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“Cucinare è un atto politico”: in Argentina le mense popolari si stanno sostituendo allo Stato nella lotta alla fame e alla povertà

1 Dicembre 2024 8 min lettura

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“Cucinare è un atto politico”: in Argentina le mense popolari si stanno sostituendo allo Stato nella lotta alla fame e alla povertà

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“Ogni giorno vediamo allungarsi la fila di chi si rivolge alla nostra mensa popolare. Sono persone che non hanno più un lavoro, anziani che non riescono a vivere con la loro pensione, bambini. È molto doloroso”. A parlare è Maricela Escalante, coordinatrice di uno spazio comunitario a Villa 31 a Buenos Aires: in uno dei quartieri più poveri della capitale argentina, situato tra il centro e il quartiere esclusivo di Recoleta, cuoche e lavoratrici sociali preparano e distribuiscono pasti gratuiti dal lunedì al venerdì, tutte le settimane. 

Le cuoche comunitarie del comedor “Gustavo Cortiñas” a Villa 31, quartiere popolare di Buenos Aires in Argentina. La mensa, aperta dal lunedì al venerdì, offre pasti gratuiti. (credits: La Poderosa)

La mensa “Gustavo Cortiñas”, così chiamata in ricordo di un militante desaparecido nell’ultima dittatura militare, è uno dei circa 44mila comedores populares che supportano più di 10 milioni di persone in Argentina: queste mense - nate nel 1989 a seguito dell’iperinflazione che aveva colpito il paese e sviluppatesi negli anni Novanta con il governo del presidente Carlos Menem - permettono la sopravvivenza di chi si trova in situazioni di vulnerabilità. Ricoprono un ruolo centrale nelle crisi economiche cicliche che colpiscono il paese e sono state fondamentali durante la pandemia da Covid-19. Secondo l’ultima indagine elaborata dall’Instituto Nacional de Estadística y Censos (INDEC), i primi sei mesi del governo del presidente ultraliberista Javier Milei hanno generato 5,5 milioni di nuovi poveri: due decenni dopo la peggiore crisi economica della sua storia recente, oggi nel paese circa 25 milioni di persone, pari al 52,9% della popolazione, non dispone di redditi sufficienti per accedere al paniere di beni essenziali. La situazione è particolarmente critica nell’infanzia: vive in povertà il 66% dei bambini sotto i 14 anni, equivalente a un totale di 7,2 milioni di minori. In questo contesto le mense popolari sono una barriera di protezione, costruita “dal basso”, contro la fame. 

Coordinate da gruppi di quartiere o organizzazioni sociali, i comedores si sostengono grazie a donazioni di merce che provengono dalla provincia e dallo Stato. Hanno sempre mantenuto un rapporto dialogante con i governi che, sebbene con modalità differenti, non hanno mai smesso di supportarle. Fino all’epoca Milei, che ha interrotto le forniture di alimenti, segnando un cambiamento senza precedenti: dal gennaio 2024, i comedores non ricevono più riso, pasta, yerba (le foglie per preparare il mate) e cibo non degradabile. Per il governo, la motivazione sarebbe stata la necessità di intervenire su presunte irregolarità che ad oggi non sono state dimostrate. Secondo chi lavora nei comedores, quello che sta ormai accadendo è mettere in discussione un’intera idea di società “rimpicciolendo lo Stato”, commenta Maricela Escalante. 

La decisione di non sostenere il lavoro dei “cuochi comunitari” si inserisce nei tagli drastici alla spesa pubblica messi in campo dalla motosierra del leader del partito La Libertad Avanza: in quasi un anno di esecutivo, è stato smantellato il ministero dello Sviluppo sociale e chiuso il ministero delle Donne con i loro programmi di supporto alle persone in condizione di vulnerabilità. Sono stati ridotti i sussidi per pagare le spese domestiche (gas, elettricità, acqua) e sono aumentati i costi dei biglietti del trasporto pubblico. Inoltre all’inizio del suo mandato, Milei aveva decretato una svalutazione del peso del 54%: la conseguenza è stata un aumento dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) pari al 25,5% a dicembre 2023 e pari al 20,6% a gennaio 2024. Ma i salari e le pensioni sono stati bloccati.

“Il nostro lavoro è la garanzia di mangiare almeno una volta al giorno”, dice Alicia Casimiro, cuoca de La Poderosa, l’associazione che gestisce la mensa popolare a Villa 31 insieme ad altri 157 comedores in tutto il paese, mentre nella cucina si cominciano a tagliare le verdure della zuppa che sarà servita nel pomeriggio. Si distribuiscono 420 razioni giornaliere, preparate da 11 cuoche che si occupano di organizzare le forniture di cibo, pulirlo e prepararlo. A partire dalle ore 14, gli abitanti della villa (il termine con cui ci si riferisce alle baraccopoli) ritirano un numero e lasciano le borse con i contenitori per il pasto sul marciapiede davanti alla mensa. Poi tornano a ritirarlo. Tra loro c’è Liliana che aspetta il suo turno tenendo in braccio la figlia di due anni. “In famiglia siamo in cinque. Lavora solo mio marito come operaio ma non ha un contratto. Io non posso farlo perché devo prendermi cura di mia mamma che è malata”, racconta. “Devo scegliere se pagare l’affitto o mangiare”. Lo stesso succede nelle altre migliaia di mense popolari del paese. 

“Senza di noi, il paese sarebbe già esploso da un pezzo”, commenta María Claudia Albornoz, la “Negra”, la rappresentante nazionale de La Poderosa. “Le cuoche cucinano per tutta la comunità. Se ne prendono cura. Dedicano molte ore della loro giornata a preparare il cibo per la loro villa e quindi non possono svolgere altri lavori. Anche se sostengono la base della ‘piramide sociale’, sono invisibili agli occhi dello Stato”.  

Nel dicembre 2023, La Poderosa aveva presentato un disegno di legge che mira a garantire un salario minimo - insieme alle ferie, il congedo di maternità, la copertura medica e un bonus natalizio - ai cuochi comunitari. La proposta non è stata ancora discussa dal Congresso. Ma non si tratta solo di offrire pasti gratuiti. “Nei quartieri popolari non esiste una politica statale. E se le istituzioni non ci sono, è il vicinato che si organizza in modo comunitario per andare avanti insieme. Cucinare è un atto politico perché chi lavora in questi spazi ha una conoscenza approfondita della situazione personale e familiare di chi frequenta la mensa. Aiutiamo le donne che subiscono violenza, le sosteniamo se decidono di denunciare o lasciare la casa dove vivono”. Nel quartiere La Poderosa ha aperto e gestisce la Casa de las Mujeres y Disidencias “Ramona Medina”, uno spazio aperto dove si organizzano laboratori, corsi di formazione e attività per i più piccoli. “Sappiamo se vanno a scuola. Se hanno abbandonato gli studi, proviamo a intervenire. Questa rete permette di generare altri diritti”.

Le ollas del comedor “Color Esperanza” a Villa Caraza, quartiere popolare della cittadina di Lanús nella provincia di Buenos Aires. (credits: Marta Facchini)

Anche nel comedor “Color Esperanza” a Villa Caraza, quartiere popolare della cittadina di Lanús nella provincia di Buenos Aires, si organizzano attività per i bambini. “La nostra mensa è stata aperta anche per supportare i ragazzi che si trovavano agli angoli delle strade, esposti al consumo di droga, perché non c’erano spazi che offrivano un sostegno”, spiega Alejandra Ramos, la coordinatrice della mensa popolare gestita dal Movimiento de Trabajadores Excluidos (MTE). 

Oggi nel comedor si organizzano diverse attività settimanali, come laboratori di cucina e teatro, e cinque educatrici volontarie si occupano dei bambini organizzando un dopo scuola. Accanto alla cucina, è stata ricavata una stanza dove si tengono lezioni pomeridiane e corsi di prevenzione alla violenza di genere. In un tardo pomeriggio di ottobre, i bambini stanno disegnando mentre le cuoche preparano lo stufato. 

La cuoca comunitaria della mensa gestita da UTEP a Buenos Aires. (credits: Marta Facchini)

Prima si cucinava dal martedì al venerdì ma, da quando il comedor non riceve più merce dallo Stato, è possibile farlo solo due giorni alla settimana. “Siamo creative con il poco di cui disponiamo per non lasciare che le persone tornino a casa a mani vuote. Se abbiamo poca carne, prepariamo uno stufato. Se abbiamo solo farina, prepariamo la polenta con il formaggio”, prosegue Ramos. Il cibo si cucina in tre ollas, pentole, da centro litri ciascuna. Visto che il comedor non ha risorse per acquistare le bombole di gas, si accende un fuoco in strada usando pezzi di legno recuperati o portati da chi vive nel quartiere. “Ognuno contribuisce a seconda delle sue disponibilità. Tutto ci può aiutare”, spiega mentre cinque volontarie riempiono i contenitori che erano stati lasciati su un tavolo davanti all’entrata. In media, ogni volta se ne riempiono 120 che sfamano 120 famiglie del quartiere. “Negli ultimi mesi abbiamo notato un cambiamento. Ora ci chiedono di aggiungere sempre un po’ più di cibo. È un modo per assicurarsi anche la cena. Se riusciamo, diamo anche un pezzo di pane e un’arancia”. Il lunedì alle prime luci dell’alba, due volontari della mensa raggiungono il mercato centrale di Buenos Aires per recuperare dalla spazzatura le verdure e gli ortaggi scartati e provare ad arricchire il menù.

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“Non riuscirei a mangiare tutti i giorni, se non ci fosse un posto come questo. La mia pensione non è sufficiente per vivere in modo dignitoso. Sono costretta a continuare a lavorare come donna delle pulizia, ma non riesco lo stesso ad arrivare alla fine del mese. A casa, un appartamento condiviso con altre tre persone, c’è mio marito invalido e malato di cancro”, racconta Laura mentre si mette in fila per ricevere il pranzo in un comedor, gestito da Unión de Trabajadores y Trabajadoras de la Economia Popular (UTEP), nel quartiere di Constitución a Buenos Aires nei pressi della stazione centrale. 

La fila di persone in attesa di ritirare il pasto nella mensa popolare gestita da UTEP a Buenos Aires. (credits: Marta Facchini)

Il pranzo è una zuppa preparata con zucchine, cipolla e passata di pomodoro. La fila di persone in attesa è talmente lunga che gira l’angolo del palazzo. “Quest’anno sono aumentati i pensionati che si rivolgono alla nostra mensa. La novità è che abbiamo visto molte persone che hanno perso il lavoro, la classe media che si impoverisce. La situazione non accenna a migliorare”, afferma Nicolas Caropresi, referente di UTEP. L’organizzazione, il 14 novembre, ha denunciato alla Commissione interamericana dei diritti umani lo smantellamento delle politiche alimentari e sociali in Argentina. “Nei confronti delle mense popolari, il governo ha scatenato un discorso violento. Noi continuiamo ad andare avanti con il nostro lavoro. Non è solo distribuire cibo; forniamo assistenza psicologica, un supporto per combattere le dipendenze, attività per i bambini. L’economia popolare è anche questo. Bisogna raccontarla e difenderla”.

Immagine in anteprima: Marta Facchini

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