Perché le affermazioni del ministro della Transizione Ecologica sugli ambientalisti sono un problema
7 min letturaPer coinvolgere la società, in tutte le sue articolazioni, in un passaggio epocale come la transizione ecologica ed energetica, abbiamo bisogno di molte cose. Una di queste, oggi ancora sottovalutata, è la comunicazione. Che non riguarda, solo e semplicemente, il modo in cui contenuti e messaggi vengono trasferiti da A a B. Ma riguarda anche la qualità della discussione pubblica. Perché non c'è nessuno che non sia interessato dagli effetti della crisi climatica. È evidente che in questa discussione pubblica decisori e attori istituzionali sono tra i soggetti più coinvolti ed esposti.
Se questa premessa è vera, allora è opportuno riflettere sulle affermazioni pronunciate dal ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ad un evento di Italia Viva (Ambientalisti radical chic peggiori della catastrofe climatica, titola l'agenzia AGI), che stanno facendo molto discutere e che hanno causato comprensibili reazioni negative.
Sarà una riflessione franca e critica, ma credo sia indispensabile. Non entrerò nel merito delle questioni tecniche, mi interessa qui riflettere sulla comunicazione, sulle sue implicazioni e su certi messaggi che vengono veicolati (anche se è inevitabile poi ricollegare tutto questo alla visione e alle politiche che si propongono sulla transizione ecologica).
Ci sono alcune affermazioni di Cingolani, che vengono riportate dai giornali e che colpiscono. Tra queste: «non si può ridurre la CO₂ chiudendo da domani le fabbriche di auto, mettendo sul lastrico milioni di famiglie». Ma c'è qualcuno che davvero propone una tale assurdità? Nessuno, in realtà. Si tratta di un "argomento fantoccio", di una posizione estremista che nessuno sostiene. È la caricatura di una posizione (quella degli ambientalisti ideologici), che però non esiste nell'attuale dibattito. Perché, dunque, utilizzare un argomento inutilmente provocatorio, che non aiuta la discussione ma la distorce? Invece di introdurre questi argomenti, il ministro Cingolani avrebbe potuto spiegare quali politiche propone il Governo per accelerare la riconversione dell'industria automobilistica e del trasporto privato e pubblico e l'inevitabile transizione verso la mobilità non-fossile, che - come il ministro sa perfettamente - è già in atto nei paesi più industrializzati e non certo governati da ambientalisti oltranzisti.
L'intervento di Cingolani appare poi viziato da una contraddizione comunicativa: mette in guardia dagli impatti catastrofici della crisi climatica, ma suggerisce che la transizione (cioè ciò che ci può salvare da questi impatti catastrofici) deve essere graduale e che accelerarla imporrebbe di chiudere domani le fabbriche di auto. Di recente il ministro ha perfino paventato il rischio che la transizione ecologica possa essere «un bagno di sangue» perché per realizzarla sono necessari cambiamenti radicali. Ed è vero, sono necessari. Ma ciò che si dovrebbe sottolineare è che i costi della crisi climatica sono e saranno molto più pesanti. C'è un problema comunicativo: da un lato c'è un'enfasi sull'urgenza della transizione ecologica e sulla gravità della crisi climatica, dall'altro c'è però la tendenza a dipingere la transizione stessa come qualcosa di catastrofico e distruttivo. Alla fine il messaggio che emerge da questa comunicazione non è molto incoraggiante né positivo. Non si enfatizzano i co-benefici e i vantaggi della transizione.
Il ministro Cingolani ha poi parlato di ambientalisti oltranzisti e ideologici. Chi sono? Si riferisce a quelli che si oppongono anche agli impianti solari sul terreno o a quelli eolici? Se intendeva questo, il ministro ha ragione. Nel dibattito sugli impianti fotovoltaici ed eolici ci sono in effetti posizioni pregiudiziali, c'è chi denuncia la loro espansione come una minaccia per il suolo e per il paesaggio. Sono questioni reali e importanti, che meritano di essere discusse e in cui non mi addentro ora (non esiste una singola soluzione energetica salvifica e che non richieda una valutazione di un rapporto tra costi e benefici).
Indubbiamente, però, l'ambientalismo oltranzista di cui parla Cingolani è soprattutto quello che si oppone all'energia nucleare. Anche in questo dibattito, che si trascina da decenni, non mi addentro qui. Confesso: sono tra coloro che non avrebbero spento le centrali nucleari che erano attive in Italia, prima dei referendum del 1987, ma che però guarda a quello che accade oggi. Agli attuali sviluppi globali del settore energetico. Agli scenari elaborati da organizzazioni non certo ambientaliste-oltranziste come la International Energy Agency, che nel rapporto Net-Zero by 2050 delinea un possibile percorso verso le emissioni zero in cui le fonti rinnovabili producono quasi il 90% dell’energia elettrica e l'energia nucleare contribuisce alla gran parte parte del rimanente 10%. Osservo i dati, come sollecita di fare il ministro Cingolani.
Mi pare che a non osservarli, i dati, siano certi sostenitori dell'energia nucleare che, ogni volta che si parla di transizione energetica, anche sui social media, commentano ripetendo un mantra: nucleare, nucleare, nucleare. C'è una ragione: in Italia il nucleare è stata una storica battaglia "pro-scienza e tecnologia", che è stata condotta contro la gran parte del mondo ambientalista. Chi oggi proclama nucleare, in molti casi, non sta davvero proponendo una soluzione alla crisi climatica. Sta sventolando il vessillo di una battaglia culturale. È una discussione che prende spesso una piega astratta e identitaria, in cui la posizione pro-nucleare viene rivendicata in contrapposizione a degli avversari. Nucleare diventa così una bandiera, non un'affermazione che abbia a che vedere con una discussione razionale sugli scenari energetici, presenti e futuri (che non riguardano soltanto le politiche che si devono adottare in Italia).
Essere a favore dell'energia nucleare e riconoscere la realtà della crisi climatica e la necessità della transizione ecologica è una posizione coerente (non lo sarebbe invece essere a favore dell'impiego del carbone, per ovvie ragioni). Ma, anche in Italia, ci sono negazionisti climatici che continuano a sostenere l'energia nucleare perché questo dà loro modo di screditare le energie rinnovabili (lo fa purtroppo anche qualche sostenitore del nucleare che non è negazionista). Una posizione strumentale e sostanzialmente incoerente. In ogni caso, il dibattito pro v. contro il nucleare, così sviluppato oggi, in questi termini, non mi appassiona. Lo osservo per i suoi risvolti comunicativi.
Al di là di questo dibattito, è però la scelta stessa dei bersagli polemici, nell'intervento del ministro, ad essere discutibile. Espressioni come ambientalisti oltranzisti e ideologici hanno una particolare connotazione e fanno parte di un codice, di un vocabolario, che già conosciamo e che è già stato utilizzato in questi decenni. Nel linguaggio del negazionismo climatico ambientalismo ideologico è un'espressione che è sempre stata usata per etichettare tutti coloro, attivisti ambientalisti o meno, che non erano né oltranzisti né estremisti, ma che denunciavano il riscaldamento globale perché seguivano il consenso scientifico sulla sua realtà, sulle sue cause e sulle sue conseguenze. Cingolani non è certo un negazionista climatico. Ma se si utilizzano certe espressioni si finisce per veicolare messaggi che ancora oggi trovano consenso in alcuni settori politici-culturali. Anzi, di tutto l'intervento, quello è l'unico messaggio che emerge. È quello che oggi si trova sui titoli dei giornali e delle agenzie di stampa.
Non sorprende, quindi, che l'intervento di Cingolani venga oggi applaudito da qualche commentatore di destra, fautore del "conservatorismo verde" (Lo schiaffo di Cingolani agli ambientalisti radical chic). Un pensiero che sostiene di mettere al centro l'ambiente ma che minimizza ancora oggi gli effetti della crisi climatica.
[Breve inciso sull'ambientalismo di destra, che meriterebbe una riflessione a parte: si potrebbero trovare valide "ragioni conservatrici" per la difesa dell'ambiente, su cui si potrebbe perfino elaborare un framing (una cornice concettuale, che conferisce significato alla questione) per cercare di coinvolgere l'opinione pubblica di destra in quella che viene ancora percepita come una causa progressista. Eppure questi ideologi conservatori continuano a sostenere argomenti negazionisti sulla crisi climatica e a minimizzare, strumentalmente, i suoi impatti ripetto ad altri problemi ambientali locali. La motivazione alla base di questo atteggiamento è "razionale", dal loro punto di vista: la crisi climatica - i cui impatti, pure, minacciano le comunità locali - è una questione globale, che richiede politiche altrettanto globali. Ma per la destra non è accettabile che il "globalismo" - così viene definito - imponga scelte e politiche ai singoli paesi, anche sull'ambiente, violando la loro sovranità nazionale.]
Inoltre - e senz'altro il ministro non se ne avvede - uscite del genere non possiamo chiudere le industrie dall'oggi al domani fanno eco proprio alla propaganda di quei partiti che in Europa si sono opposti all'aumento degli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti perché, a loro dire, ciò costituirebbe una minaccia per le imprese. Partiti che, in realtà, non sono davvero interessati a proporre politiche socialmente sostenibili sulla transizione ecologica, ma che agitano questi argomenti per contrastarla.
Vorrei chiedere, al ministro Cingolani, se non ritiene che quei partiti - che oggi riscuotono anche ampi consensi nel paese - che ancora oggi si mettono di traverso alle politiche per la riduzione delle emissioni, non siano un problema grande almeno tanto quanto gli ambientalisti radical-chic. Mi permetto di metterlo in guardia: molti degli applausi che oggi riceve sono strumentali e interessati.
Quello che scoraggia è che oggi, dopo questo intervento del ministro, non stiamo parlando in modo costruttivo, positivo, della transizione ecologica. Stiamo parlando di affermazioni che hanno avuto l'effetto di innescare reazioni negative e compatte da parte di un intero mondo, quello ambientalista, che è articolato e che ha posizioni al suo interno talvolta diverse. Che ha i propri limiti. Ma che evidentemente, oggi, non distingue, al proprio interno, tra "razionali" e "ideologici-oltranzisti", ma si sente messo, senza distinzioni, sul banco degli imputati. Al posto di chi ha realmente ostacolato in questi decenni le decisioni che sarebbero state necessarie per fermare il riscaldamento globale, al posto di chi ha fatto lobby per il settore dei combustibili fossili. L'intero intervento di Cingolani è oggi condensato in quelle parole, che hanno seppellito anche quello che c'è di condivisibile (il fare presto sulla crisi climatica e l'invito a valutare ogni opzione sulla base delle evidenze).
Sulla transizione ecologica serve una discussione seria, approfondita, allargata, inclusiva. Non provocatoria. Parliamo di energie rinnovabili, di nucleare di IV generazione, di tecnologie di cattura e immagazzinamento dell'anidride carbonica, di ricerca scientifica e tecnologica. Discutiamo laicamente di ogni possibile soluzione tecnologica, senza dimenticare tuttavia che quello che ci serve per intervenire adesso, non tra 10 o 20 anni, lo abbiamo già e che non esiste LA soluzione tecnologica alla crisi climatica. Confrontiamoci apertamente sui costi e sui benefici di ogni scelta. Dibattiamo di ogni aspetto, anche sociale ed economico, della transizione, senza sottovalutare il fatto che non si tratta soltanto di un cambiamento tecnologico, ma anche di una questione che riguarda la tutela del suolo, dell'acqua, dell'aria, degli ecosistemi e della biodiversità e che perciò per affrontarla è necessario coinvolgere diverse competenze scientifiche.
Temo che non ci siamo ancora arrivati a questa discussione. E faremmo bene ad arrivarci presto perché - ha ragione il ministro Cingolani - gli scenari davanti a noi non sono rassicuranti.
Immagine anteprima Niccolò Caranti, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons