei nostri colleghi.
KG: E degli scienziati.
DM: Gli scienziati, certo!
KG: È molto importante che lo facciano!
DM: Sorry! Scienziati e medici, hai assolutamente ragione. Il mondo degli affari si difende con il silenzio e non con le proteste. Non dobbiamo aspettarci altro, perché non succederà.

KG: Crede che quanto è accaduto sia una sorta di fallimento anche della sua strategia? Voglio dire: in un momento molto difficile lei ha negoziato tra le parti. È riuscito a dialogare con le autorità e con i manifestanti; è intervenuto per liberarli dopo i fermi, ne ha aiutati altri... Non le sembra che proprio i compromessi abbiano portato a questa rovina totale?
DM: Te lo spiego così, Katja. Certo, le ho sentite, queste cose... Ma non avendo tempo da dedicare ai social sono riuscito a evitare molta merda. Mi è solo passata vicino. Qualcuno ha detto qualcosa, io replicavo...
KG: Ma era già tardi.
DM: E io evitavo di rivangare la questione. Qualcosa ho sentito, però mai nulla contro il giornale; accusavano me. Il contrario sarebbe stato molto peggio. Dialogare, ascoltare... È l’essenza del mio lavoro. Avrai notato quanto sia sensibile alle parole : parlo-ascolto, parlo-ascolto. Bisogna ascoltare le ragioni e intervenire, e bisogna farlo sempre, quando c’è la possibilità. Perciò, se mi chiamano dal commissariato, in panico, e chi lo fa è gente onesta, brave persone che non reggerebbero a una notte di fermo per problemi di salute, io vado... Capisci? Che colpa hanno? Hanno twittato, fotografato, caricato vario materiale, oppure hanno protestato su Instagram... Insomma, serve qualcuno che vada a negoziare perché li rilascino. Ora, però, non credo di avere più questa possibilità.
KG: Il tempo del dialogo, dei compromessi... Il tempo...
DM: Ora siamo in guerra. In redazione abbiamo deciso di accettarli, i compromessi, di non ostinarci per principio, e di farlo per noi stessi e per i nostri lettori. Per loro è importante che si conducano inchieste, che gli inviati lavorino e siano bravi a farlo. Si può chiudere un occhio per aprirne un altro, come dicono nel film “Il giorno delle elezioni” [commedia del 2007 diretta da Oleg Fomin, NdT]. Negli ultimi due anni, sulla base di certe mie valutazioni ho rifiutato due articoli in tutto, tra le migliaia che mi hanno sottoposto.
KG: Su cos’erano?
DM: Il primo pezzo era semplicemente brutto, bruttissimo. Il secondo era molto personale, troppo. Ho invitato l’autore in redazione, gli ho dato ragione, poi ho esposto il mio punto di vista: quando un ragionamento, una polemica politica, diventa una resa dei conti, la vendetta arriva anche dall’altra parte. E ci siamo trovati d’accordo. È successo circa tre anni fa. Per cui, lo ripeto: finché non si lamentano del giornale, di me mi importa poco. Mentalmente sono molto solido: non m’importa nulla di cosa dicono gli altri di me.

KG: Io mi riferivo a uno stato interiore, dato che personalmente...
DM: Giusto, non ho risposto alla domanda fino in fondo. In redazione ci eravamo già detti da un po’ (sarà stato un mese e mezzo fa, o forse due) che nel momento stesso in cui, dio non volesse, la guerra fosse scoppiata... E del resto qualche presentimento – diciamo – informato ce l’avevamo anche... Da quel momento preciso non avremmo potuto fingere né parlare per eufemismi, e avremmo dovuto dichiarare apertamente la nostra posizione. Non è una radicalizzazione, la mia, no... È che la gente odia la guerra. Anzi no, peggio. Odiare non è la parola giusta. La disprezza, piuttosto. E questo disprezzo per la guerra quale strumento di resa dei conti, quale ultima... Ricordi cosa diceva Tolstoj? [in realtà è Samuel Johnson, NdT]: “Il patriottismo è l’ultimo rifugio del mascalzone”. Ecco. Ora l’ultimo rifugio del mascalzone è la geopolitica. Insomma, quel giorno eravamo tutti d’accordo che non saremmo stati al gioco. Che non avremmo tollerato “sì, ma...”. “Sì, ma...” cosa? Se ricominciano a morire soldati delle due parti, russi e ucraini, se muoiono i civili e vengono distrutte città pacifiche...

(Discorso di Dmitrij Muratov alla sottocommissione del Parlamento Europeo per i diritti umani)
DM: Questo numero ha due prime pagine. Questa è la seconda. [Si legge: “Per fortuna c’è anche una buona notizia: la parola “pace” non è ancora vietata”. Per la prima, con le “tigri”, si veda più avanti]
Cosa possiamo fare? È la domanda più importante, questa, e conto molto su di voi. Serve un armistizio. Un armistizio immediato. E un cessate il fuoco. I punti dei colloqui devono essere questi: cessare il fuoco, evitare una catastrofe umanitaria, salvare la popolazione civile, aprire corridoi umanitari, mettere in salvo i feriti, scambiare i prigionieri, e permettere che i caduti vengano sepolti. Queste sono le cose più importanti che possiamo fare insieme. Grazie per l’attenzione.

...

DM: Ieri abbiamo fatto questo titolo: “Le tigri marciano su Kiev”. Per far capire il livello di pazzia. “Tigri” è come chiamano i blindati russi, se non lo sai.
KG: Lo so.
DM: Capito che bel nome si sono inventati...
KG: È curioso, mi colpisce molto, questo tipo di rimando... Dico bene? Le “tigri” erano i Panzer VI nazisti, lo sappiamo. E sappiamo anche che l’attacco è stato alle quattro del mattino [come quello dei nazisti contro la Russia nel 1941, NdT]. Perché non la sente nessuno, la somiglianza con il 1941?... Perché, davvero... È una cosa mostruosa...
DM: Non c’è risposta a questa domanda, ma...
KG: È tremendo!
DM: Si coglie una sorta di ironia, di sarcasmo... Non credo, non voglio credere che sia stata un’imitazione consapevole degli stilemi del Reich...
KG: Anche perché...
DM: Noi abbiamo la Skabeeva [Ol'ga Skabeeva è una conduttrice televisiva e commentatrice politica russa, soprannominata "la bambola di ferro di TV-Putin" per il suo sostegno incondizionato e militante alle politiche del Presidente, NdT], mica la Riefenstahl...

KG: Diciamolo pure! [pausa] Secondo i sondaggi ufficiali la maggioranza dei russi appoggia l’operazione militare...
DM: Ferma. Aspetta. Che sondaggi?
KG: Quelli ufficiali.
DM: Come come?
KG: Quelli ufficiali.
DM: E chi li fa?
KG: Il VCIOM [Centro nazionale di studi dell’opinione pubblica, NdT].
DM: E il VCIOM è statale, no?
KG: Sì.
DM: Quindi lo Stato fa sondaggi con una sua società di sondaggi per consolidare il proprio potere. Ma che diavolo...
KG: Se anche le percentuali reali fossero la metà, sarebbero comunque troppo alte.
DM: Giusto. Sono d’accordo. Sì. Solo che persino per le loro stime un terzo degli intervistati è contro la guerra. Lo dicono i sondaggi ufficiali: un terzo. Abbi pazienza, lo sai quant’è, sul totale della popolazione? Sono cinquanta milioni di persone. È un numero enorme.
KG: E immaginando che la gente menta, possiamo anche ammettere che menta sia una parte di chi è pro sia una parte di chi è contro... In proporzione diversa, certo, ma alla fine si equivalgono comunque. Di solito questo fa sì che dalle liti da divano si passi a quelle fisiche. Come valuta questa eventualità?
DM: Ti rispondo indirettamente. Proseguo il tuo ragionamento di prima. Prendiamo il sondaggio di gennaio del centro Levada: sono domande dirette, sondaggi telefonici. La gente ha paura, lo capisci... È chiaro che se ti chiedono: “Lei è d’accordo che il presidente riporti l’ordine con le sue – come si chiamano – operazioni militari speciali?”. Conoscono il tuo numero di telefono, sanno dove abiti... Cosa vuoi rispondere? “Certo che sono d’accordo!”. Hanno paura, cavoli, Katja! Si parla solo a quattr’occhi, senza fare nomi, nemmeno al telefono. Fra poco anche noi proporremo un sondaggio diverso. Ora non è il caso di parlarne nel dettaglio... Cosa ha fatto il Levada? Ci ha dato due numeri. Adesso te la faccio io, una domanda. Spiegami una cosa, Katja... Ci stai?
KG: Sì.
DM: Dunque. Più o meno il 70% è contro la guerra, tanto più se contro l’Ucraina. Il 70%. Dunque l’inverso rispetto al sondaggio di Stato. Però, Katja, lo stesso 70%, più o meno, appoggia l’operato di Putin in quanto Presidente della Federazione Russa. Come può essere? Dimmelo tu.
KG: È durissima. Cioè, secondo me è davvero durissimo fare una diagnosi.
DM: Esatto. Questo, più o meno, è il nostro mondo complicato.

KG: Non saremo alle soglie di una qualche importante opposizione civile interna, col rischio che le conseguenze siano terribili?
DM: Una “operazione militare speciale” civile?
KG: L’ha detto lei...
DM: Non pensavo a una guerra civile in Russia. Pensavo, e molto seriamente, a come tenere insieme queste due percentuali, quelle del VCIOM e del Levada.
KG: Già, come si fa?
DM: Di una cosa sono convintissimo. E cioè: serve un armistizio.
KG: E lei ci crede?
DM: Aspetta: armistizio, colloqui, corridoi umanitari, aiuti umanitari, scambio di prigionieri, recupero dei corpi, dei cadaveri, e scambio dei caduti. Questo serve. Non c’è altro di cui discutere. Che altro c’è da dire? Niente. Non ci sono altri accordi da fare.
KG: Ripeto io: armistizio, scambio di prigionieri, recupero dei caduti e corridoi umanitari.
DM: Scambio di prigionieri e corridoi umanitari, e gli aiuti umanitari. Ah, e ancora, certo, lo scambio dei caduti, per poterli seppellire degnamente. A Saratov c’è ora Nadja Andreeva, una nostra inviata. Senti che storia assurda. Non farò il nome del ragazzo... Lo ammazzano il 24 febbraio. L’avviso, la notifica, arriva il giorno del suo compleanno, che se ricordo bene è il 25. Ordinano la bara, scavano la fossa, la coprono con la plastica e cominciano a chiedere: quando ci danno il corpo? L’hanno perso, il corpo. E a tutt’oggi a Saratov c’è una tomba vuota con sopra un telo di plastica. Per questo dico che bisogna scambiare i corpi dei caduti, creare un corridoio umanitario e dichiarare un armistizio, e scusa se insisto tanto. Cos’è un armistizio? È il cessate il fuoco. Perché, perdonami, che razza di trattative sono quelle di Gomel’, là, al confine... se intanto a Char’kov si spara a più non posso? Se si spara mentre si tratta?...
KG: Perché proprio a Char’kov?
DM: Eh, Char’kov... Le fabbriche militari, gli impianti... Da quel che ho capito, per chi ha preparato il fantasmagorico piano di spartizione dell’Ucraina, Char’kov è una città che deve passare sotto l’influenza russa. Sai cosa dicevano oggi tutti contenti alla tv? “Cherson è caduta!”. E siete contenti?! A questo serve l’armistizio: vuol dire basta sparare.

KG: Va bene. Ma lei crede che sia fattibile?
DM: Io credo che siccome non c’è altro modo, dato che nessuno tornerà indietro sull’annessione delle repubbliche del Donbass e di Lugansk, che nessuno di quelli ora al potere restituirà la Crimea... La questione è chiusa, come già hanno ripetuto più volte. Resta solo la possibilità che non sterminino la popolazione... Tanto prima o poi la guerra dovrà finire. Il punto è: con quanti morti.
KG: E quanto tempo ci vorrà.
DM: Evidentemente al grande capo avevano sicuramente promesso che sarebbe stata questione di un attimo. E invece qua si continuano a contare i giorni. È passata una settimana, e per quanto ne so io, ne hanno chiesta un’altra. O forse ne avevano previste due da subito. Sia come sia, la fine è ancora lontana. Infatti, se la Russia ha accettato di trattare... Perché nel frattempo non si pensa a un armistizio?

KG: Quanti giornalisti avete ora in Ucraina?
DM: Non te lo dico. C’è la tua amica...
KG: Kostjučenko?
DM: No, non dirò altro. Perché hanno già cominciato a controllare i documenti... Ne ho qualcuno nei territori non occupati e altri, invece, in quelli già occupati. Ma non voglio fare i nomi di nessuno.
KG: Ha paura per loro, capisco. E per sé stesso ha paura?
DM: Mai. Insisti, ma lo sai benissimo: a domande sulla incolumità dei miei collaboratori...
KG: No, un momento...
DM: Sulla paura abbiamo scelto di non rispondere. Solo gli scemi non hanno paura. Dire che ce l’abbiamo però, sarebbe molto strano.
KG: Tutti emigrano, però, lo vede.
DM: E allora?
KG: Rimarrete lei e Venediktov?
DM: Che c’è di male... E poi lui ha un sacco di roba buona nell’armadietto. Lo conosco bene, quell’armadietto. E so anche chi ha la chiave, di quell’armadio pieno di liquori meravigliosi. Resteremo io e lui, certo.

(Riunione di redazione della Novaja Gazeta)
DM: Dobbiamo preparare i format per le dirette su YouTube, dovremo spostare tutto lì. Di fatto, quando anche a noi succederà quello che è successo ai colleghi, anche noi dovremo passare su YouTube.
- Allora pensiamo anche a un canale Telegram, perché se ci bloccano, bloccano tutti i canali con un legame ufficiale con noi. Mentre se facciamo un canale dove postare informazioni slegate dal giornale... Per un po’ potremo resistere al blocco.

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KG: Una domanda importante: crede che i nostri figli, almeno, o al peggio i nostri nipoti, potranno parlare senza odio né sensi di colpa con i loro coetanei ucraini? Da quello che vedo, ai nostri coetanei non succederà.
DM: Per la nostra generazione sarà impossibile. Potranno farlo quelli che adesso hanno 20, 21, 22 anni... Loro hanno un’empatia diversa. La stragrande maggioranza di loro è contrarissima alla guerra, e la maggioranza ha capito subito, nel giro di un paio di giorni, che quello che avevano sarebbe stato il loro ultimo iPhone (e l’iPhone è importante, per loro), o che quello che era decollato era l’ultimo aereo... E che i paesi che sognavano di vedere li avrebbero visti solo sulle pagine delle riviste.
KG: Certo, sono stronzate rispetto a tutta la gente ammazzata, ai morti...
DM: Non sono stronzate, no, perché loro sognavano di avere un futuro, un futuro in cui tutti amavano la Russia, in cui il mondo apriva le porte alla Russia e la Russia le apriva al mondo, dove i confini erano una convenzione, buoni per la dogana e un minimo d’ordine. Sognavano davvero che li avrebbero trattati da pari a pari, che sarebbero arrivati un sacco di turisti, e che tra la Russia e il mondo si sarebbe ricreata l’atmosfera dei Mondiali di calcio. Ecco, più o meno questo. O guarda, ancora meglio: l’atmosfera del 2014 a Soči, prima dell’annessione della Crimea. Questo è il mondo che sognano i giovani. Volevano un mondo felice, e non un mondo in cui bisogna far scorte di medicine per la nonna, perché fra poco si troveranno solo i generici.

KG: Prova vergogna per non essere riuscito a cambiare le cose?
DM: No. Sono amareggiato, sono amareggiato da morire; ma non provo vergogna, no. Guardo quella parete, quella con i giornali, e non provo nessuna vergogna per questa cosa che faccio da trent’anni. Provo dolore perché Anna, Jurij e Igor’ non ci sono più. Perché non ci sono più Stas, Nastja e Nataša [giornalisti e collaboratori di Novaja Gazeta, e attivisti. Rispettivamente, con l’anno in cui sono stati uccisi: Anna Politkovskaja (2006), Jurij Ščekočihin (2003), Igor’ Domnikov (2000), Stanislav Markelov (2009), Anastasija Baburova (2009) e Natal’ja Estemirova (2009), NdT]. Perché proprio questa guerra ci ha portato via, ci ha ammazzato, Nugzar Mikeladze [uno dei fondatori della Novaja Gazeta, morto nel 2015 di cancro; Muratov sottintende che abbia contribuito l’amarezza per l’invasione del Donbass, NdT]; di questo sento la responsabilità e la colpa. Ma vergogna per quello che facciamo proprio no, neanche un po’.
KG: Però non è andata bene...
DM: Ascolta, qualcosa l’abbiamo fatto. Qualche gol l’abbiamo segnato. Come andrà a finire, però... In questa vita, andrà come ha detto il mio amato Evgenij L’vovič Švarc [scrittore e sceneggiatore russo (1896-1958), NdT]: “Andava tutto così bene. Finirà malissimo”. Mi dispiace, ma finché si combatte non ho niente da dire per tirarti su il morale. Però, per qualche motivo, ora come ora credo che sia chiarissimo da che parte stanno il bene e il male. Basta vedere chi appoggia la Russia e chi no, e intendo all’ONU. Da una parte abbiamo un paio di dittatori, dall’altra parte il mondo in cui, tendenzialmente, si vive meglio che in Corea del Nord. E anche questo significa molto. Comunque, io confido, voglio confidare che arriveremo a un armistizio. Tutto qui. È un desiderio piccolo, ma difficile da esaudire.

Immagine in anteprima: frame video dell'intervista di Katerina Gordeeva a Dmitrij Muratov pubblicata sul canale YouTube di Memorial Italia

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