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Tunisia, con il Memorandum Meloni – von der Leyen sui migranti si continua a guardare ai sintomi e non alle cause

15 Giugno 2023 12 min lettura

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Tunisia, con il Memorandum Meloni – von der Leyen sui migranti si continua a guardare ai sintomi e non alle cause

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Migranti, firmato il Memorandum d’intesa UE-Tunisia

Aggiornamento 18 luglio 2023: Il 16 luglio l’Unione Europea ha firmato il memorandum d’intesa con la Tunisia che prevede il sostegno economico di Bruxelles in cambio del controllo delle frontiere e dell’attuazione di riforme economiche. 

In base all’accordo, raggiunto dal presidente tunisino, Kais Saied, dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dalla presidente del Consiglio dell’Italia, Giorgia Meloni, e dal premier olandese Mark Rutte, l’UE si impegna a fornire sostegno finanziario alla Tunisia per migliorare il suo sistema di ricerca e soccorso in mare, il pattugliamento delle acque territoriali e il controllo delle frontiere, mentre la Tunisia favorirà il rimpatrio dei cittadini tunisini arrivati irregolarmente in Europa. Saied – sottolinea Annalisa Camilli – ha ribadito l’intenzione di non voler aprire campi profughi o centri in cui inviare anche migranti non tunisini, come era stato proposto dall’UE durante i negoziati. 

I fondi saranno utilizzati per sostenere l'economia in difficoltà della Tunisia, contrastare la migrazione e finanziare progetti per cavi sottomarini in fibra ottica ed elettrici tra l'UE e il Nord Africa e progetti di cooperazione energetica [Arianna Poletti e Aïda Delpuech hanno raccontato su Irpi del progetto di una gigantesca centrale solare nel deserto della Tunisia, con grande consumo d’acqua e trasferimento dell’energia prodotta in Europa], e comprendono 150 milioni di euro di sostegno diretto al bilancio. 

Secondo quanto appreso dal sito Euractiv, la Commissione fornirà quest'anno 675 milioni di euro alla Tunisia, provenienti dal Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile. Di questi, circa 105 milioni di euro saranno stanziati per la gestione delle migrazioni, tra cui la lotta alle “partenze irregolari”, il rimpatrio degli stranieri presenti in Tunisia nei paesi di origine, i rimpatri dei tunisini senza permesso di soggiorno attualmente in UE e il supporto alla guardia costiera tunisina con nuove attrezzature per le attività di ricerca e soccorso.

“L’Unione Europea – aggiunge Camilli – darà a Tunisi ‘17 imbarcazioni riequipaggiate e otto nuove’. Dal potenziamento della flotta della guardia costiera tunisina l’Unione europea si aspetta un aumento delle operazioni per intercettare i migranti in mare. Tuttavia nell’intesa non è prevista una zona di ricerca e soccorso (Sar) di competenza di Tunisi”.

Nel Memorandum non si fa però alcun riferimento ai 900 milioni di euro che a giugno l'UE ha promesso di fornire alla Tunisia se il governo del presidente Saied accetterà un programma di prestito, del valore di 1,5 miliardi di dollari, con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Né si fa riferimento alle persecuzioni di persone provenienti dall'Africa sub-sahariana in Tunisia, o alle deportazioni di massa all'inizio di luglio da parte della polizia tunisina al confine con la Libia e l'Algeria, documentate da più organizzazioni e media. In questo reportage su La Stampa Matteo Garavoglia ha raccontato l’odissea di alcuni degli oltre mille migranti subsahariani arrestati e deportati da Sfax e abbandonati nel deserto.

All’indomani dell’accordo, la Libia ha diffuso la registrazione delle operazioni di soccorso di un gruppo di ottanta migranti abbandonati, secondo le autorità libiche, nel deserto senza acqua, cibo e riparo. Solo pochi giorni prima della firma dell’accordo, Saied aveva ancora una volta parlato di “sostituzione etnica” a proposito dei migranti subsahariani presenti (o in arrivo) in  Tunisia che minaccerebbero “demograficamente” l’“identità arabo-musulmana” del paese.

Proprio sul rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, il Memorandum è molto vago. Il Memorandum, d’altronde, è in linea con la ratio del patto UE su migranti dello scorso giugno che ha riproposto la visione egemone sulla gestione dei migranti che continuano a essere una questione sicuritaria e, al più, economica.
L'attuazione di queste proposte sarà discussa nel terzo trimestre del 2023, ha detto a Euractiv un funzionario della Commissione, e prima della fine dell'anno si terrà un Consiglio di Associazione UE-Tunisia. In quanto accordo politico, il Memorandum dovrà essere approvato dai governi nazionali.

È lunedì 12 giugno, e sulle radio tunisine, principale fonte di informazione nel paese nordafricano, si discute di Italia. La morte di Berlusconi - al quale lo sfidante dell’attuale presidente al secondo turno delle elezioni del 2019, Nabil Karoui, veniva costantemente paragonato per via del suo canale televisivo privato e degli scandali per corruzione - trova spazio anche dall’altra parte del Mediterraneo. Ad alimentare il dibattito, però, sono soprattutto le recenti visite di Giorgia Meloni, il cui volto compare sui quotidiani cartacei ancora in circolazione. Nel giro di una settimana, infatti, la premier si è recata due volte nello Stato nordafricano, prima sola, poi in compagnia della presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen e del suo alleato olandese, il primo ministro Mark Rutte. L’obiettivo è oramai noto: favorire la firma di un nuovo Memorandum tra l’Unione Europea e la Tunisia, barattando un maggiore controllo delle frontiere del Mediterraneo centrale con un pacchetto di aiuti economici e finanziari che permettano al paese di evitare la bancarotta, condizionati alla firma di un nuovo prestito del Fondo Monetario Internazionale. 

Le dichiarazioni rilasciate dalla presidente della Commissione Europea e da Meloni durante un punto stampa, che si è svolto in realtà a porte chiuse, senza giornalisti, non si sono limitate a un semplice elenco delle misure discusse – un prestito condizionato del valore di 900 milioni di euro, un sostegno diretto al  bilancio di altri 150 milioni, una maggiore integrazione dei rispettivi mercati in ambito energetico e commerciale. Ignorando la risoluzione del Parlamento Europeo su arresti arbitrari, violazioni dei diritti umani nel paese e del diritto tout court in un contesto sempre più autoritario e repressivo, Meloni e Von Der Leyen hanno anche rimarcato con espressioni concilianti e amichevoli i potenziali “vantaggi reciproci” di un accordo UE-Tunisia. 

Tra i futuri obiettivi del memorandum, Von Der Leyen cita addirittura la possibilità di “riunire i nostri popoli”, insistendo più volte sui “mutui benefici”. Il discorso di Meloni non è da meno: la premier rispolvera la “nostra storia comune”, compiendo una giravolta rispetto alle posizioni di appena qualche mese fa, quando ancora dichiarava Tunisia e tunisini causa della presunta “invasione” che ha giustificato l’approvazione del decreto Cutro. Ogni riferimento al dossier migratorio, invece, si è ora trasformato in “lotta comune ai trafficanti di esseri umani”, quasi come se l’Italia stesse aiutando la Tunisia a regolare una questione di criminalità interna e non delegando al paese nordafricano, come già avvenuto in Libia, il controllo della frontiera Schengen. 

Ventiquattro ore prima della seconda visita a Tunisi di Meloni domenica 11 giugno, una delle agenzie di rating internazionali più importanti (che valuta quindi la stabilità finanziaria e la capacità di rimborsare i propri debiti di uno Stato), l’agenzia Fitch Ratings, ha ulteriormente declassato la Tunisia al livello CCC-, che tradotto significa “alta probabilità o segnale imminente di insolvenza con minime probabilità di recupero”. La stessa categoria del Libano. Queste valutazioni in codice non sono prive di conseguenze concrete. Il declassamento precedente risale a marzo 2022, e ha fatto sì che, di fronte a rimborsi sempre più incerti, i creditori pretendessero pagamenti anticipati in un contesto di crisi della liquidità, portando a ripetute penurie dei beni importati in Tunisia, come grano, farina, zucchero, mangimi, carburanti. Mentre i prezzi di questi beni esplodevano sui mercati internazionali a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Tunisia faticava a pagare per le importazioni. 

Lo scenario dipinto da Fitch Ratings il 9 giugno sembra raccontare un paese diverso da quello descritto con toni ottimisti dalla premier italiana e dalla presidente della Commissione appena qualche giorno dopo. Per l’agenzia di rating, il bilancio della Tunisia “dipende dal programma di aiuti dell’FMI che probabilmente non sarebbe comunque completamente versato quest'anno, anche se l’accordo dovesse venir firmato nella seconda metà del 2023”. Secondo Fitch, tra l’altro, “il piano di finanziamento del governo tunisino si basa su oltre 5 miliardi di dollari di prestiti esterni (10% del PIL)”. In più, quest’anno il paese nordafricano dovrà rimborsare debiti esteri che ammontano a un valore di circa 3 miliardi di dollari, fa sapere la Banca Mondiale. In totale, ben più di quanto, in cambio di pesanti e impopolari misure di austerità, l’FMI sta proponendo oggi alla Tunisia: solo 1,9 miliardi di dollari. 

Il declassamento che ha portato la Tunisia al penultimo gradino della classifica delle agenzie di rating internazionali non è stato menzionato pubblicamente durante le visite di Meloni. Il governo italiano sembra voler ignorare questi dati, e continua a far lobbying con il Fondo, tanto che, mentre Meloni era a Tunisi, il ministro degli esteri Tajani decollava per Washington per incontrare i rappresentanti dell’istituzione finanziaria internazionale. Dopo circa tre anni di negoziati con l’FMI che, nel 2021, proponeva ancora circa 3 miliardi di dollari alla Tunisia, a interrompere ogni discussione è stato proprio il sonoro “No” dello stesso presidente al quale oggi Meloni stringe la mano promettendo sostegno. Il 6 aprile, infatti, Saied dichiarava: “Rifiutiamo i diktat dell’FMI. Rifiutiamo le ingiunzioni che porteranno a un impoverimento generale. L’alternativa è contare su noi stessi”. Il giorno prima della visita di Von Der Leyen, Saied si è recato a Sfax e, in un video in arabo diffuso sulla pagina Facebook della Presidenza, ha fatto sapere: “Non saremo noi i guardiani delle loro frontiere”. In un comunicato a seguito della visita, la Presidenza tunisina ha poi ribadito il rifiuto alle condizioni che l’Unione Europea vorrebbe imporre in cambio del sostegno economico-finanziario, ovvero trasformare la Tunisia in un hotspot dove “smistare” persone migranti non solo tunisine, ma anche di altre nazionalità. 

Nonostante diversi media esteri stiano esprimendo i propri dubbi sulle recenti pressioni europee e italiane sulla Tunisia, in Italia il dibattito pubblico continua a focalizzarsi solo sull’imminente “rischio migratorio”, che giustificherebbe le politiche interventiste del governo Meloni nel Mediterraneo e a Washington. I dati sull’aumento delle partenze, avvenuto tra l’altro a seguito di un duro discorso del Presidente Kais Saied nei confronti della comunità subsahariana a fine febbraio, sembrano costituire l’unico indicatore preso in considerazione nell’elaborare accordi in materia di politica estera nel Mediterraneo. Un commento dell’analista Emadeddine Badi, citato dalla BBC, analizza così le misure annunciate in Tunisia da Von Der Leyen, Rutte e Meloni: “Ancora una volta, l’UE non sta guardando alle cause principali, ma si concentra sui sintomi”. 

La Tunisia rappresenta un esempio evidente dei limiti di questo approccio-tampone a breve termine, tra l’altro è tutt’altro che nuovo. Il complesso contesto tunisino è stato spesso riassunto dai media italiani nelle ultime settimane con i termini “caos” o “polveriera”, senza che all’annuncio di corposi finanziamenti sia seguita un’analisi di contesto sistemica. L’appiattimento di processi politico-economico decennali e delle loro conseguenze attuali, riassunte in una generica ed endemica “crisi economica”, come se questa non fosse altro che una condizione naturale del paese, ha giustificato risposte semplicistiche, come quelle ascoltate nelle ripetute dichiarazioni di Meloni, ma anche di Von Der Leyen, sull’“urgente stabilizzazione del paese”. Proprio la trappola della stabilità, illusione che guida la politica italiana nel Mediterraneo, ha legittimato politiche a sostegno dell’autoritarismo nel periodo post 2011. Proprio da quello stesso autoritarismo, però, si scappa: a raccontarlo, per esempio, è la grande fuga degli egiziani, una tra le prime nazionalità di sbarco negli ultimi anni, uno dei paesi partner di Roma nonostante le dure politiche repressive del dittatore Abdel Fattah Al-Sisi. 

Secondo questo discorso profondamente italocentrico, che misura l’impatto della crisi in funzione dell’effetto sulle nostre coste, la Tunisia sarebbe quindi stata abbandonata dalla comunità internazionale e andrebbe “salvata” per evitare nuovi sbarchi. “La Tunisia ha bisogno di aiuti”, ha più volte fatto eco a Meloni il ministro degli Esteri Tajani, sostenendo di voler applicare “un approccio pragmatico e non ideologico”. Eppure, il paese nordafricano riceve milioni di fondi europei e italiani dal 2011, e non solo per la militarizzazione del Mediterraneo Centrale. L’Italia spende un totale di 700 milioni di euro in cooperazione nel paese, ha ricordato la stessa Meloni a Tunisi il 6 giugno. Nel 2022, l’Italia ha superato la Francia diventando il suo primo partner commerciale. Quanto all’UE, questa rappresenta la prima regione di esportazione dei beni prodotti in Tunisia, dove il cambio di valuta e il costo del lavoro rappresentano un vantaggio comparato che ha portato diverse imprese e compagnie a delocalizzare a Sud del Mediterraneo. 

Le misure di cooperazione energetica e commerciale proposte da Von Der Leyen sotto forma di aiuti non sono nuove, ma spesso frutto di negoziati di anni. Oggi tornano sul tavolo, proprio nel momento in cui la Tunisia si ritrova a dipendere totalmente da nuovi prestiti esteri per evitare il collasso finanziario. Fin dal 2012, per esempio, la società civile tunisina si batte contro la firma dell’accordo di libero scambio UE-Tunisia, l’ALECA, che sembra tornare di attualità oggi dopo l’ultimo round di negoziati del 2019. Il collettivo di associazioni tunisine “block Aleca” chiede da anni di riconsiderare un progetto che, secondo uno dei rappresentanti del movimento, Saleh Ben Yahia, rafforzerebbe il rapporto di dipendenza della Tunisia dall’UE: “I negoziati non sono condotti su un piano di parità, nel senso di interessi comuni. Basti pensare alla questione della mobilità dei lavoratori: i tunisini hanno bisogno di un visto per esercitare una professione in Europa, gli europei, invece, no. Chiediamo testi equilibrati, perché in assenza di un principio di uguaglianza, prevale la volontà di chi si può imporre", spiegava in un’intervista alla rivista Jeune Afrique

Sulla Tunisia, tra gli altri, si è espresso recentemente su La Stampa anche l’ex ministro dell’interno Marco Minniti, poi approdato a Leonardo. La premessa di Minniti è che “il continente nero è un fronte della guerra in Ucraina. Putin ci attacca in Ciad, Burkina Faso e Mali”. Quest’approccio politico riduce la Tunisia, e per antonomasia l’intero continente africano, a un grande e passivo Risiko. Stati di cui siamo partner economici regionali fondamentali vengono allora costantemente analizzati attraverso la sola lente migratoria (Tunisia e Libia) o energetica (Algeria), ridotti allo status di “paesi di partenza” o “aree di influenza". Visti sempre ed esclusivamente da Nord, nell’immaginario collettivo Tunisia, Libia, Egitto, Algeria sembrano ancora costituire un prolungamento dell'Europa, tanto che nel discorso mediatico dominante il Nord Africa spesso non viene nemmeno incluso nella sezione esteri, ma trattato come una questione di politica interna. 

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A negoziare con i leader nordafricani, infatti, sono spesso direttamente i ministri dell'Interno, senza che gli accordi migratori, accordi di tipo tecnico, come i memorandum, vengano preceduti o seguiti da intese internazionali pubbliche. Di conseguenza, Italia e UE negoziano e rafforzano apparati repressivi e securitari. Proprio Piantedosi, infatti, si è recato prima a gennaio, poi a maggio, in Tunisia in preparazione degli incontri ufficiali più recenti. 

La scelta di espressioni come "piccolo paese" o “continente nero”, l'uso di dati generici e non verificati per misurare il livello di povertà e le potenziali partenze, la riduzione costante di rapporti politico-economici complessi alla pura geopolitica fanno sì che, nel nostro immaginario collettivo, i cittadini tunisini, libici, algerini, egiziani, marocchini, ma non solo, vengano assimilati direttamente a migranti - vittime o colpevoli - privati quindi di ogni tipo di soggettività politica. Eppure, per esempio, durante l'ultima visita di Meloni a Tunisi, la società civile tunisina ha organizzato da un giorno all’altro una manifestazione di protesta contro le politiche migratorie italiane. Raccontare il Nord Africa anche quando "non ci riguarda", anche quando non c’è uno sbarco, potrebbe infine permetterci di comprendere in profondità le dinamiche che muovono un Mediterraneo sempre più globale, per analizzarlo con l'attenzione che merita. Proprio perché ciò che vi accade ha conseguenze anche in Europa, ma non solo per questo.

Immagine in anteprima: Frame video Il Sole 24 Ore via YouTube

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