Una medicina a misura d’uomo senza rinunciare alle evidenze scientifiche
5 min letturaLa scorsa settimana abbiamo riportato sulla nostra pagina Facebook una lunga, dolorosa e complessa testimonianza dei figli di Giuditta Di Matteo, insegnante sarda, che secondo la ricostruzione dei giornali sarebbe morta per aver rifiutato la chemioterapia, affidandosi a “terapie alternative". Il racconto dei figli restituisce una versione diversa della storia di Giuditta, una donna che per tutta la vita ha lottato contro i tumori che l’hanno aggredita e che si è sottoposta sempre a chemio e interventi chirurgici. Negli ultimi tempi aveva scelto di smettere e i figli spiegano perché: "Giuditta non è mai stata contraria alla chemioterapia ma rivendicava la libertà individuale di scelta sulla propria salute, denunciava lo scarso sostegno psicologico, morale e umano fornito dagli ospedali pubblici, la scarsa attenzione per la persona in quanto tale”.
In seguito alla pubblicazione, è nata sulla pagina di Valigia Blu una discussione intensa, impegnativa e arricchente. Tra le persone intervenute, Paolo Eusebi ci ha chiesto di poter pubblicare una sua riflessione su Valigia Blu. Dopo aver letto e verificato il suo contributo e aver lavorato con lui ad alcuni passaggi, abbiamo deciso di pubblicarlo.
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di Paolo Eusebi
Non sono un medico, sono un biostatistico che svolge attività di ricerca in diversi Enti pubblici e Università. Mi piacerebbe esprimere alcuni concetti rispetto al dibattito originatosi da un articolo postato sulla pagina Facebook di Valigia Blu.
L’articolo è apparso originariamente su l’Unione Sarda e raccontava la storia di Giuditta Di Matteo. Giuditta ha combattuto contro un cancro che l'aveva ripetutamente aggredita. All’ultima recidiva, ha detto basta alla chemioterapia e ha deciso di provare un metodo alternativo e naturale.
Insegnante elementare, Giuditta ha combattuto anche la battaglia per mantenere l'intero stipendio per tutto il periodo necessario alle cure, una tutela che lo Stato garantiva, come riportato dall’articolo, solo a chi si cura con la chemioterapia. Lo dico in premessa, non ho conosciuto Giuditta ma mi è sembrato di leggere la storia di una donna forte, intelligente e determinata. Ho un grande rispetto per il dolore dei familiari ma credo che abbiamo davvero bisogno che i mezzi d’informazione diventino più responsabili nel toccare questi temi.
Nell’articolo a un certo punto si legge: “In seguito però ad alcuni eventi di vita dolorosi, la sua situazione fisica precipitò un'altra volta. Comparve una massa nel bulbo oculare destro e altre pericolose masse sempre in sede mediastinica che le causarono secondariamente diverse broncopolmoniti. Mia madre abbandonò allora il metodo Gerson nell'estate del 2015”. Che cos’è il metodo Gerson? Forse il giornale ci poteva dare almeno alcune rudimentali informazioni.
Il sito dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc) parla del metodo Gerson affermando che questa cosiddetta terapia (nata negli anni Quaranta negli Stati Uniti) “si basa su una serie di presupposti non scientifici, tra i quali che il cancro sia il risultato di uno squilibrio metabolico indotto dall'accumulo di sostanze tossiche nell'organismo.” Il metodo prevede “una dieta vegana e priva di grassi (tranne l'olio di lino), con l'aggiunta di supplementi vitaminici, enzimi pancreatici e diversi clisteri di caffè al giorno.”
Le evidenze scientifiche, si legge ancora sul sito dell'Airc, non hanno dimostrato alcuna efficacia della terapia, ma hanno valutato un incremento del rischio di “effetti collaterali gravi come squilibri tra sodio e potassio, potenzialmente pericolosi per il funzionamento cardiaco.”
Le evidenze scientifiche sono le prove che la letteratura medica ci fornisce sulle cure e le tecniche diagnostiche di una malattia. Infatti, non tutti gli studi e le opinioni danno gli stessi risultati, questo avviene per i motivi più disparati (più o meno buoni).
La medicina che si basa sulle evidenze ha una piramide, in cui si passa dall'opinione degli esperti (base della piramide) agli studi osservazionali (condotti su pazienti in trattamento con l’obiettivo di valutare il profilo di sicurezza ed efficacia dei farmaci) e passando dai trials clinici si arriva alle revisioni sistematiche della letteratura (il vertice della piramide).
In altre parole, un conto è dire, sulla base anche di ragionamenti di buon senso, che il cancro si può curare ristabilendo lo squilibrio metabolico (opinione degli esperti), un conto è osservare una lunga serie di pazienti che hanno provato una terapia registrando successi e insuccessi (studi osservazionali). Un altro conto è somministrare o meno la terapia a dei pazienti secondo una procedura casuale e registrare successi e insuccessi (studi clinici randomizzati). Altra cosa ancora è combinare i risultati di più studi (osservazionali o randomizzati) in una revisione sistematica (il massimo delle evidenze disponibili) e tirare le somme facendo una valutazione della qualità degli studi. Per cui se su un dato argomento non ci sono studi clinici randomizzati o revisioni sistematiche si tende a dare poco peso alle evidenze disponibili.
Ci sono anche organizzazioni internazionali non profit (frutto della collaborazione volontaria tra ricercatori e decisori pubblici) che si occupano di valutare le evidenze scientifiche (Cochrane Collaboration e Campbell Collaboration) e di migliorare la trasparenza dei trial clinici (Open Trials). Il loro obiettivo è rendere accessibile la migliore conoscenza sulle terapie e le procedure diagnostiche disponibili tentando di limitare alcune distorsioni tipiche della medicina contemporanea, come i conflitti di interesse, il sovra-trattamento, la sovra-diagnosi, la mancanza di trasparenza nella conduzione e nel reporting degli studi, lo scarso coinvolgimento dei pazienti nella formazione dell'agenda delle priorità della ricerca biomedica.
Si tratta, per chi collabora a queste attività, di compiere quotidianamente uno sforzo titanico contro due mondi che si combattono in realtà rafforzandosi a vicenda: da una parte la ricerca e il marketing di Big Pharma e dall’altra i metodi di Gerson e Hamer.
Infatti Big Pharma ha gioco facile nel combattere attraverso le sue conoscenze scientifiche la pseudo-informazione alla base dei metodi Gerson e Hamer; allo stesso modo i fautori di queste cosiddette terapie hanno presa facile su alcuni cittadini facendo leva sugli scandali che ripetutamente i media riportano rispetto al mondo delle case farmaceutiche (si veda l’ultimo caso relativo alla Menarini) e delle organizzazioni sanitarie.
C’è un fondo di verità nel racconto dei familiari di Giuditta. Troppo spesso i pazienti sono numeri, il racconto della malattia ha una parte troppo piccola nel percorso di cura, i trattamenti alternativi potrebbero essere più raccomandati come complemento alle cure tradizionali, la qualità della vita di una persona non sempre è un elemento centrale.
Ma da questo possiamo uscirne con un miglior dialogo tra associazioni dei pazienti e società scientifiche, dando forza a esperienze internazionali che stanno cercando di umanizzare la medicina, come ad esempio il movimento Slow Medicine, che muovendosi seguendo il motto di “fare di più non significa fare meglio” vuole utilizzare le evidenze disponibili per evitare test diagnostici e terapie non necessari.
Ci sono poi esperienze d’avanguardia, la cosiddetta medicina narrativa (che ha pure una società scientifica italiana, SIMeN), che ha l’obiettivo di integrare la medicina basata sulle evidenze attraverso la focalizzazione del percorso medico sulla narrazione della malattia da parte del paziente, con la conseguenza di ricostruire il rapporto medico-paziente. Il British Medical Journal (una delle riviste scientifiche più autorevoli a livello mondiale) ha lanciato la campagna “Too much medicine” proprio per evidenziare la minaccia per la salute umana provocata da sovra-diagnosi e spreco di risorse per assistenza medica non necessaria.
Il progresso medico è straordinario e ha costruito un mondo della cura inevitabilmente complesso ma dobbiamo costruire una società civile all’altezza delle sfide poste da questa complessità, in questo l’ecosistema dell’informazione gioca un ruolo fondamentale.