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Molestie sessuali: nuove denunce, casi controversi e critiche. Il movimento #metoo sotto attacco

19 Gennaio 2018 18 min lettura

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Molestie sessuali: nuove denunce, casi controversi e critiche. Il movimento #metoo sotto attacco

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Sin da quando, all’indomani del caso Weinstein, il movimento #MeToo ha iniziato a entrare nella conversazione globale, le donne che l’hanno animato e sostenuto erano pronte a una controffensiva, un colpo di coda che screditasse la sollevazione globale contro molestie, abusi, violenze sessuali e tendesse a ripristinare lo status quo. A novembre la scrittrice e giornalista del New York Magazine Rebecca Traister diceva di sentirla già “fermentare”: “Tutto ciò che serve è una accusa debole (…) o un’accusa falsa. Un uomo ingiustamente licenziato per un urto mal interpretato in ascensore potrebbe trasformare tutte noi donne negli aggressori predatori, e gli uomini nelle nostre vittime sfortunate”.

È iniziato il 2018, e il contraccolpo preannunciato da Traister e molte altre è ufficialmente arrivato. Nelle scorse settimane si è levato un coro di voci intente ad avvertire che #MeToo sta andando “troppo oltre”, che c’è il rischio di una deriva volta a criminalizzare gli uomini e in grado compromettere le relazioni, il corteggiamento, il sesso, la seduzione. “Sono emerse come cicale dalla terra inquieta: inevitabili, prevedibili, lo stesso ronzio riguardante misandria, panico sessuale e femminismo che si spinge troppo lontano per il suo stesso bene. Erano [voci] incipienti già quando #MeToo è diventato mainstream, aspettavano qualche catalizzatore per emergere del tutto”, ha scritto Sarah Jones su New Republic.

Tre eventi, in particolare, hanno scatenato questa controffensiva: la vicenda riguardante la creatrice della lista Shitty Media Men, la lettera delle 100 donne francesi che difende il “diritto di essere importunate” e il caso Aziz Ansari.

Allo stesso tempo, sono le denunce e le testimonianze che continuano a dimostrare l’importanza di #MeToo e di ciò che rappresenta. Come quella della ginnasta Simone Biles, che ha raccontato di essere stata abusata sessualmente dall’ex medico della nazionale statunitense Larry Nassar (accusato da oltre 140 donne e attualmente sotto processo). La spinta a parlare è arrivata dopo aver sentito “le storie coraggiose delle mie amiche e di altre sopravvissute”.

https://twitter.com/Simone_Biles/status/953014513837715457

La lista Shitty Media Men e i whisper network

A metà dello scorso ottobre, un foglio elettronico di Google, anonimo, chiamato “Shitty Media Men” ha iniziato a circolare sul web, finendo nelle caselle email di decine di giornaliste americane. Si trattava di una lista di uomini del panorama dell’informazione accusati di insistenti inviti a cena, molestie, stalking, tentativi di violenze sessuali a colleghe e dipendenti. Chiunque poteva contribuire.

Poco dopo la pubblicazione della lista (che era stata pensata per uso privato), su BuzzFeed è uscito un articolo in cui una giornalista si interrogava su “cosa fare” con “Shitty Media Men”, che includeva comportamenti piuttosto variegati. Al di là dei dubbi espressi, comunque il pezzo ha avuto la funzione di consacrare l’esistenza della lista, facendo sì che l’informazione diventasse pubblica e molte copie continuassero a viaggiare su Internet anche dopo la sua cancellazione.

Negli stessi giorni Jia Tolentino sul New Yorker ha intervistato in forma anonima la donna che per prima ha dato avvio alla lista, la quale ha raccontato di essere stata spinta dal caso Weinstein e dalla figura di un predatore rispettato e di successo di cui tutti conoscono il comportamento. La donna ha spiegato che obiettivo del documento era sempre stata una “democratizzazione del whisper network” – una catena informale di conversazioni di donne che si scambiano avvertimenti e consigli per proteggersi a vicenda – e per questo “l’anonimato era una necessità”.

Sin dalla sua pubblicazione Shitty Media Men ha scatenato discussioni, polemiche e dubbi, soprattutto perché quasi subito ha iniziato a paventarsi il rischio che potesse diventare pubblico. Il blogger e troll dell’Alt-right Mike Cernovich, ad esempio, aveva dichiarato che avrebbe pagato 10.000 dollari per una copia - e, una volta ottenuta, aveva iniziato a mettere online i primi nomi. Anche altri avevano manifestato l’intenzione di postare il documento.

https://twitter.com/Cernovich/status/919963904083554306

Nei mesi successivi, diversi uomini presenti nella lista sono stati oggetto di investigazioni interne alle loro aziende per accuse di molestie sessuali, sono stati allontanati o sospesi dai luoghi di lavoro.

Il rischio di un contraccolpo per #MeToo con un documento come Shitty Media Men era concreto: “Quando c’è una protesta contro un abuso di potere, il modo per distruggere tutto è etichettare il gruppo con meno potere come ‘aggressore’. E questo accadrà qui. E quella lista è un modo molto, molto semplice perché succeda”, aveva notato Traister.

Di Shitty Media Men si è tornati a parlare lo scorso 9 gennaio, è circolata su Twitter la notizia che il magazine Harper’s avrebbe commissionato  alla giornalista Katie Roiphe - nota per le sue posizioni controverse riguardo il “rape crisis movement” degli anni '90 – un articolo per il numero di marzo in cui rivelava l’identità della donna che aveva creato la lista.

https://twitter.com/dtortorici/status/950811611178110976

Sono seguiti appelli e mobilitazioni online. Il timore era che si diffondessero informazioni sensibili online sulla creatrice, mettendola in una posizione rischiosa: sarebbe potuta essere bersaglio di troll, insulti e minacce reali.

Pochi giorni dopo, infine, la creatrice di Shitty Media Men ha deciso di “autodenunciarsi” con un pezzo su The Cut.

La donna – che si chiama Moira Donegan – ha raccontato che, quando ha pensato di iniziare la lista, non si sarebbe aspettata niente di quello che poi è successo: “Volevo solo creare un posto dove le donne potessero condividere le loro storie di molestie e aggressioni sessuali senza essere inutilmente screditate o giudicate”. Circa 12 ore dopo la messa online, Donegan ha rimosso il documento. Nonostante questo, la lista è diventata virale.

“Non posso fingere – ha aggiunto - che lo spreadsheet non mi abbia spaventata. Man mano che le storie si accumulavano e diventava chiaro che stavano usando il documento molte più donne di quante io avessi immaginato, ho realizzato che avevo creato qualcosa che era cresciuto rapidamente oltre il mio controllo”. Donegan ha anche ammesso di essere stata “incredibilmente ingenua” per non aver capito che il documento sarebbe presto diventato pubblico.

Nelle settimane successive alla notizia della lista, la vita di Moira Donegan è “drammaticamente cambiata”: “Ho perso degli amici: quelli che pensavano che fossi stata troppo zelante, quelli che pensavano che non lo fossi stata abbastanza. Ho perso anche il mio lavoro. Da quel momento in poi la mia vita è stata dominata dalla paura di essere scoperta, e delle molestie che ne sarebbero inevitabilmente seguite. Ho imparato che proteggere le donne è una posizione che ha poche protezioni”.

Donegan ha raccontato di essere stata contattata via mail a dicembre da Roiphe, che però non le aveva menzionato di essere a conoscenza della sua identità. Successivamente ha ricevuto una mail da un fact-checker di Harper’s che le chiedeva se fosse effettivamente coinvolta nella creazione della lista.

Dopo la messa online dell’articolo, Roiphe – che si è giustificata su Twitter - è stata fortemente criticata per aver ingannato Donegan.

Shitty Media Men, ha precisato Donegan, "ha avuto solo il potere di informare le donne delle accuse che venivano fatte, di fidarsi di loro nel giudicare la qualità di quelle informazioni e di fare le loro scelte di conseguenza (…) l’idea che le donne possano essere scettiche, che possiamo pensare e giudicare e scegliere per noi stesse a cosa credere e a cosa no”.

Amanda Marcotte su Salon ha evidenziato come la donna abbia riconosciuto di aver peccato d’ingenuità nel creare la lista, mentre ha definito l’operazione di Roiphe “lo sforzo più significativo fino a questo momento fatto per istigare un contraccolpo al movimento #MeToo”.

Partendo dalla lista, un articolo pubblicato sul New York Magazine da Andrew Sullivan ha paventato una deriva maccartista (ndr cioè un clima di sospetto generalizzato) per il movimento Me Too. “L’atto di disseminare anonimamente serie accuse riguardanti la vita sessuale delle persone come mezzo per distruggere le loro carriere e le loro vite ha un nome molto semplice. Si chiama Maccartismo”. Secondo Sullivan, coloro che hanno creato la lista “sicuramente credevano di fare una cosa buona – ma i maccartisti, in un panico simile riguardo il comunismo, hanno fatto la stessa cosa”.

Tacciare l’esperimento Shitty Media Men di essere una forma di maccartismo dimentica una cosa importante: pur con tutti i suoi limiti, la lista era intesa per restare un whisper network segreto, al quale le donne contribuivano privatamente. Sophie Gilbert su The Atlantic, ad esempio, ha ricordato come il fatto che il documento sia diventato di pubblico dominio si debba parzialmente anche a un uomo – Cernovich – che è stato il primo a postare dei nomi “per suoi interessi politici”. Quello che la lista rappresentava “era molto simile ad avvertimenti che erano già avvenuti di persona, in forme meno rapidamente virali”.

Deneuve e 100 donne francesi per la “libertà d’importunare”

Il secondo colpo che il movimento Me Too ha dovuto affrontare negli ultimi giorni è arrivato dalla Francia: la settimana scorsa su Le Monde è stata pubblicata una lettera firmata da un centinaio di artiste e accademiche – tra cui anche l’attrice Catherine Deneuve - in “difesa della libertà di importunare, indispensabile per la libertà sessuale”.

In sostanza l’appello (qui una traduzione) criticava il movimento Me Too tacciandolo di “puritanesimo” e di aver “dato vita nella stampa e sui social network a una campagna di delazioni e di messa in stato d’accusa pubblica di individui che, senza che gli sia lasciata la possibilità né di rispondere né di difendersi, sono stati messi esattamente sullo stesso piano di aggressori sessuali”. Una “giustizia sommaria” abbattutasi su uomini colpevoli di “aver toccato un ginocchio, rubato un bacio, parlato di cose ‘intime’ durante una cena professionale e inviato dei messaggi a connotazione sessuale a una donna che non era reciprocamente attratta. Questa corsa a inviare i ‘porci’ al mattatoio, al posto di aiutare le donne a diventare autonome, fa il gioco in realtà dei nemici della libertà sessuale, degli estremisti religiosi, dei peggiori reazionari che credono, in nome di una concezione vittoriana del bene e della morale, che le donne siano degli esseri ‘a parte’, delle bambine col viso da adulte che reclamano di essere protette”.

Alla lettera hanno risposto punto per punto con un articolo su France Info (qui tradotto) una trentina di donne femministe francesi, secondo le quali "non appena l’uguaglianza fa un passo avanti, fosse anche di mezzo millimetro, ci sono subito le anime pie che si svegliano per metterci in guardia dai rischi di eccesso e dalle derive in cui potremmo incorrere. Ebbene, nell’eccesso, nelle derive già siamo, e in pieno". L’eccesso "è il mondo in cui viviamo. In Francia, ogni giorno, centinaia di migliaia di donne sono vittime di molestie; decine di migliaia di aggressioni sessuali; centinaia di stupri. Ogni giorno. L’eccesso, il troppo, la deriva stanno lì".

Qualche giorno dopo Deneuve ha corretto parzialmente il tiro, pubblicando una lettera su Libération in cui spiegava di aver firmato l’appello in opposizione “al linciaggio mediatico” degli uomini accusati di comportamenti inappropriati, di trovarne giusto il messaggio, ma di volersi distanziare da certe prese di posizione di altre firmatarie (in particolare una di loro aveva detto che si poteva “godere anche durante uno stupro”). Deneuve si è quindi rivolta a “tutte le vittime di atti odiosi che possano essersi sentite aggredite dalla lettera di Le Monde. È a loro e solo a loro che mando le mie scuse”.

Dell’appello si è parlato molto anche in Italia, e diversi giornali hanno accolto di buon grado le istanze delle 100 donne francesi. Michele Serra – che già a novembre si era posizionato parlando di “maccartismo da cerniera lampo” - su Repubblica, ad esempio, ha scritto che la lettera mette “a fuoco i rischi di puritanesimo, caccia alle streghe, dagli all’untore, sessuofobia che la campagna si porta dietro”. Il Foglio (sin dall’inizio contro la campagna #MeToo) ha intervistato Natalia Aspesi, che ha sostenuto che «la molestia è un’invenzione»: «Da ragazzina vedevo signori nascosti nei portoni che tiravano fuori l’uccello: era una roba di cui non importava nulla, era un difetto maschile dal quale bisognava difendersi. La Deneuve appartiene a una generazione che, come la mia, ha imparato a difendersi dalla violenza». Anche la storica Anna Bravo si è pronunciata in difesa dell’appello francese, in cui sarebbe «centrata la questione dei rapporti tra uomini e donne, che implicano desiderio, complicità, simpatia, e anche interesse, prevaricazione, oppressione: rapporti troppo complicati per essere liquidati con il politicamente corretto»; mentre l’attrice Claudia Gerini ha affermato che «proclamare la guerra al maschio significa considerarci incapaci di respingere un’avance sgradita»: «Noi donne siamo lusingate dalle attenzioni maschili. Se non ci fossero finirebbe il mondo».

Secondo la giornalista Ida Dominijanni, queste reazioni sono “del tutto fuori campo e fuori fuoco”. È vero, invece, “l’esatto contrario: il #metoo, e in generale la presa di parola femminile contro l’andazzo corrente della miseria del maschile, nasce in una situazione che ha già mandato a morte la sessualità, e forse può farla risorgere”. Dominijanni ricorda come non ci sia “donna al mondo che non sappia distinguere un ‘corteggiamento insistente e maldestro’ da uno stupro, come le firmatarie dell’appello francese temono”; dall’altra parte, “tutto circola fra le silence breakers americane (ndr le donne americane che hanno rotto il silenzio) tranne un’auto-vittimizzazione inerziale e passiva: tutta la faccenda sembra al contrario parecchio empowering, e parecchio liberatoria anche per quegli uomini che la guardano con curiosità e fiducia”.

Pierluigi Battista sul Corriere della Sera ha fatto una riflessione sulla cosiddetta "zona grigia" tra approcci e molestie: "Diciamocelo noi maschi, ce la cantiamo, perché lo sappiamo benissimo, lo sappiamo per intuito, sensazione, esperienza, dove sta il confine. E il confine è il consenso (...) La zona grigia può restare grigia, ma il punto del consenso è quello fondamentale. Spingersi oltre, forzando la resistenza altrui, non è un eccitante gioco di ruolo, è una carognata".

Secondo il giornalista, comunque, "il vero punto dolente, quello che è e deve restare il vero oggetto della disputa" è l’abuso di potere: "Il ricatto per cui o ti adegui alle mie condizioni oppure perdi il lavoro è una roba che noi maschi dovremmo considerare con aperta ripugnanza. Si è sempre fatto? Basta, non si fa più". "Ci sono momenti della storia - ha aggiunto Battista - in cui quello che appariva normale un minuto prima, un minuto dopo appare come una porcheria. Il momento attuale è uno di questi e non credo che ne venga messa a rischio la nostra virilità o la libertà sessuale di tutte e di tutti. Fare i minimizzatori su questo punto è sbagliato. Poi, certo, c’è anche, in qualche caso, il fascino del potere. Poi ci sono quelle che si sono adeguate. Ma tra i diritti fondamentali c’è anche quello di non essere eroiche, di temere le conseguenze, di non saper o di non voler prendere a ceffoni il predatore. Questo diritto è incoercibile. E capirlo è indispensabile, meglio tardi che mai".

Il caso Aziz Ansari

Qualche giorno fa il sito Babe.net ha pubblicato la testimonianza di una fotografa di 23 anni che ha accusato di comportamenti sessuali inappropriati l’attore americano Aziz Ansari, con cui era uscita lo scorso settembre. La serata, però, non è andata come Grace (il nome di fantasia attribuito alla donna) si era immaginata: Ansari insisteva perché andassero a casa sua, e aveva più volte ed esplicitamente espresso l’intenzione di avere un rapporto sessuale, tentando diversi approcci mentre lei cercava di fargli capire che non ne aveva voglia. Grace ha poi raccontato di essere andata via e di essersi “sentita violata” nonostante non ci fossero stati ricatti o violenze vere e proprie. Il giorno dopo la ragazza ha mandato un sms ad Ansari, spiegandogli il suo stato d’animo.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, Ansari ha rilasciato una dichiarazione in cui confermava di aver trascorso la serata con Grace, e di aver compiuto atti sessuali che “erano completamente consensuali”. L’attore ha confermato di aver ricevuto un sms dalla ragazza, e di essersi sentito “sorpreso e preoccupato”: “Ho preso a cuore le sue parole, e le ho risposto privatamente dopo essermi preso del tempo per elaborare quello che aveva detto”.

La vicenda raccontata è piuttosto comune: credo che la maggior parte delle donne possa dire di aver vissuto esperienze di questo tipo. E proprio l'ordinarietà dei comportamenti descritti dalla storia si è trasformata nel terreno ideale per un attacco all’intero movimento #MeToo.

Caitlin Flanagan sull’Atlantic ha scritto ad esempio che il resoconto somiglia più a un “revenge porn di 3mila parole” per una serata finita male, mentre i dettagli forniti servirebbero solo a “ferire e umiliare Ansari”: le due donne – Grace e la giornalista - “hanno distrutto la sua carriera, che è oggi la punizione per ogni tipo di cattiva condotta sessuale maschile, dal grottesco all’inappropriato”. Secondo un articolo pubblicato sul New York Post, con la storia di Ansari “il movimento #MeToo ha ufficialmente saltato lo squalo” (espressione per indicare il momento in cui una saga cinematografica o una serie TV inizia ad abbassare il suo livello qualitativo), travolgendo un “uomo irreprensibile” in un “incubo orwelliano”.

Tutti gli incontri pseudo romantici o con risvolti sessuali sono a rischio adesso? La questione, evidentemente, è più complessa di così; e, proprio perché la storia di Grace è ad alto tasso di identificazione, riguarda una riflessione su quello che siamo abituati a considerare come il normale andazzo delle relazioni.

Jill Filipovic ha scritto sul Guardian che, in effetti, l’articolo su Babe.net è stata “un’occasione persa”, ma "non perché queste storie non debbano essere raccontate - semmai, dobbiamo parlare di più su come gli squilibri di potere pervasivi avvantaggino gli uomini e rendano il sesso peggiore per le donne. Ma qui invece di raccontare questo particolare tipo di storia con la cura che avrebbe richiesto, è stata intrappolata in un movimento pre-esistente, radicato nel linguaggio dell’aggressione e dell’illegalità”. Il risultato di questo è che mentre dibattiamo se Ansari sia o meno un molestatore, “perdiamo il punto più rilevante della discussione su sesso, diritto maschile e misoginia in camera da letto”.

Sembra finalmente – ha aggiunto - che la maggior parte della società capisca che aggressioni sessuali e molestie sono sbagliate; stiamo capendo sempre di più che la questione non riguarda il sesso ma il potere, e che le molestie sul luogo di lavoro non riguardano il desiderio sessuale, ma il diritto delle donne di partecipare alla forza lavoro”. Quello che ancora manca dalla discussione è “il sesso eterosessuale per le donne in una società che vede il sesso principalmente come piacere maschile; che continua a considerare i corpi delle donne come oggetti sessuali” e “incoraggia l’aggressività sessuale negli uomini e accondiscendenza e passività nelle donne”. Se ancora “non siamo d’accordo sul fatto che piacere femminile ed entusiasmo esplicito siano prerequisiti per un incontro sessuale”, finiamo con due opzioni: “accettare la disuguaglianza sessuale semplicemente come modo di essere del sesso (o degli uomini) o incasellare esperienze sessuali particolarmente cattive nella categoria dell’aggressione sessuale”. Bisognerebbe parlarne, perché la locuzione “serata finita male” non riesce a “catturare le dinamiche di disuguaglianza di potere e il profondo senso di disorientamento e tradimento che arriva quando qualcuno ti tratta come un buco piuttosto che come una persona. E neanche riesce a misurare adeguatamente il peso di secoli di misoginia che hanno plasmato i nostri momenti più intimi”.

#MeToo è andato troppo oltre?

Nel pezzo di Andrew Sullivan sul New York Magazine si invita a “resistere agli eccessi del #MeToo”, che rischia di punire uomini innocenti: “In poche settimane, la giusta denuncia di orrendi abusi di potere si è trasformata in una più generalizzata rivolta contro il patriarcato. Questo tipo di manie a un certo punto si esauriranno e questo tipo di zelo come sempre oltrepasserà il limite. In una società libera, un respingimento era inevitabile, e sano”. Anche la scrittrice femminista Margareth Atwood (autrice del romanzo "The Handmaid's Tale", che ha poi ispirato una serie televisiva) ha sollevato alcuni dubbi sui limiti del movimento, provocando moltissime polemiche.

Altri hanno scritto che #MeToo avrebbe travalicato i suoi propositi, creando una sorta di sex panic. In un articolo del New York Times, ad esempio, Daphne Merkin ha lasciato intendere una certa stanchezza delle donne riguardo al movimento che sta dividendo “l’eros dal sesso”, scrivendo che “questi sono tempi spaventosi, sia per gli uomini che per le donne. C’è un’ondata inquisitoria nell’aria, e il mio particolare timore è che, così come avviene spesso in America, tutta la sottigliezza e la riflessione si stiano perdendo. Il prossimo passo sarà incenerire le persone per il contenuto delle loro fantasie”. Sul New Yorker Masha Gessen ha avvertito che ignorando le distinzioni tra diversi gradi di cattiva condotta sessuale, #MeToo rischi di sbiadire “i confini tra stupro, coercizione sessuale non violenta e cattivo sesso da ubriachi. L’effetto è di criminalizzare il sesso cattivo e banalizzare lo stupro”. Un’altra critica, infine, riguarda il ruolo delle donne. Bari Weiss, sul New York Times, ha affermato in relazione al caso Ansari che la storia di Grace avrebbe trasformato “quello che sarebbe dovuto essere un movimento per l’empowerment delle donne nell’emblema dell’impotenza femminile”.

Tutti questi rischi sono concreti? Il movimento ha davvero perso il punto? Credo siano neccesarie alcune precisazioni.

La prima: dire che #MeToo si stia allargando troppo è un modo per restringere il campo – e far sì che il problema da affrontare si rimpicciolisca a nostro piacimento. Come scrive Sarah Jones su New Republic, “ogni discussione produttiva riguardo la violenza sessuale deve estendersi all’etica sessuale (…) Chiedere alle donne di scappare o chiamare un taxi o colpire i loro aggressori fa sì che questa conversazione non avvenga. Mantiene il fardello dove è sempre stato – sulle donne – e assolve gli uomini dalle loro responsabilità”. E questo vale anche per le accuse di vittimizzazione. “Sembra che le donne – dice Jones – non possano evitare lo stigma della vittimizzazione, qualsiasi cosa facciano. Se parlano di quanto accade loro, scelgono di vittimizzarsi. Se trovano soluzioni, scelgono di vittimizzarsi. Se parlano di stupro ad un appuntamento o di cattivo sesso, scelgono di vittimizzarsi”.

Da un'altra prospettiva, tra l'altro, #MeToo si sta già allargando: da un movimento di semplice raccolta di storie e consapevolezze a una mobilitazione per cercare di risolvere il problema. A inizio gennaio, più di 300 donne lavoratrici di Hollywood hanno annunciato la nascita della campagna Time's Up, con lo scopo di combattere attivamente le molestie sessuali sul lavoro, anche attraverso un fondo di difesa legale che fornirà e pagherà il supporto a donne e uomini che ne sono stati vittime. In pochi giorni sono stati già raccolti milioni di dollari.

Tra i donatori anche l'attore Mark Wahlberg, che ha versato il compenso di 1,5 milioni di dollari percepito per girare i re-shoots del film Tutti i soldi del mondo dopo l'eliminazione dalla pellicola di Kevin Spacey in seguito allo scandalo molestie. Wahlberg ha fatto la donazione a nome dell'attrice Michelle Williams, anche lei nel cast, ma che a differenza sua aveva ricevuto in tutto circa mille dollari per rigirare le scene.

Il secondo punto riguarda il concetto di libertà sessuale che sarebbe attentato da #MeToo: di che tipo d libertà stiamo parlando? A guardare le critiche al movimento, si legge su un articolo di The Verge, sembra che ci si riferisca alla “libertà di ognuno di fare qualsiasi cosa voglia”. Il problema è però che, intesa così, “questa libertà si trasforma in abuso, a meno che sia limitata dal diritto di essere ugualmente liberi dal subire forzatamente impulsi e desideri di altre persone. Assicurare che questa ‘libertà di’ non abbia la precedenza su una ‘libertà da’ richiede un serio riesame dei miti che spesso circondano stupro e molestie sessuali”.

Infine, parlare di sesso ed eros in relazione alle storie del movimento #MeToo confonde parecchio i piani. Lo scrittore francese Raphaël Glucksmann ha definito gli argomenti della “cavalleria minacciata” o dei “rischi per la seduzione” in risposta alle testimonianze delle vittime di molestie e abusi delle “truffe intellettuali”: “Come in qualsiasi movimento che sconvolga una società, ci sono dei rischi. Ma preoccuparsi di (potenziali) derive puritane più che dei fatti (reali) in discussione” è il segno “di un attaccamento a un quantomeno criticabile ordine patriarcale”. Glucksmann non vede una minaccia per la seduzione che, al contrario, “sarà tanto più libera e bella perché non si inserirà più in schemi di dominio arcaici”. “Non è il puritanesimo che vedo all'orizzonte, è piuttosto una liberazione delle possibilità sessuali. Tra uguali. E l'uguaglianza non potrà che rendere i giochi di seduzione, i rapporti sessuali, gli amori, i piaceri migliori”.

Come scrive Jessica Valenti sul Guardian, “non c’è nessuna guerra al romanticismo”: la maggior parte di coloro che sono stati coinvolti nelle ultime settimane sono stati accusati di stupro, molestie seriali o di mostrare i propri genitali davanti a donne che non ne avevano nessuna voglia. “Quindi – si chiede la giornalista – di quale ‘eros’ siamo realmente preoccupati?”

Il motivo per cui molte persone stanno confondendo comportamenti cattivi o talvolta criminali con il romanticismo, secondo Valenti, sta nel fatto che le “idee tradizionali riguardo la seduzione si basano sullo stereotipo per cui le donne si sottraggono al sesso e gli uomini devono lavorare duramente per ottenerlo”. È una visione della sessualità che fa buon gioco nello scusare certi comportamenti. Il punto centrale è che questo momento con romanticismo c’entra davvero poco, perché riguarda l’abuso. E “forse il fatto che molte persone non sappiano distinguere le due cose è parte del problema”.

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Immagine in anteprima via Pexels

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