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Subappalti e controlli a metà: le morti sul lavoro sono un problema strutturale e una responsabilità politica

22 Febbraio 2024 9 min lettura

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Subappalti e controlli a metà: le morti sul lavoro sono un problema strutturale e una responsabilità politica

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Nella mattinata di venerdì 16 febbraio, a Firenze, una delle travi portanti della struttura di un nuovo supermercato Esselunga ha ceduto, causando la morte di cinque operai e il ferimento di altri tre, che sono stati trasportati in ospedale in prognosi riservata, anche se non in pericolo di vita. Si tratta dell’ultimo di una lunga serie di incidenti mortali sul lavoro: secondo i dati sarebbero almeno 145 le persone morte sul lavoro in Italia nell’anno ancora in corso. Per questo motivo i sindacati hanno indetto manifestazioni in varie città d’Italia. Dietro queste morti non si cela soltanto l’elemento accidentale, ma varie questioni come il numero di controlli e i subappalti a cascata di natura politica. 

La situazione generale: le morti sul lavoro non calano più

Per comprendere il fenomeno è necessario prima fare una panoramica della situazione italiana, sia in relazione all’Europa sia seguendo una prospettiva temporale. Quest’ultima, infatti, mostra un dato inquietante. Se si osserva la serie storica degli infortuni e degli incidenti mortali nel nostro paese si nota che, dopo una fase discendente che va dagli anni ‘50 (dove le norme di sicurezza erano quantomeno flebili) fino agli anni duemila, si è poi assistito a una fase stazionaria.

Rispetto alla media europea, secondo i dati Eurostat riferiti al 2019, l’Italia si trova al di sopra per quel che riguarda gli incidenti con esito mortale: più alta di noi e capolista in questa triste classifica la Francia, mentre la Germania si colloca agli ultimi posti della classifica. 

Sul numero di morti sul luogo di lavoro, però, pesa anche la difficoltà di misurare la dimensione del fenomeno. Un esempio proviene dalle statistiche elaborate nel corso degli ultimi anni da due istituti, l’INAIL e l’Osservatorio Indipendente di Bologna sui Caduti del Lavoro. Il primo, nel periodo 2016-2020 (la pandemia ha ovviamente influenzato le statistiche), ha accertato in media 735 decessi, il 57 percento del totale delle denunce. Ma, secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna, le statistiche sulle morti accertate dall’INAIL, e in generale sul fenomeno, non tengono conto di vari fattori, che andrebbero quindi ad aumentare il numero di morti sul lavoro. In particolare vengono evidenziati tre fattori determinanti: la presenza di lavoratori in nero, le morti non denunciate e, infine, una porzione di morti che l’INAIL non ha certificato. 

I dati più recenti, che sono appunto da prendere con le molle vista la pandemia, restituiscono un quadro ancora più complesso Nel 2023, secondo gli Open Data dell’INAIL, le morti sul lavoro sono state 1401. Nonostante l’INAIL certifichi un calo delle morti sul lavoro nell’anno appena trascorso rispetto a quelli precedenti, questo calo è da attribuire in prevalenza agli incidenti in itinere, cioè nel tragitto casa lavoro, che scendono da 300 a 242. I morti sul lavoro salgono rispetto all’anno precedente da 790 a 799. 

Se questa è la panoramica generale, è istruttivo osservare che il fenomeno ha effetti eterogenei rispetto ai vari settori dell’economia. Tra i più interessati ci sono l’agricoltura, i trasporti e, come nel caso considerato, l’edilizia. 

Negli ultimi anni, a causa dei bonus edilizi messi in campo per la ripresa, il settore ha visto una crescita sostenuta, che coincide con più cantieri aperti, e che si è fermata solamente nel 2023. All’aumento dei cantieri è coinciso un aumento dei controlli che, per via delle carenze di personale, non sono riusciti a coprire la maggior parte dei cantieri. Secondo i dati, i controlli nel settore edilizio nel 2021 si sono fermati a 21,588 contro i 15, 923 del 2020, anno in cui l’economia era ferma per la pandemia. Non a caso si è assistito a aumento degli infortuni, ancora secondo i dati INAIL, non solo rispetto al 2020, ma anche rispetto agli anni precedenti. 

Inoltre il settore dell’edilizia, oltre a essere generalmente pericoloso, presenta anche un’elevata incidenza di imprese irregolari: secondo i controlli svolti nel 2023 nove imprese su dieci risultano irregolari, esponendo quindi i lavoratori a un rischio maggiore. 

Il caso di Firenze e il dibattito sulla sicurezza del lavoro 

Quanto successo a Firenze ha suscitato un cordoglio generale da parte della politica, al netto delle polemiche. Ma, come già successo in altre occasioni, bisognerà capire se alle parole seguiranno i fatti. L’esperienza sembra suggerire il contrario. Le promesse in materia fatte dalla ministra del Lavoro Calderone ormai cinque mesi fa non sembrano essere all’orizzonte per il governo Meloni. 

Vi sono infatti varie cause che acuiscono il fenomeno delle morti sul lavoro e che sono strettamente collegate ai diritti dei lavoratori. Tra le più importanti c’è sicuramente la questione dei subappalti. Nel caso fiorentino, l’appalto per la costruzione di un nuovo centro commerciale Esselunga era stato affidato ad Attività Edilizie Pavesi (AEP), un’impresa che ha già costruito svariati centri per l’azienda nel corso degli anni. Ma, dietro all’incarico, si cela poi una lunga catena di subappalti, che arrivano secondo le ricostruzioni a oltre 60 aziende. I subappalti a cascata sono proprio questo: si dà l’appalto a una certa azienda che poi distribuisce il lavoro tra una miriade di varie aziende, spesso piccole, per svolgere differenti lavori interni al cantiere in questione. 

Questo allungarsi delle catene di subappalto ha due conseguenze per il tema sicurezza e diritti dei lavoratori, come spiega in una lettera al direttore di Repubblica l’ex Presidente dell’INPS e prossimo candidato per il Movimento 5 Stelle alle Europee, Pasquale Tridico.

Il primo è che spesso questo causa problemi di coordinamento tra le varie aziende che lavorano nello stesso progetto. Un esempio su questo fronte è offerto da un’altra tragedia sul lavoro, quella avvenuta a Brandizzo nell’agosto dello scorso anno. In quell’occasione avevano perso la vita cinque lavoratori, travolti da un treno per mancanza di scambio di informazioni sull’orario di passaggio dei treni, mentre lavoravano in subappalto per la riparazione dei binari delle Ferrovie dello Stato. 

Il secondo problema è che spesso le imprese a cui viene subappaltato sono di piccole dimensioni. Come rilevano le analisi svolte in materia, le piccole aziende spesso non fanno formazione per la prevenzione degli incidenti sul lavoro né investimenti per migliorare la sicurezza sul posto di lavoro. Ciò dipende da motivazioni economiche, in quanto la messa in sicurezza del posto di lavoro richiede risorse che le piccole aziende non possono o non vogliono affrontare, come per esempio il ricorso a consulenti qualificati esterni all’azienda. Ma visto che gli investimenti in sicurezza, in un’ottica di lungo termine, garantiscono poi in risparmi per l’azienda stessa, c’è anche un aspetto culturale. Nelle piccole imprese la mentalità prevalente è vedere queste richieste come meri adempimenti burocratici, sottovalutando i rischi.  

Inoltre soffrono di svariate irregolarità, come la presenza di lavoratori in nero o inquadrati in settori non adatti per andare al risparmio. Il contratto nazionale dell’edilizia infatti, sottolinea l’ex direttore dell’Ispettorato del Lavoro Bruno Giordano, è efficace per realizzare tutele per la sicurezza, visto che al suo interno si trovano ad esempio corsi di aggiornamento sulla sicurezza. Ma per evitare questi costi, le aziende preferiscono altri tipi di contratti o addirittura contratti pirata, cioè quelli firmati da sindacati che non hanno alcuna rappresentatività, ma permettono una forza lavoro a basso costo. 

Per una questione meramente economica, quindi, i rischi vengono scaricati sulla pelle dei lavoratori. 

Questo è un aspetto che Tridico sottolinea: si è diffusa l’idea che l’efficienza si possa raggiungere attraverso dimezzamento dei tempi e una riduzione dell’esborso economico, ma proprio le finanze e i tempi sono di fondamentale importanza per il benessere e la sicurezza dei lavoratori, che invece si ritrovano non solo con paghe infime, ma anche in condizioni di sicurezza alquanto precarie. 

Il fatto che le morti sul lavoro siano strettamente collegate ai diritti dei lavoratori è testimoniato dall’elevata incidenza del fenomeno tra lavoratori stranieri. Nei primi undici mesi del 2023, fa notare l'osservatorio Vega Engineering, su 745 denunce di infortunio mortale, 142 sono state sporte da lavoratori stranieri. Dietro a questi dati, c’è il fatto che i lavoratori provenienti dall’estero sono occupati principalmente in settori a elevato rischio, come appunto l’edilizia. La condizione giuridica di questi lavoratori,  che spesso sono immigrati irregolari, assieme alla scarsa conoscenza della lingua, li espone a ricatti da parte del datore di lavoro. Si arriva così alle assunzioni in nero, alla mancata formazione e all’assenza di strumenti di precauzione che dovrebbero essere necessari. Non a caso, anche nel crollo della trave nel cantiere Esselunga di Firenze, alcune delle vittime sono straniere. 

Anche il leader della CGIL Maurizio Landini ha sottolineato sottolinea, in un’intervista rilasciata alla Stampa, come la deregolamentazione voluta dal governo sui subappalti a cascata sia appunto uno dei motivi dietro questo tipo di tragedie. 

Tra le proposte avanzate da Maurizio Landini c’è la patente a punti per le imprese, una proposta da tempo discussa. Si tratterebbe di una certificazione data all’azienda in base al rispetto delle normative sulla sicurezza rilevate durante le ispezioni. Questo però si scontra con un secondo problema: i controlli. 

I controlli che funzionano solo a metà

Nel corso degli ultimi anni, soprattutto per merito del ministro del Lavoro Andrea Orlando, vi è stato un piano di assunzioni all'Ispettorato del Lavoro che ha rimpolpato l’organico del 65%. Ma il numero di ispettori non basta, come spiega Bruno Giordano in un’intervista a Il Fatto Quotidiano: l’Europa raccomanda un ispettore ogni diecimila lavoratori, ma in Italia questo è in mano alle Regioni e quindi vi è un’elevata variabilità, tanto che in alcune Regioni si arriva a un ispettore ogni 39mila lavoratori. Una situazione di particolare difficoltà è stata riscontrata in Sicilia, dove gli ispettori sono 63 per 400 mila aziende. È inoltre necessario sottolineare che l’Ispettorato, dopo il decreto del 2021, ai sopralluoghi affianca il lavoro di ufficio per controllare, ad esempio, l’applicazione dei contratti o il versamento dei contributi. 

Nonostante questi impegni, oltre a una carenza di personale, i lavoratori dell’Ispettorato del Lavoro sono sottoposti a paghe basse che scoraggiano la partecipazione ai bandi e incitano i controllori a cambiare ufficio. Proprio per questo motivo i sindacati hanno recentemente chiesto un colloquio con la ministra del Lavoro Calderone, lamentando proprio queste problematicità che andrebbero a intaccare la capacità dell’Istituto di vigilare e garantire condizioni di lavoro ottimali per i lavoratori. 

Persistono però delle perplessità sull’efficacia stessa dell’Ispettorato del Lavoro. Le sue funzioni sono state definite dal Decreto Legislativo del 14 settembre 2015, nr. 149: di fatto l’intento era andare a raggruppare funzioni di ispezione che prima erano dislocate tra INPS, INAIL e ministero del Lavoro. Ma la struttura, come fanno notare Tito Boeri ed Edoardo di Porto su La Voce, era alquanto bizantina. Uno dei motivi addotti da Boeri e di Porto è che, tra i vari istituti coinvolti, l’Ispettorato era quello privo di banche di dati che avrebbero permesso una maggior efficacia dei controlli e delle ispezioni. 

Non solo: il coordinamento tra ASL e Ispettorato è tutt’altro che semplice. Come riporta Il Post, anche il Ministro Orlando ha evidenziato difficoltà nell’esecuzione dei relativi compiti affermando che “con quel decreto dell’ottobre del 2021 avevamo avviato un percorso, su cui ci sarebbe bisogno di un’azione di monitoraggio e di incentivo costante da parte del ministero, cosa che non mi risulta però stia avvenendo”. 

La volontà politica che non c’è

Come abbiamo visto, dietro le morti sul lavoro, non c’è solo una componente accidentale, ma soprattutto la questione subappalti a cascata e quella dei controlli, che si intersecano con i diritti dei lavoratori e il sistema produttivo italiano formato da piccole aziende che non si possono permettere (o non vogliono) investire in sicurezza. 

La ministra Calderone aveva proposto l’introduzione di una patente per le imprese già mesi fa, ma su quel fronte il governo Meloni non sembra voler fare passare avanti. Anche le assunzioni e le paghe dei lavoratori dell’ispettorato, che dopo il decreto fiscale sono incaricati anche di controllare i cantieri e le imprese, finiscono nel dimenticatoio, tanto che proprio il governo Meloni non ha piani per rimpolpare e potenziare l’ispettorato o, se invece si crede che l’istituto sia da cambiare radicalmente, un impianto di riforma in questa direzione. Il governo sembra poi intenzionato, secondo quanto scrive Repubblica, ad abolire l’obbligo di badge per i lavoratori che non sono in subappalto e appalto, uno degli strumenti più utili proprio per contrastare il lavoro nero. 

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Anche la riforma degli appalti voluta dal Ministro Salvini gioca un ruolo in negativo. Il fatto che si possano fare subappalti a cascata, in virtù di una sbandierata efficienza, non permette di controllare se le aziende coinvolte stiano verificando i requisiti di sicurezza, e anche il coordinamento tra le varie aziende sub-appaltatrici rischia di creare situazioni disastrose. 

Sarebbe tuttavia ingeneroso puntare il dito contro l’attuale governo. Salvo poche eccezioni (come il governo Draghi), si è fatto poco o nulla per contrastare il fenomeno, limitandosi nel migliore dei casi a parole di cordoglio in occasione di questa o quella “tragedia”. Ma il passato resta nel passato e il governo Meloni non sembra aver alcuna intenzione di prendere seriamente il problema. 

Immagine in anteprima: Frame video Rainews

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