Il ministro tedesco ha ragione: il turismo italiano è minacciato dalla crisi climatica. E negare l’evidenza non lo salverà
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“Se le cose continuano così, queste destinazioni di vacanza non avranno futuro a lungo termine”. Le recenti polemiche sulle dichiarazioni del ministro tedesco della Sanità, Karl Lauterbach, in vacanza proprio in Italia durante la terribile ondata di caldo di metà luglio che ha visto le temperature costantemente sopra i 40 gradi, sono sintomatiche di un paese che, votato da anni anima e corpo al turismo, concepisce soltanto il dileggio nei confronti di chi osa affermare che il re è nudo (per via del troppo caldo).
Se è vero che la cronaca dei successivi giorni, con le crisi delle grandi città come Palermo e Catania e le fughe di turisti dal Veneto e dalla Puglia, si è incaricata di confermare in nuce le previsioni di Lauterbach, è altrettanto innegabile che la reazione degli operatori è stata quella di alzare considerevolmente i prezzi, come rilevato dall’indagine dell’istituto Demoskopica. In una proiezione di corto respiro che però si limita semplicemente a speculare sugli attuali flussi turistici. Basti pensare che in un’estate complessa come questa anche Ferrovie dello Stato ha scelto di cavalcare il trend, lanciando il 25 luglio la società “FS Treni Turistici Italiani”, nata per gestire esclusivamente il turismo su rotaia. Proprio nell’ennesima stagione difficile per chi, invece, intende spostarsi in treno.
D’altra parte già nel 1976 Giorgio Gaber aveva capito, in uno dei suoi pezzi simbolo del teatro canzone, che capire la crisi non bastava a risolverla. Figurarsi negarla o minimizzarla. Eppure è quel che sta avvenendo con il turismo nell’era della crisi climatica.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Stizze, bugie e stereotipi per respingere il problema
“Il tedesco ha detto che il turismo in Italia è destinato a fallire per via del clima: una cosa neanche supportata dai dati. Mi sembra pure da menagramo”. Quando Andrea Giambruno, giornalista e compagno della premier Giorgia Meloni, rilascia la solita intervista riparatoria al Corriere della Sera è il 29 luglio. Giambruno aveva attaccato il ministro Lauterbach durante la striscia quotidiana Diario del Giorno, su Rete4, pochi giorni prima, il 26 luglio, rivolgendosi direttamente a lui: “Se non ti sta bene stai a casa tua, stai nella Foresta nera, stai bene, no?”.
Si presume che da quella prima reazione stizzita su Rete4 alle dichiarazioni concesse successivamente al Corriere, Giambruno abbia avuto tempo di meditare, smussare, studiare. E invece no. Sull’incredibile azzardo dell’assenza di dati torneremo dopo. Meriterebbe una trattazione a parte anche il racconto sul cambiamento climatico, a volte scettico e più spesso apertamente negazionista, dello stesso Giambruno. Ma quel che qui interessa analizzare è la difesa che è scattata subito dopo la denuncia di Lauterbach. Sempre più, infatti, il turismo di massa fa rima con interesse nazionale.
Se il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha preferito non entrare nel merito della polemica, parlando genericamente di “tropicalizzazione del clima” che incide direttamente sull’economia, la ministra al Turismo, Daniela Santanché, ha scelto una comunicazione ambivalente. Da una parte, ha dichiarato che “siamo consapevoli del cambiamento climatico”, pur parlando della sostenibilità come di “uno degli asset centrali e imprescindibile strumento per lo sviluppo e la crescita del settore”, e confermando dunque di puntare a un ulteriore aumento dei flussi turistici e non a una sua diminuzione; dall’altra, ha ricordato a Lauterbach che l’“Italia è da sempre la destinazione preferita dai suoi connazionali per le vacanze e, naturalmente, lo aspettiamo per accoglierlo nuovamente in futuro”, senza rinunciare dunque a quella che vorrebbe essere una stoccata.
Aggrappata al turismo estivo per evitare di ammettere che la produzione industriale è in difficoltà e fortemente dipendente in molte catene di fornitura, l’Italia si è ritrovata in questi mesi all’interno di una bolla economica favorevole (già in calo) e, dopo essere uscita dal Covid, non vuole saperne di affrontare un’altra possibile destabilizzazione. Specie se dovesse risultare vera l’affermazione del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per il quale “il turismo sta trainando l’economia italiana”, anche se sulla reale importanza del settore - che, come ripete da tempo Sarah Gainsforth, è a basso valore aggiunto e con una bassa produttività, bassa innovazione, bassi investimenti e bassi salari - c'è molto da discutere, come spiega questo articolo di Pagella Politica.
In ogni caso le parole di Lauterbach hanno toccato un nervo scoperto non solo per la destra al governo. In questo senso la reazione più emblematica è quella di un amministratore locale del Partito Democratico. Dall’Emilia Romagna, che prova a riprendersi dalla tremenda alluvione che l’ha colpita lo scorso maggio, è arrivata una lettera aperta, scritta dal sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che tra orgoglio italico e retorica da venditore di grana grossa, sembra arrivare dagli anni ‘80 del secolo scorso, quando Rimini era nota come “la capitale del divertimento”.
Vale la pena riportarla per intero:
Illustrissimo Professor Karl Lauterbach,
Mi permetta di invitarla ufficialmente nella città di Rimini per le Sue prossime vacanze in Italia. Ci terremmo molto. Sono milioni i cittadini tedeschi che considerano Rimini e la Romagna la loro seconda patria, così come l'Italia intera, eletta da sempre sogno e desiderio di tutto ciò che oltrepassa la routine quotidiana. Il Suo grande connazionale Johann Wolfgang von Goethe ci dedicò un libro di viaggi, 'Italienische Reise'. Più e più volte, e in più città visitate, lodava il Sole italiano come elemento naturale che da (scritto così, senza accento, sic) gioia e sapore alla vita. La posso rassicurare: noi ci siamo e non abbia timore: il nostro turismo, così come il turismo di tutto il sud dell'Europa, non scomparirà a causa dei cambiamenti climatici. Da cittadini europei daremo il nostro contributo per trovare le soluzioni in grado di fermarne gli effetti negativi; realizzeremo ciò che è necessario per far sì che questa continui a rimanere la meta della vacanza anche per i discendenti di Goethe. Il sole continuerà a splendere e a fare bene. In ogni caso abbiamo ombrelloni, aria condizionata, musei, ristoranti, bar, pizzerie. Illustrissimo Professor Karl Lauterbach, come si dice qui da noi 'venga oltre' a Rimini. La aspettiamo con un benvenuto e un sorriso.
Maiuscole e punteggiatura a caso, ancora i riferimenti al fatto che i tedeschi vengono in vacanza in Italia (quindi non possono criticare?), i soliti richiami al viaggio di Goethe e ai più triti stereotipi, la risposta a una minaccia esistenziale come il cambiamento climatico con “un benvenuto e un sorriso”: è questo il massimo che ci si può aspettare da un territorio che punta così tanto sul turismo? Da parte di chi è al potere non c’è una sola risposta che guardi agli scenari, alle prospettive.
L’unica reazione che pare comprendere l’entità del problema in corso è stata quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Secondo una nota di Reuters, insieme ai suoi omologhi di Grecia, Croazia, Slovenia, Malta e Portogallo, il presidente Mattarella ha firmato una dichiarazione congiunta con la quale si chiedono misure urgenti per affrontare la crisi climatica, dopo le recenti ondate di caldo torrido, gli incendi e le inondazioni. Il timore è che estati così estreme possano gravemente incidere su due dei settori economici più importanti per i paesi del Mediterraneo: il turismo, appunto, e l’agricoltura.
Manco a dirlo, anche il presidente Mattarella è stato immediatamente attaccato dalla destra negazionista e dai liberali scettici: da Nicola Porro, vicedirettore del Giornale, per il quale “si intravede, di nuovo, il paradigma prevalso durante l’emergenza Covid, per cui sembra lecito travolgere e sacrificare tutto e tutti”, a Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, secondo cui la sortita di Mattarella testimonierebbe “poca ecofiducia nel futuro” e “rischia di alimentare il senso di colpa”, fino ad arrivare a Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, che arriva a sbeffeggiare Mattarella definendolo “un nuovo climatologo” che “dal palazzo del Quirinale scruta le nubi e misura le temperature, controllando piovosità e siccità per poi emettere le sue sentenze”. A quanto pare, secondo il fronte che nega/minimizza la crisi climatica, non sono consentiti neppure i timori, persino quando arrivano dalla più alta carica istituzionale. Peccato che, al contrario di ciò che sostiene Andrea Giambruno, il compagno della premier Giorgia Meloni, le ripercussioni sul turismo siano invece supportate da una mole considerevole di ricerche e analisi.
Dati e sensazioni ci dicono la stessa cosa
Ripartiamo, ancora, dall’allarme lanciato dal ministro tedesco della Salute Karl Lauterbach.
Nel tweet del 13 luglio Lauterbach non si limitava alla propria percezione, di chi è appena arrivato in una città che, secondo i dati ARPAE, avrebbe potuto raggiungere i 37 gradi. Ma linkava un recente report dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, che parla espressamente di potenziali “temperature più calde mai registrate in Europa”, ricorda che “questo segue il giugno più caldo mai registrato, con temperature della superficie del mare senza precedenti e un'estensione record del ghiaccio marino antartico” e che “questa estate rischia di essere peggiore” rispetto a quella del 2022 quando, secondo uno studio pubblicato su Nature, più di 60mila persone sono morte a causa delle ondate di caldo estive, con un tasso di mortalità più alto in paesi come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. A questo report dell’ESA, però, nessuna delle reazioni a caldo ha minimamente accennato.
Invece di arroccarsi su posizioni conservative, servirebbe comprendere che è necessario agire il prima possibile: secondo un articolo di Bloomberg, soltanto il caldo estremo per l’industria dei viaggi nell’Europa meridionale potrebbe avere un costo di 2mila miliardi di dollari. I dati non ci sono se non si vuole trovarli, salvo poi tirarli fuori, quasi come se fossero “premonizioni”, a disastri avvenuti, solo perché non gli si è dato ascolto in tempo. Un caso emblematico viene testimoniato da EconomiaCircolare.com:
Diffuso lo scorso 23 maggio, lo studio “Regional impact of climate change on European tourism demand” era passato quasi del tutto inosservato. E invece ha un valore enorme, specie alla luce del caldo estremo e degli incendi che stanno funestando mezzo continente. Realizzato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC), il documento analizza in che modo l’industria del turismo, che “contribuisce in modo significativo al PIL europeo”, sarà impattata dal cambiamento climatico. Lavorando sui dati di 269 regioni raccolti in un arco di vent’anni, le scienziate e gli scienziati del JRC cercano di prevedere come cambieranno le cose per questa importante industria europea da qui al 2100. Nello studio vengono poi simulati gli impatti dei futuri cambiamenti climatici sulla domanda turistica per quattro livelli di riscaldamento (1,5°C, 2°C, 3°C e 4°C) in due percorsi di emissione. E chi ne esce con le ossa rotta è proprio l’Europa meridionale (...) Giusto per fare un esempio: se le isole greche andranno incontro, nelle stime del documento, a una perdita del 9% nel numero di pernottamenti, il Galles occidentale dovrebbe registrare un boom turistico, con un aumento del 16%. E l’Italia? Anche in questo caso, il nostro Paese è tra quelli messi peggio: gli ottomila chilometri di coste, le due isole maggiori (Sicilia e Sardegna) e le 27 isole minori dovranno affrontare perdite della domanda turistica superiori al 5%.
Gli effetti della crisi climatica non si riversano solo sulle coste ma anche sulle montagne e dunque sul turismo sciistico. Come ricorda Wired:
Secondo il Centro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC) entro il 2050 si registrerà una riduzione complessiva su tutto il territorio nazionale della nevosità. Da -20 a -40 giorni di copertura nevosa all’anno su tutto l’arco alpino: in generale, si stima un innalzamento della temperatura di almeno 1 grado da qui al 2100. Anche se gli scenari peggiori arrivano fino a 5 gradi in più in certe aree di montagna. In ogni caso, con 1 solo grado in più, tutte le stazioni sciistiche del Friuli Venezia Giulia e un terzo delle stazioni sciistiche in Lombardia, Trentino e Piemonte sarebbero al di sotto della “linea di affidabilità neve” (Lan). Per cui sia in estate che in inverno si frequenterà la montagna in momenti diversi dell'anno rispetto ad oggi, anche perché la fruibilità feriale si orienterà più verso il trekking che verso lo sci per le condizioni climatiche.
Altrettanti timori, poi, si nutrono nei riguardi del turismo culturale e artistico. Questa volta la proiezione arriva da Paola Mercogliano, climatologa del CMCC, su Il Fatto Quotidiano:
Le aree del Nord Italia subiranno un aumento di temperatura e si registreranno meno precipitazioni ma più intense. A preoccupare maggiormente sono i grandi centri urbani (città d’arte comprese) che già soffrono il fenomeno delle isole di calore dovute a diversi fattori, molti dei quali causati dalle attività dell’uomo. Come spiegato da Paola Mercogliano, climatologa del CMCC che ha partecipato alla stesura del PNACC (Piano Nazionale di Adattamento sui Cambiamenti Climatici, nda), “con 1,5°C in più, la durata delle ondate di calore aumenterà entro il 2050 del 100%, ma si arriverebbe al 261% con un aumento di 2 gradi”. Se a Milano nel 2020 ci sono stati 10 giorni di ondate di calore, un aumento medio di 1,8 gradi (ma d’estate si arriverebbe a 2,7°C) farebbe salire, nel 2040, i giorni di caldo infernale a 19. A Roma si passerebbe dai 10 attuali a 18. Non potendo prevedere con largo anticipo quando ci sarà l’ondata di calore e per quanti giorni, per visitare queste città, che possono contare su diverse attrattive storiche e culturali, i turisti potrebbero scegliere periodi meno caldi (e più brevi).
In verità questa volta non ci sarebbe stato neanche bisogno di chissà quale dato, chissà quale ricerca. Non solo perché, come ha ricordato Antonio Scalari su Valigia Blu, il dibattito scientifico sul cambiamento climatico è finito. Ma anche perché sarebbe bastato ascoltare il proprio corpo, dar retta alle proprie sensazioni, guardarsi attorno, parlare con chiunque. I turisti svenuti ogni giorno in fila al Colosseo, le scottature e i colpi di sole dei turisti in montagna, le onde anomale che colpiscono i turisti sulla costa: sono tutti fenomeni con cui chiunque (o quasi) riesce a rendersi conto. Lo racconta bene Ferdinando Cotugno nella newsletter Areale:
Le persone se ne sono accorte che tutto questo non è normale, non hai bisogno di leggere 2mila pagine di rapporti IPCC per saperlo. (...) Ho uno zio, un cugino di mio padre, che per tutta la vita ha fatto una sola cosa: gestire un lido. Lo gestiva suo padre, chissà se lo gestirà sua figlia, è un balneare, insomma. In Italia è un'occupazione peculiare, fatta di privilegio, familismo amorale, beni comuni a uso privato, idee generalmente conservatrici, attaccamento a uno status quo economico, sociale, produttivo. Questo cugino di mio padre è una persona che non apprezza i cambiamenti, come chiunque tragga profitto dall'alternarsi delle stagioni. Sono andato a trovarlo, lo scorso weekend. Sa di cosa mi occupo, sa le cose che penso. Non mi ha nemmeno salutato, mi ha subito detto: «l'acqua è troppo calda, qui». Eh. Il lido si trova sul mar Tirreno, non luoghi sabbiosi lungo la costa settentrionale della Campania. «Il mare è caldo, è una vasca, non è più il mare di prima». Eh. Pochi giorni dopo questa conversazione, sono usciti i dati ufficiali: la temperatura media del Mediterraneo non era mai stata così alta, 28.40°C, contro i 28.25°C del 2003. Si è seduto a parlarmi, bevendo caffè orribile da un bicchierino di plastica monouso, mi ha raccontato una storia di specie aliene, il flagello del granchio blu, callinectes sapidus – «bella nuotatrice saporita» – creatura delle coste nordamericane dell'Atlantico che imperversa nelle nostre acque. E poi il caldo: fa troppo caldo, la gente nelle giornate così calde non viene più, non ce la fa, non regge, mi ha detto. Non lo so cosa ne pensano i media di governo, ma in Italia fa così caldo che certi giorni non si riesce nemmeno più a stare in spiaggia. Questo zio conservatore, sensibile alle ragioni del governo, con interessi tutto sommato allineati, però la sente l'onda dell'ansia, dello sconvolgimento ecologico, una vita fondata sulle stagioni e tradita dalle stagioni, senza nemmeno più voglia o forza di negare che c'è qualcosa che non va. Il negazionismo è esploso, è doloroso, sta premendo tutti i bottoni e nostri trigger in questa estate crudele di ebollizione, ma quale futuro può avere contro la concretezza della realtà?
Alla fine si torna sempre a Giorgio Gaber. Nel pezzo intitolato significativamente “Salviamo ‘sto paese” il signor G. sceglie il registro ironico, il suo preferito, per raccontare dell’Italia di fine anni ‘70, anch’essa in crisi, e di fronte all’elenco delle “possibili carenze” prorompe un aforisma coi fiocchi: “Non lasciamoci trarre in inganno dalla realtà”. Siamo arrivati al punto in cui quello che era un ammonimento paradossale è diventato il mantra del potere italiano. Non proprio un buon segnale.