Addio alle armi: le storie dei militari russi che disertano la guerra
10 min letturaGeorgij* ha 28 anni, ne dimostra meno. Sorride con gentilezza, parla un francese incerto, ma efficace. Lo incontro in un pomeriggio di aprile insieme al suo compagno, Sergej*, 30 anni. Sono arrivati in Francia grazie all’associazione Russie-Libertés, che insieme ad altre in Europa, come inTransit in Germania, si occupano di sostenere l’opposizione russa.
Georgij è un primo tenente dell’esercito russo. È entrato nell’esercito nel 2017: dopo la laurea all’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca gli viene proposto di integrare l’arma per il suo servizio militare, continuando a fare quello per cui stava studiando, il programmatore.
La famiglia lo sostiene: poteva essere l’inizio di una carriera militare, che significa un posto e uno stipendio sicuro. Inoltre lavorando nei servizi informatici ci sono diversi vantaggi pratici: un lavoro di ufficio, niente operazioni sul campo e niente armi per esempio.
L’anno successivo, alla fine del servizio di leva, l’esercito gli propone di firmare un contratto per cinque anni, "promettendomi che nulla sarebbe cambiato nelle mie mansioni”. Invece, poco dopo, gli comunicano che il posto per il quale è stato assunto non esiste più, che sarà collocato altrove, ripetendogli che in ogni caso, è impossibile sciogliere il contratto prima della fine.
Da lì sono cominciati i conflitti con i superiori, per questioni anche banali. A questo si aggiunge il fatto che Georgij è omosessuale, un anatema in un paese dove l’omofobia è politica di stato. In Russia una prima legge contro la "propaganda LGBT+" è stata approvata nel 2013; nel 2022 la legge è stata rafforzata, con gravi conseguenze per i militanti e le associazioni omosessuali. “Già in quel momento mi sentivo in contraddizione con la politica interna del paese, con i valori dell’esercito, dove è obbligatorio sostenere lo stato”, racconta Georgij.
Nel 2021 scrive una prima lettera ufficiale di dimissioni. Respinte. Il motivo: “è impossibile lasciare l'esercito” prima della fine del contratto. Seguono altre lettere, documenti, rapporti. “Tutte le mie domande venivano ignorate”, spiega. Georgij ha tentato l’assenteismo, ha poi dimostrato – con un certificato di uno psichiatra che gli diagnosticava una depressione – che non poteva restare. La verità, spiega, è che non c’è soluzione.
A un certo punto viene convocato. Esiste una possibilità per lasciare l’esercito: una procedura giudiziaria, un processo quindi. Un dossier a suo nome, che lo accusa di furto e corruzione, è già pronto. L’uscita dall’esercito è quindi possibile, ma per andare in carcere. Non c’è soluzione.
Una prima svolta avviene il giorno dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022. “Mi ricordero’ sempre di quel mattino: ero in metro e ho visto i bombardamenti in Ucraina dal mio smartphone”. Fino quel momento non aveva nemmeno realizzato cosa stesse succedendo: la sua depressione si faceva sempre più profonda. “Il giorno successivo c’era una manifestazione contro la guerra a Mosca” e, nonostante il suo status di militare glielo proibisse, è andato, “per mostrare che chi è contro non è da solo”. Georgij non ha troppi ricordi della primavera che è seguita: “Ho cominciato a bere davvero tanto; sono diventato alcolizzato”.
Nel giugno dello stesso anno viene assegnato a una missione che consiste nel lavorare sui dossier dei combattenti volontari per la guerra in Ucraina: aveva quindi accesso ai dati di coloro che si arruolavano spontaneamente. Lo scarto tra i numeri che aveva sotto gli occhi e il discorso politico era stridente: “Mi sono reso conto che non solo i miei amici e i miei conoscenti sono contrari alla guerra e non sostengono la politica del paese, ma vedevo anche tutti quei numeri, che erano davvero gonfiati dai dati ufficiali”.
Le forze armate russe hanno quattro principali fonti di reclutamento: la prima sono i coscritti, gli uomini che devono prestare servizio nell'esercito per un anno. Il secondo gruppo è composto da “soldati a contratto” che hanno accettato di partecipare firmando un contratto con il ministero della difesa. Ci sono poi le persone mobilitate dal decreto di Vladimir Putin del 21 settembre 2022 per combattere in Ucraina e, infine, i “volontari”, ovvero persone che hanno deciso volontariamente di partecipare ai combattimenti, tramite organizzazioni di volontariato affiliate al ministero della difesa, tra cui società militari private, spiega un’analisi di Yuri Fedorov, specialista di questioni militari e politiche russe per l’Istituto francese di relazioni internazionali (Ifri) e giornalista in Repubblica Ceca.
E proprio del decreto di Putin mi parla Georgij: questo stabiliva anche che coloro che già hanno un contratto con l’esercito se lo vedranno prorogare “fino alla fine della guerra”. A questo punto, spiega, “ho capito che avevo poche opzioni: sapevo che sarebbe arrivato il mio momento, o la guerra o il carcere”.
Anna Colin Lebedev è docente e ricercatrice in scienze politiche: il suo lavoro si concentra sul rapporto tra cittadini e stato nelle società post-sovietiche. Dopo l'invasione su larga scala dell'Ucraina, ha pubblicato Jamais frères ? (“Mai fratelli?”, Seuil editore, 2022), un'analisi delle somiglianze e delle differenze tra la società russa e quella ucraina.
Colin Lebedev mi spiega la questione delicata e dolorosa dei coscritti, ovvero dei giovani che effettuano per la prima volta il servizio militare obbligatorio. Se formalmente rimane un tabù per il Cremlino, alla luce delle campagne che le madri dei soldati hanno fatto in Russia soprattutto durante la prima guerra in Cecenia, la legge autorizza l’invio di questi giovani uomini sul fronte (un decreto di Eltsin che lo vietava è poi stato abolito).
Per essere inviati in guerra, non devono formalmente essere "coscritti" ma “soldati”. Cosa significa? “Hai 18 anni e ricevi una convocazione per il tuo servizio militare di un anno. Prima ci volevano almeno quattro mesi affinché ti proponessero di firmare un contratto. Oggi avviene fin dal primo giorno”, spiega Colin Lebedev. “Si tratta di giovani che non hanno mai tenuto un’arma in mano”. Se firmano un contratto si ritrovano a essere dei dipendenti del ministero della difesa con un contratto a tempo indeterminato, ovvero fino alla fine della guerra. E questo trasforma lo status di questi giovani, da coscritti a “militari sotto contratto”. La magia è fatta: non ci sono coscritti sul fronte.
Oppure, prosegue Colin Lebedev, sono inviati, “nelle zone frontaliere o in quelle di Cherson o Zaporizhzhya”. Visto che il governo “le considera Russia”, questi giovani ufficialmente non hanno mai lasciato il territorio nazionale. Ma di fatto sono sul fronte e combattono. E muoiono.
Si tratta, insiste Colin Lebedev, di un pubblico particolarmente vulnerabile: prima c’è la pressione della società e della famiglia, per cui un uomo deve servire l’esercito; in più a 18 anni, si tratta di persone non hanno mai lavorato per un vero stipendio, e gli vengono offerte somme che paiono esorbitanti. Inoltre, “non hanno alcuna possibilità di comunicare con gli avvocati, con i loro cari. E gli ufficiali esercitano una forte pressione. Questo significa che non si tratta di persone che vogliono prestare servizio, ma che sono messi in una situazione in cui non possono non farlo”, dice.
L’esercito recluta soprattutto nelle classi sociali più in difficoltà, aggiunge Colin Lebedev: “Innanzitutto perché quando si è studenti all’università, si è esonerati per la durata degli studi. Chi finisce nell’esercito a 18 anni sono persone che non proseguono gli studi. Poi, l’esercito recluta soprattutto nelle piccole città, dove è più complicato nascondersi; inoltre, più si è poveri, meno possibilità si hanno di corrompere i militari o di comprare un certificato medico. E nelle famiglie più povere l’esercito è ancora visto come un modo per uscire dalla miseria”.
O la guerra, o il carcere. O l’esilio
Tutto succede velocemente per Georgij: “Pochi giorni dopo [l’invasione su larga scala] ho ricevuto l’ordine di lasciare il mio posto nell'amministrazione e di presentarmi al punto di raccolta con le mie cose per essere spedito non si sa dove – perché non te lo comunicano – né per quanto tempo”. Che fare? O la guerra, o la prigione, oppure “trovavo un modo per lasciare l'esercito, perché era fuori discussione che partecipassi a tutto questo”.
Alla fine sceglie l’esilio. “Sono andato da Sergej, per avvertirlo che sarei partito. Ero convinto che non lo avrei mai più rivisto”, racconta Georgij rivolto al suo compagno, seduto accanto a lui. Georgij ha preso un treno fino in Siberia, poi un tassista, con cui lo avevano messo in contatto, l’ha aiutato ad attraversare la frontiera con il Kazakistan, dove è arrivato tre giorni dopo. Ha avvertito Sergej, che in seguito ha lasciato il suo posto di professore di storia e la sua vita in Russia per raggiungerlo.
Il Kazakistan, insieme ad Armenia, Kirghizistan e Bielorussia, sono paesi politicamente vicini al Cremlino, dove i russi possono recarsi con il solo passaporto interno (l’equivalente della nostra carta d’identità). I militari spesso non hanno il passaporto internazionale, che viene loro confiscato quando entrano nell’esercito: per uscire dal paese devono ottenere l'autorizzazione dei loro superiori e/o dei servizi segreti.
Il Kazakistan quindi non è un posto sicuro per un soldato russo che ha disertato. E Georgij non aveva contatti. Il giorno del suo arrivo non c’erano posti per dormire negli alberghi e negli ostelli e ha chiesto informazioni alla ragazza che teneva il chiosco dove ha comprato una sim card. La ragazza si è offerta di ospitarlo, forse perché ha capito la sua situazione. “È stato meraviglioso; sorprendente e commovente”, dice con un sorriso.
All'inizio Georgij non diceva di essere un disertore – per il quale c’è un mandato di arresto federale – ma raccontava di essere scappato alla mobilitazione, e ha trovato un lavoro in una fabbrica. Nel gennaio successivo la polizia è venuta al nostro appartamento, racconta Georgij. “Abbiamo guardato come scappare dal balcone del terzo piano”, aggiunge ridendo Sergej. Nel frattempo andavano trovate soluzioni: Sergej passava le giornate a contattare associazioni e ong per capire come poter essere al sicuro e cosa fare.
Addio alle armi: come disertare
Nel maggio del 2023 vengono convocati dal Kazakhstan International Bureau for Human Rights and the Rule of Law (KIBHR) dove incontrano Aleksander, che nel frattempo ci ha raggiunto al nostro appuntamento e si siede a fianco di Sergey. Aleksandr ha 26 anni ed è – era – un tenente dell’esercito russo.
“A 18 anni sono entrato all'accademia militare e la politica ha iniziato a toccarmi, personalmente". Aleksandr elenca diversi esempi: “Lavoravamo in cucina e la data di scadenza della carne che mangiavamo era del 1990. Perché mangiamo prodotti così scaduti?”. Oppure, prosegue, quando “ho saputo lo stipendio dei nostri professori, che guadagnavano tra i 15 e i 17mila rubli, ovvero 150-170 euro. Come può la nostra istruzione essere buona con gente pagata così poco?. Per cui ti chiedi dove finiscono i soldi – tanti – che vengono inviati alla nostra Accademia. E li ti fai delle domande. E YouTube mi ha dato una risposta: ho guardato, in particolare, i canali dell'opposizione russa. E ho pensato che fosse possibile.”
Insieme ad altre persone incontrate al KIBHR, Sergej, Georgij e Aleksandr, hanno iniziato a discutere di cosa poter fare, politicamente. Aleksandr e Sergej hanno avuto l’idea di creare un progetto mediatico per rivolgersi in particolare ai militari, per raccontare la loro storia e mostrare che è possibile lasciare l’esercito. Una sorta di “contro-propaganda per disertare”, mi spiegano. Il progetto si chiama Farewell to arms/Прощай, оружие – “Addio alle armi”.
“Non potevamo tacere, bisognava fare qualcosa. Per noi è essenziale dare la parola alle persone che lasciano l’esercito e spingere chi ha un dubbio ad andarsene”, dice Aleksandr. “In fondo è semplice. Noi siamo ciò che consumiamo, che mangiamo, ma anche quello che ascoltiamo e che vediamo. E questa è la forza della propaganda, in fin dei conti”. Secondo Sergej “è più semplice per un militare parlare ai militari, è più facile che lo ascoltino invece di un difensore dei diritti o di un cittadino qualunque”.
Farewell to arms ha un canale Telegram e uno YouTube. Raccontano le storie di chi diserta, spiegano come disertare, scrivono lettere ai prigionieri politici perché se le prigioni le ricevono è un segno per il potere che qualcuno si ricorda delle persone, ed è meno facile farle sparire. “All’inizio della guerra nell’esercito russo non c’erano così tante persone che erano davvero ideologicamente pronte per questo conflitto. Erano pochissimi quelli che la pensavano come la versione ufficiale, secondo cui in Ucraina c'erano i nazisti e che dovevamo liberarli. C'erano persone che seguivano degli ordini, ma in realtà non erano d'accordo con questa ideologia”. Ed è a loro che Farewell to arms si rivolge. “Si, andiamo contro la legge, ci prendiamo la responsabilità delle nostre azioni: è importante che in Russia si sappia che i disertori esistono, che c’è un’altra strada possibile”, spiega Aleksandr.
Aleksandr dice che ogni persona che li contatta viene verificata per ovvie ragioni di sicurezza. “Lungo la linea del fronte russo/ucraino ci sono dei campi dove vengono rinchiusi i militari che cercano di scappare”, aggiunge.
Trovo una conferma nell'analisi di Yuri Fedorov, che riporta la testimonianza di un soldato russo: “La punizione più comune consiste nel rinchiuderli in una grande fossa a cielo aperto, dove vengono mandati per vari reati: consumo di alcol, conflitti con i superiori, abbandono del posto senza permesso. A volte un soldato viene gettato in uno scantinato, di solito in edifici abbandonati, come una scuola o un ospedale, per essersi rifiutato di combattere, e lì viene torturato. Dopo un mese in questo tipo di ‘cella’ e in condizioni di detenzione così disumane, andrete dove vi diranno di andare”.
Secondo i mezzi d’informazione russi dal dicembre 2024 il personale delle forze armate russe è aumentato fino a raggiungere quasi 2,4 milioni di unità, di cui 1,5 milioni sono militari. Il 31 maggio 2024, il ministero della difesa britannico ha rivelato che il numero totale dei soldati russi uccisi e feriti dall'inizio della guerra era di 500mila persone.
Si tratta di dati e stime che diversi siti e media indipendenti cercano di verificare. Secondo Fedorov questo numero potrebbe aggirarsi tra 330 e 525mila uomini. Il numero dei disertori, sempre incrociando dati difficili da verificare, era secondo lui, tra i 30 e i 40mila solo nel 2023. Come spiega Regard sur l’Est, rivista che riunisce diversi esperti del settore, nel 2023: “Le autorità russe avrebbero lanciato la versione beta di una banca dati che raccoglie le persone soggette al servizio militare e/o mobilitabili” per consentire al governo di aumentare i controlli e “impedire a coloro che desiderano sottrarsi agli obblighi militari di attraversare le frontiere (dall'inizio della guerra sarebbero tra 500mila e un milione)”.
Colin Lebedev, per precisione, aggiunge che in realtà mettere numeri è davvero complicato sulla Russia di oggi: “Il problema che abbiamo con l'esercito russo è che diffonde dati ufficiali che non hanno molto a che vedere con la realtà. Vale a dire che quel numero [l’esercito di un 1,5 milioni di unità] è l'obiettivo. È così che l'esercito russo vede se stesso”.
Chiedo cosa rappresenta economicamente fare quello che hanno fatto Aleksandr, Sergej e Georgij. Aleksandr è sorpreso dalla mia domanda, dice la sua espressione: “Non ci siamo mai posti la questione dei soldi, avevamo solo due scelte: lasciare la Russia e restare vivi, oppure andare in prigione, e comunque, oggi, anche in carcere reclutano, quindi, qualunque cosa succeda, dalla prigione finisci comunque in guerra”.
*I nomi sono inventati.
*Articolo pubblicato anche su voxeurop.ue, giornale online indipendente pensato e costruito intorno a una comunità di giornalisti e giornaliste, traduttori e traduttrici, media partner, e lettori, lettrici e membri di oltre 30 paesi. Questo articolo è pubblicato nell'ambito del progetto collaborativo Pulse
Immagine in anteprima: frame video YouTube

Massimo Trivelli
Tristissima storia, una delle tante, troppe, in Cecenia addirittura esistono campi di concentramento per chi non è considerato "normale": omosessuali,comunità LGBQT+ etc.... come soppressione della verità siamo tornati + o - ai livelli dell'URSS, ora esistono i social, ma è difficilissimo bypassare la censura. del resto succede anche in occidente, nessuno mi toglierà dalla testa l'idea che i social hanno contribuito alla vittoria del pregiudicato Trump e il risultat è un governo di incapaci + simile a un circo che a un governo. Dobbiamo vigilare e stare molto attenti a cosa succede anche da noi in Italia, il governo fascista pian piano sta demolendo i pilastri della ns Sacra Costituzione!
pa
Renato Renato Renato al buongusto di dittatura del passato