La multa a Google: le accuse, la difesa e la guerra commerciale Usa-Ue
12 min letturaIl 10 novembre 2021 in sede di appello la multa a Google è stata confermata. Ma, nel confermare la sentenza i giudici europei hanno ritenuto che non fosse emersa la prova che Google avrebbe danneggiato il mercato della ricerca generale, per cui la sanzione, 2,4 miliardi di euro, è rimasta limitata al mercato della ricerca specialistica relativa allo shopping. Adesso Google potrà impugnare la sanzione dinanzi alla Corte di Giustizia europea.
A circa tre mesi dalla sanzione record inflitta dalla Commissione europea a Google per abuso di posizione dominante, la soluzione che l'azienda di Mountain View sembra aver intrapreso è quello di scorporare il servizio di shopping online. Questo, ovviamente, per evitare altre sanzioni nel caso in cui Google non risolva il problema entro giovedì.
Quindi Google riserverà dieci slot nella parte alta delle schermate del servizio di ricerca, che saranno messi all'asta, dando così l'opportunità anche ai concorrenti di poterli acquistare. Google shopping parteciperà come entità separata da Google e senza poter contare sulla casse dell'azienda madre.
In ogni caso la società americana ha già annunciato che presenterà appello al provvedimento della Commissione europea.
Il 27 giugno la Commissione europea ha inflitto a Google (e Alphabet Inc, società madre di Google) una multa di 2,42 miliardi di euro (qui il comunicato stampa, qui il documento che espone i dettagli dei 7 anni di indagini) per abuso di posizione dominante. Secondo il Commissario alla concorrenza, Margrethe Vestager, Google avrebbe favorito il suo servizio di comparazione di prodotti (shopping) rispetto a servizi concorrenti, sfruttando la posizione dominante nell'ambito del mercato dei motori di ricerca. In tal modo avrebbe danneggiato i consumatori, forzati a utilizzare il suo servizio.
A seguito delle indagini, durate circa 7 anni, è risultato che Google ha posto in posizione di preminenza i suoi prodotti, visualizzati nella parte superiore della pagina di ricerca. Nel contempo avrebbe retrocesso i concorrenti nei suoi risultati di ricerca.
La multa tiene conto della durata e della gravità dell’infrazione ed è calcolata sui ricavi del servizio comparativo di Google nei 13 paesi dell’Unione. Ricordiamo che nel 2016 Google ha avuto ricavi per circa 90 miliardi di euro. Il provvedimento richiede, altresì, che l’azienda cessi le sue pratiche illegali entro 90 giorni, a pena di ulteriori sanzioni.
Le indagini contro Google
Attualmente sono tre le istruttorie contro Google per violazione delle norme antitrust. Si tratta di iniziative inquadrabili nell'ambito del Digital Single Market, quindi tese alla creazione di un mercato digitale comune europeo che sia sicuro per i consumatori e che consenta una sana competizione tra le aziende.
Le istruttorie a carico di Google riguardano:
- L’integrazione tra i servizi verticali (un servizio di ricerca verticale è un motore di ricerca specializzato in settori specifici, es. i viaggi) all'interno del motore generalista, poiché visualizzerebbe in modo diverso i link ai propri servizi così favorendoli rispetto ai concorrenti (istruttoria definita, appunto, con la multa citata prima, qui un riassunto dell’intera storia dietro a questo procedimento).
- Restrizioni ai produttori di dispositivi Android e operatori di rete mobili, per rafforzare la posizione dominante nella ricerca generica, pre-installando il servizio Google Search come predefinito o esclusivo (qui la comunicazione di addebiti).
- Restrizioni a siti web di terze parti in merito alla possibilità di visualizzare sui loro siti pubblicità proveniente dai concorrenti di Google, proteggendo così la posizione dominante nel mercato della pubblicità di ricerca online (qui la comunicazione di addebiti).
Le istruttorie sono iniziate all'epoca del Commissario alla concorrenza Almunia, il quale era però tacciato di non essere adatto a comprendere la complessità del mercato di riferimento. Almunia cercò in tutti i modi un accomodamento con Google, non ottenendo granché.
Col nuovo Commissario, l’ex vicepremier danese Margrethe Vestager, i ricorrenti (decine di aziende in concorrenza con Google) hanno tirato un sospiro di sollievo. In pochi mesi il nuovo Commissario ha smosso le carte e sulla scrivania dei dirigenti di Google è giunto rapidamente il formale atto di accusa (qui il comunicato). Nel comunicato si precisa che la posizione dominante non è un problema in quanto tale, ma le aziende hanno la responsabilità di non abusare della propria posizione dominante restringendo la competizione nel mercato di riferimento o quelli limitrofi. Infine, Vestager ha avviato anche una nuova istruttoria sulle presunte restrizioni di licenza di Android verso i produttori di smartphone.
La Federal Trade Commission americana assolve Google
In seguito alle azioni della Commissione europea anche la Federal Trade Commission americana aveva avviato indagini formali contro il gigante della ricerca online. Dopo 19 mesi di istruttoria, però, la FTC ha assolto Google. Beth Wilkinson, consulente esterno per la FTC, ha dichiarato che indubitabilmente Google ha messo in atto azioni aggressive per ottenere un vantaggio rispetto ai concorrenti, pur tuttavia il compito della Commissione federale è quello di tutelare la concorrenza, non i singoli concorrenti e non risultano prove che Google abbia effettivamente impedito la concorrenza nel settore della ricerca online. Rimanevano, comunque, alcune preoccupazioni per le quali Google ha accettato di modificare il suo modo di agire.
Il punto dolente, anche in relazione alle accuse della Commissione europea, riguarda l’introduzione di Universal Search che avrebbe modificato l’algoritmo di ricerca di Google favorendo i prodotti e servizi dell'azienda americana a scapito dei concorrenti. Per la FTC tali modifiche all'algoritmo sono giustificate dall'obiettivo di innovare, migliorando alla fine il prodotto di Google e l’esperienza dei suoi utenti. Per questo ha deciso di chiudere il caso.
La difesa di Google
La difesa di Google è basata sulla considerazione che esiste comunque sempre una serie di servizi e prodotti concorrenti, e già tale presenza è indicativa del fatto che l'azienda non viola le regole e non danneggia la concorrenza. Ci sono sempre più servizi online e i consumatori recuperano le informazioni da una miriade di fonti diverse, anche da Facebook e Twitter, ma anche, con riferimento al mercato del mobile, dalle stesse applicazioni, piuttosto che da Google Search.
Google sostiene, inoltre, di fornire un prodotto innovativo, flessibile, semplice da usare, che fornisce velocemente le informazioni cercate e che quindi favorisce i consumatori. Insomma, il loro prodotto è il migliore, per questo è il più usato.
Posizione dominante e abuso
Se si guarda alla posizione di Google e in particolare alla quota di mercato occupato oggi, in effetti è ovvio pensare che Google si trovi in posizione dominante. Google detiene oltre l’80% della quota di mercato nell'ambito del search (fonte NetMarketShare) – mentre ad agosto 2016 aveva il 95% circa – e raccoglie oltre l’88% della pubblicità in questo settore. Il search engine più conosciuto lascia ormai solo le briciole agli altri motori di ricerca (vedi Motori di ricerca di Wikipedia), al punto che tanti sono usciti dal mercato (es. Yahoo, che ormai si appoggia a Bing), e altri semplicemente rimangono sconosciuti al grande pubblico.
Avendo tali dati si potrebbe, quindi, concludere, che esiste effettivamente un problema di dominanza sul mercato da parte di Google, come scrive Jonathan Taplin in Move Fast and Break Things. Ma la posizione dominante (che è palese) non vuol dire necessariamente che ci sia un monopolio, negativo per il mercato e per i consumatori.
Una quota dell’80% nel search advertising implica l’esistenza di un 20% che va ad altri motori di ricerca, quindi non c’è un vero e proprio monopolio. Esistono altri motori di ricerca ed è possibile utilizzarli, cioè c’è possibilità di scelta. Alcuni preferiscono Bing, altri sono contrari all'eccessiva raccolta di dati effettuata da Google e quindi utilizzano motori di ricerca alternativi e più tutelanti per gli utenti. Ad esempio, DuckDuckGo è pensato specificamente per proteggere l’utente dal tracciamento e dalla “bolla filtrante”, motore di ricerca bandito dal governo cinese proprio per l’elevato grado di protezione fornito agli utenti.
Un altro aspetto che viene enfatizzato per dimostrare la pericolosità del “monopolio” di Google, è la grandezza dell’azienda che impedisce ad altri servizi concorrenti di entrare nel mercato. In realtà anche questo aspetto non è così pacifico.
È vero che in alcuni casi si creano barriere all'ingresso di nuovi concorrenti in un mercato. Un esempio classico è l’introduzione di filtri a carico degli Internet Service Provider (ISP), previsto come obbligo dalla "Direttiva copyright" in consultazione al Parlamento europeo. La normativa prevede che gli intermediari dell’informazione debbano predisporre strumenti tecnici per monitorare (in accordo con i titolari dei contenuti) l’immissione in rete di contenuti in violazione del copyright, e quindi rimuoverli. Tali strumenti sono degli specifici software il cui costo non è indifferente (pensiamo a Content-ID creato da Google e utilizzato sulla piattaforma YouTube). Una norma del genere in effetti favorisce gli attori già presenti nel mercato di riferimento e che sono già sufficientemente grandi da potersi permettere investimenti sostanziosi per la realizzazione (o l’acquisto) di strumenti tecnici di questo tipo. Ma questo è un obbligo legislativo che di fatto altera la competizione nel mercato, ma non è conseguenza di una posizione dominante di un attore di quel mercato.
Un monopolio, inoltre, ha come conseguenza il congelamento dell’innovazione. In realtà nel settore tecnologico è difficile poter sostenere che manchi innovazione. Ad esempio quando Snapchat ha introdotto delle novità, Facebook è stata costretta a creare anch'essa funzionalità simili per evitare di perdere mercato. Vi è una costante corsa all’innovazione per non perdere quote di mercato. Ed è esattamente quello che accade con Google che da anni innova il suo motore di ricerca rendendolo sempre più efficiente e maggiormente in grado di comprendere le domande degli utenti e fornire risposte sempre più complete e affidabili.
Il problema, infatti, non è l’esistenza di una posizione dominante, ma l’eventuale abuso di tale posizione e ciò accade quando il potere sul mercato non è contendibile.
Il prodotto "motore di ricerca"
I motori di ricerca in origine non erano altro che una scarna schermata con dieci link blu, i rimandi ai siti dove gli utenti, secondo l’algoritmo del motore, avrebbero potuto trovare le informazioni cercate. L’evoluzione dei motori di ricerca è stata continua e ha lasciato indietro chi non ha saputo reggere la concorrenza. Nel 2011 il vicepresidente della sezione ricerche di Yahoo, Shashi Seth, sostenne che per andare incontro agli utenti era necessario reinventare la ricerca: “La risposta, per farla semplice, è di reinventare la ricerca. Il nuovo orizzonte per la ricerca sarà focalizzarsi sul fornire le risposte che servono agli utenti senza che essi interagiscano con una pagina di tradizionali link blu”.
Infatti, oggi i motori di ricerca hanno realizzato una profonda integrazione verticale, proponendo una serie di informazioni direttamente all'utente. Ad esempio, se io cerco su Google “empire state building” (ma anche con Bing), ottengo una serie di informazioni ulteriori (come anche l’altezza dell’edificio), indicando eventualmente la loro fonte (es. Wikipedia).
L’integrazione verticale pone seri problemi. Da un lato, è ovvio che il motore di ricerca potrebbe essere tentato di favorire i suoi servizi a scapito di altri (prendendo informazioni da, ad esempio, Google Maps, Google Viaggi, Google Shopping), ma anche perché l’utente, se trova l’informazione tra quelle inserite nella pagina di ricerca (es. l’altezza dell’edificio) non ha più alcuna necessità di spostarsi sul sito fonte (effetto di sostituzione).
Che è poi l’accusa che viene portata avanti dagli editori nei confronti di Google News, anche se in realtà Google News inserisce uno snippett (titolo più uno o due righe), per cui è difficile sostenere che in quel caso si realizza un vero effetto di sostituzione. Casomai l’utente scorrendo i titoli conviene che quello specifico articolo non gli interessa, per cui comunque non lo avrebbe letto.
In questa prospettiva la società britannica StreetMap, fondata nel 1997, ha sostenuto di essere stata schiacciata con l'arrivo di Google nel mercato della mappatura online nel 2007. Quando Google ha iniziato a inserire una mappa nella pagina dei risultati di ricerca, secondo Kate Sutton, direttore commerciale di StreetMap, è iniziato il declino del traffico verso i servizi della sua azienda.
Ma un’Alta Corte inglese ha stabilito che non esistono prove sufficienti per dimostrare che Google ha determinato degli effetti anti-concorrenziali nel settore della mappatura online, e che comunque le modifiche al motore di ricerca (l’introduzione della mappa nella pagina del search) possono essere considerare un miglioramento per il mercato del search engine.
Appare, altresì, complicato anche semplicemente stabilire qual è il mercato di riferimento. Perché se ci concentriamo su uno specifico settore, come ad esempio la ricerca di prodotti (shopping), esistono altri motori di ricerca specializzati, oppure siti web (Amazon) che entrano in concorrenza con Google. Gli stessi social network si servono di motori interni che sottraggono quote a Google. Oggi i motori di ricerca non sono l'unica porta di accesso ai siti web, anzi gli utenti raggiungono i siti attraverso una miriade di percorsi (in particolare attraverso i social).
Oltre tutto nell'ambito del mercato dei motori di ricerca non esiste alcuna barriera (lock-in) al passaggio da un prodotto ad un altro (a differenza di altri settori, ad esempio i social). Un utente può in qualsiasi momento utilizzare un motore di ricerca concorrente. È, quindi, difficile sostenere che Google sia dominante perché crea ostacoli al passaggio ad altro prodotto concorrente. Più probabilmente lo è perché è il prodotto che maggiormente incontra il favore degli utenti.
Procedendo oltre, dovremmo anche definire quando siamo in presenza di una discriminazione di altri servizi. Nel momento in cui il compito di un motore di ricerca è quello di fornire all'utente una risposta nel più breve tempo possibile, è ovvio che l'integrazione verticale non è altro che un modo di andare incontro alle esigenze degli utenti, perché così il motore di ricerca diventa più efficiente. Imporre un principio generale di search neutrality a Google (o a Bing o a Yahoo) vorrebbe dire imporre all'azienda americana di smettere di fornire direttamente le risposte e linkare i servizi concorrenti, riportando il motore di ricerca al tempo della pagina con i link blu, cosa che comporta un ovvio danno al motore di ricerca con vantaggio dei competitori.
In quanto azienda che esercita la libertà di impresa, il motore di ricerca, invece, ha tutto il diritto di effettuare le scelte strategiche che ritiene utili per migliorare il proprio prodotto, compreso, quindi, inserire servizi proprietari nell'ambito dei risultati del motore di ricerca.
L’accusa nei confronti di Google è di non rispettare un generale principio di neutralità nella ricerca, nel senso che favorirebbe i propri prodotti o servizi a scapito di quelli concorrenti. Il rispetto del principio di search neutrality potrebbe congelare l’innovazione dei motori di ricerca.
Paradossalmente, in questo senso, la normativa antitrust, il cui scopo è di tutelare i consumatori, imporrebbe regole che impediscono al motore di ricerca di andare incontro alle esigenze dei consumatori. È questo il motivo in base al quale l’FTC ha sostanzialmente assolto Google.
Le accuse della Commissione
La Commissione europea, in realtà, accusa Google di aver fornito un trattamento diverso ai servizi di comparazione dei prezzi rispetto al proprio. Quello che la Commissione ha rilevato non è tanto l’integrazione verticale di servizi differenti all'interno del motore di ricerca generalistico, ma il fatto che tale integrazione venga svolta secondo modalità anti-concorrenziali (abuso). E cioè, il servizio Shopping di Google è sistematicamente posto nella parte alta della pagina di ricerca, e così viene visto immediatamente dall'utente.
Di contro, i servizi concorrenti sono assoggettati alla regole del motore di ricerca generalistico, e quindi finiscono invece in pagine successive alla prima (es. pagina 4). Quindi si verifica una situazione nella quale l’utente vede facilmente il servizio Shopping di Google ma non i concorrenti (a meno che non scorra diverse pagine), con evidente favoritismo per il proprio servizio. Google, infatti, tende a indirizzare l'utente, che cerca un prodotto, al venditore, tramite gli annunci pubblicitari o direttamente tramite Google Shopping (che generano ricavi), piuttosto che tramite il motore generalista (azione che non porta ricavi a Google). Google, quindi, sfrutta il motore di ricerca generalista per favorire un suo prodotto specialistico.
Secondo la Commissione, Google Shopping in tal modo avrebbe aumentato il traffico 45 volte nel Regno Unito, 35 in Germania, 14 in Italia. Teniamo presente che Google Shopping nasce dall’acquisito del servizio Froogle, che era decisamente inefficiente (come risultato anche da mail interne di Google).
Tali risultati emergerebbero da circa sette anni di indagini da parte della Commissione, in particolar modo analizzando le differenze tra i vari paesi, verificando il traffico di Google Shopping e dei concorrenti man mano che veniva introdotto nei vari paesi europei.
La Commissione ha ovviamente ricevuto e tenuto conto delle difese di Google, in particolare evidenziando che non è utile fare un raffronto con Amazon e Ebay. L'argomento utilizzato spesso a difesa del gigante della ricerca è infatti l'esistenza di prodotti simili in concorrenza, come appunto Amazon, che anzi è probabilmente anche più usato per lo shopping. Ma si tratta di servizi differenti (merchant platform, cioè che vendono prodotti) rispetto a quello di comparazione dei prezzi di Google Shopping. Ciò che va analizzato è il rapporto con gli altri servizi di comparazione prezzi (come Nextag, PriceGrabber, Foundem).
Google, ovviamente, ha annunciato ricorso.
Guerra commerciale Ue vs Usa
La multa al gigante della ricerca (e della pubblicità) online è l’atto finale di solo uno dei tanti procedimenti ormai avviati contro le multinazionali americane. È sempre del Commissario alla concorrenza Vestager la multa di 13 miliardi di euro per i benefici fiscali concessi ad Apple in Irlanda.
Si tratta anche di un atto profondamente politico, per avvertire i giganti americani che le regole che si applicano in Europa sono quelle europee, in tutti i campi, dalle protezione dei dati personali (vedi la riforma del regolamento per la protezione dei dati personali) fino alla tassazione.
Non dimentichiamo che già un gigante americano ha dovuto cedere all’antitrust europeo. La Microsoft, multata a più riprese per varie pratiche anti-concorrenziali, fu costretta a modificare le proprie pratiche commerciali in Europa.
È sintomatica la procedura di infrazione aperta per aver imposto, all'interno del sistema operativo Windows, Internet Explorer quale browser predefinito. Alla fine Microsoft accettò di consentire l’utilizzo di browser alternativi, inserendo il famoso ballot screen per la selezione del browser. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. A dicembre del 2009, anno in cui la Commissione multò Microsoft, Internet Explorer aveva una quota di mercato del 55%, mentre oggi è di circa il 4% (qui quote di mercato browser), lasciando così spazio ai concorrenti, Firefox e Google Chrome principalmente.
Una cosa è certa, comunque la si pensi, la guerra commerciale tra Usa e Unione europea si sta rapidamente scaldando.
(Immagine anteprima via Techcrunch)