Moldavia, la guerra mediatica contro la propaganda e la disinformazione russa
7 min letturaLa Moldavia è una piccola nazione inserita tra l’Ucraina e la Romania che conta, al 2019, circa 2,6 milioni di abitanti (Roma ne conta 2,8). Si tratta di una nazione che apparteneva all’ex URSS, divenuta indipendente nel 1991, e che dal 24 febbraio con l’invasione russa dell’Ucraina è rimasta coinvolta su vari fronti.
Uno di questi è l’accoglienza delle persone che stanno scappando dall’Ucraina. Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, dal 28 febbraio circa 400.000 persone sono arrivate in Moldavia dall'Ucraina. Di queste si stima che circa 100.000 siano rimaste nel paese e che quasi la metà di loro siano bambini.
Un altro fronte riguarda l’indipendenza della Moldavia. Esiste infatti il timore che Putin nel prossimo futuro possa prendere di mira altri paesi che ritiene sotto la sua sfera di influenza. Se la Moldavia sia sicura è una delle difficili domande che si stanno ponendo varie testate nel mondo alle quali non è facile rispondere.
In questo stato di incertezza, un problema che coinvolge la Moldavia è il modo in cui viene fatta informazione nel paese e lo stato del suo giornalismo. Si tratta di una nazione divisa al suo interno con una parte di media altrettanto polarizzata e un settore di giornalismo indipendente che cerca di affrontare la disinformazione filorussa e le conseguenze sulla popolazione.
La situazione in Moldavia
La guerra scatenata dalla Russia ha anche contribuito a ricordare la vulnerabilità del paese, uno degli Stati tra i più poveri in Europa. «La Moldavia è una nazione agricola con vigneti, campi di grano e foreste e ha un prodotto interno lordo pro capite di circa 4.500 dollari, appena sotto quello del Guatemala», spiega Frank Langfitt su NPR, aiutato dai dati della Banca Mondiale.
A questo si aggiunge che la Moldavia ha diverse comunità etniche al suo interno e due regioni autonome.
La Transnistria è una regione separatista filorussa che si è autoproclamata indipendente: ha 500mila abitanti, sul suo terreno sono schierati circa 1.500 soldati russi e negli anni ha ricevuto finanziamenti dalla Russia. Come riporta Jon Allsop sulla Columbia Journalism Review, in Transnistria «la libertà di stampa è molto limitata e giornali e televisioni hanno appena accennato al conflitto oltre confine». L’altra regione è la Gagauzia, nel sud del paese. Anche qui la popolazione è in prevalenza filorussa: «Le autorità esercitano un controllo più stretto sull'informazione e i canali TV russi sono ancora ammessi», spiega su CJR la giornalista Corina Cepoi, a capo delle operazioni moldave per Internews, organizzazione non governativa dedicata ai media internazionali.
Il panorama dei media
«Durante l'era sovietica, i media in Moldavia - come in tutta l'Unione Sovietica - erano controllati completamente dal governo e dalle istituzioni del Partito comunista», ci spiega via mail Ann Cooper, che è stata corrispondente da Mosca per la NPR.
La situazione è rimasta invariata fino alle politiche di glasnost' di Michail Gorbačëv. Queste hanno permesso ad alcuni giornalisti di iniziare a lavorare e fare reportage in modo più indipendente. «Dopo il crollo dell'Unione Sovietica i media del governo e dei partiti sono stati per lo più privatizzati nelle ex repubbliche sovietiche, anche se in alcuni casi i governi locali controllavano ancora o influenzavano pesantemente alcuni media. Per la prima volta, i privati cittadini potevano possedere dei media, e così cominciarono ad apparire nuove redazioni», continua Ann Cooper.
Dopo la sua indipendenza nel 1991 in Moldavia non è mai nato un mercato che permettesse ai media di rimanere indipendenti. I modelli di business basati su pubblicità e abbonamenti non hanno funzionato e con la scomparsa delle sovvenzioni del Partito comunista è diventata evidente la dura sfida economica. Le opzioni per mantenersi finanziariamente sono poche, e legarsi a imprenditori non è spesso una buona idea. «Vari imprenditori hanno avviato nuove testate giornalistiche in Moldavia, ma alcuni di questi proprietari volevano solo un giornale per promuovere le loro opinioni politiche. Non gli interessava necessariamente che fosse redditizio o meno; a loro interessava usarlo per avere influenza», spiega Cooper.
Dopo la dissoluzione dell’URSS non tutti gli Stati hanno istituzionalizzato la libertà di stampa. Da un lato, ci sono le nazioni baltiche (Lettonia, Lituania ed Estonia), particolarmente virtuose, dall’altro lato, Turkmenistan, Azerbaigian, Bielorussia e la stessa Russia, i cui governi sono estremamente repressivi nei confronti dell’informazione. A metà troviamo paesi che riescono ad avere un piccolo gruppo di giornalisti indipendenti, che però sono costretti a lavorare in condizioni politiche spesso instabili. Fra questi ci sono Armenia, Georgia, Ucraina e, appunto, Moldavia. Una stampa definita «parzialmente libera», le cui condizioni dipendono spesso da chi vince le elezioni nazionali.
L’impatto sulla popolazione
Il motivo della disinformazione russa è semplice: «Cercare di controllare la Moldavia e mantenerla nella sfera d'influenza della Russia. Il Cremlino lo sta facendo da anni, controllando le menti delle persone attraverso la propaganda in TV», spiega a Valigia Blu Anastasia Nani, vicedirettrice del Centro di Giornalismo Indipendente, ONG moldava per la libertà di stampa.
Queste azioni hanno un loro peso sulla popolazione, le elezioni presidenziali del 2016 e del 2020 nel paese sono alcuni degli esempi. Entrambe le tornate elettorali hanno visto sfidarsi Igor Dodon, filo-russo apertamente sostenuto dal Cremlino, e Maia Sandu, europeista.
Come rilevato da diverse organizzazioni indipendenti impegnate in debunking e fact-checking durante le elezioni, la disinformazione ha giocato un ruolo importante. Nel novembre 2016 una notizia falsa su un arrivo di 30.000 rifugiati siriani e un presunto accordo tra Sandu e la cancelliera tedesca Angela Merkel avrebbe inciso nelle votazioni, favorendo il candidato Dodon.
Nel 2020 si è assistito a eventi simili. Dodon, senza nessuna prova, ha sostenuto che Sandu fosse un burattino dell’Occidente, inadatta a guidare il paese. Non sposata e senza figli, sempre secondo Dodon avrebbe potuto minare l'istituzione della famiglia e favorito i diritti della comunità LGBTQ+. Questa volta però, a prevalere è stata la candidata europeista Sandu, forse anche grazie al lavoro di verifica dei fatti.
Nei giorni dell’invasione russa in Ucraina, torna di nuovo attuale la domanda su come fermare il traffico di notizie false. L’approccio russo sui media ha seguito in qualche modo l’andamento della guerra e fino al 24 febbraio alcune TV con grande audience hanno trasmesso programmi di propaganda russa.
«Le preoccupazioni occidentali su una possibile guerra sono state bollate come isteria, gli Stati Uniti erano al lavoro per una guerra di informazione, le armi occidentali stavano andando in Donbass, Kiev stava avvelenando i fiumi a Donetsk e Lugansk, un’arma chimica era in preparazione. I leader occidentali sono stati ritratti come nemici, e i leader del Cremlino come salvatori», racconta Anastasia Nani a Valigia Blu descrivendo alcune delle opinioni e notizie trasmesse in quei giorni. Questa propaganda prebellica – prosegue Nani – ha preparato il terreno affinché i moldavi avessero un determinato atteggiamento nei confronti delle notizie sulla guerra in Ucraina.
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il governo moldavo ha dichiarato lo stato di emergenza lungo due mesi, per provare a limitare i danni della disinformazione: sono stati bloccati siti e sono state date multe ai canali TV vicini alla Russia. Questo stato di emergenza però secondo Anastasia Nani è sterile e non risolve nulla a lungo termine. L’Independent Journalism Center sta portando avanti un lavoro per promuovere e sviluppare pensiero critico. «In particolare, lo facciamo attraverso il sistema educativo. Siamo riusciti a introdurre un corso opzionale nelle scuole elementari, medie e superiori», spiega Nani.
La disinformazione ha dei risvolti pratici evidenti, come racconta Il Post in un reportage. Le persone più anziane guardano soprattutto la TV filorussa, mentre i più giovani seguono media indipendenti o Telegram, dove trovano una selezione di link e notizie. Questo crea divisione all’interno delle famiglie.
Giornalismo indipendente
Anche se piccolo, esiste un settore giornalistico indipendente che sta provando a combattere la complicata battaglia per il racconto dei fatti e della realtà. Il più grosso problema, come detto, è la mancanza di soldi.
«Nel 2004, Alina Radu e un amico giornalista hanno deciso di creare un giornale settimanale d'inchiesta. Hanno racimolato i soldi per comprare un computer per il design e l'impaginazione. Ma gli articoli venivano scritti su quattro PC di fortuna, messi insieme dal marito ingegnere di Radu con i computer dismessi da una banca locale. Scrivanie nuove? Un lusso eccessivo, così la redazione di Ziarul de Gardă (letteralmente Giornale in Guardia) è stata arredata con tavoli e sedie presi in prestito», racconta ancora Ann Cooper su Nieman Reports.
Rimanendo su esempi specifici, NewsMaker «ricava solo il 20% del suo budget dalle pubblicità», dice la caporedattrice Galina Vasilieva. Infatti redazioni indipendenti, come Ziarul de Gardă, RISE Moldova e NewsMaker, ricevono la maggior parte o tutti i loro finanziamenti da donatori stranieri, come Open Society, l’Unione Europea o singole ambasciate come quella statunitense. Difficilmente riuscirebbero a svolgere il loro lavoro senza questi soldi.
Uno dei motivi di questi problemi è che l’informazione indipendente non riesce ancora a penetrare massicciamente tra le redazioni e la popolazione. Secondo i report di IREX, una ONG per lo sviluppo e l’istruzione, il giornalismo indipendente è praticato solo nel 15% dei media moldavi e raggiunge una percentuale simile della popolazione. L'altro 85% delle redazioni «serve le forze di governo o i partiti politici, non l'interesse pubblico», afferma IREX.
Sul lato economico qualcosa si muove nel frattempo grazie anche al lavoro di Internews, una ONG con sede negli Stati Uniti che sta cercando di diversificare i ricavi delle varie organizzazioni giornalistiche. I modelli di business a cui stanno lavorando sono tra i più classici, come abbonamenti, inserzioni pubblicitarie, ma anche la vendita di servizi di videomaking o fotografici. Però almeno nel breve termine «non ci si aspetta che questi sforzi permettano ai media indipendenti di smettere di dipendere dal sostegno occidentale per almeno una parte delle loro spese», conclude Ann Cooper via mail.
Nonostante questi problemi il lavoro di inchiesta e investigativo di molte testate rimane fondamentale. Molte storie di corruzione sono state portate a galla da giornalisti che lavorano in progetti come Ziarul de Gardă o RISE Moldova. A questi nomi si possono aggiungere poi Agora e NewsMaker, che rientrano tra i media più affidabili nel Media Radar, un sistema di monitoraggio dei media in Moldavia.
Durante la guerra è diventata ancora più evidente la differenza tra chi cerca di descrivere la realtà e chi invece fa il giornalista solo di facciata. I primi, spiega Nani, «lavorano molto, fanno l'informazione verificata, lo sforzo è grande, soprattutto perché il flusso di informazioni è enorme». I secondi invece «hanno semplicemente riempito le pagine con materiale che gli è stato passato».
Immagine in anteprima via Russia Matters