Festa per l’attentato ISIS. Una bufala che portò all’incendio di un bar di Pioltello. Chiesto il processo per i giornalisti Mediaset
6 min letturaCom'è nata la falsa notizia dei festeggiamenti in un bar di Pioltello dopo l'attentato di Manchester
Lo scorso 23 maggio a Mattino 5, programma su Canale 5, si sta parlando dell'attentato del giorno prima avvenuto a Manchester, rivendicato dall'ISIS, al termine del concerto della cantante Ariana Grande, in cui furono uccise 22 persone. Durante la trasmissione il giornalista Carmelo Abbate, ospite in studio, riferisce di essere stato «contattato da cittadini di Pioltello (ndr un Comune lombardo)» e di essere stato informato che la sera prima «in un bar di Pioltello verso le 11 c’era gente che esultava e che brindava» dopo l’attentato di Manchester.
Abbate non specifica il nome del bar, ma dice che lo farà ai carabinieri del Comune alla fine della puntata per avvertirli di quanto è venuto a sapere: «Chiederò di accertarsi se c’era in corso una festa di compleanno ed eventualmente quale compleanno si festeggiava, visto che mi dicono che è un ritrovo di spacciatori extracomunitari ed eventualmente di sapere qual è la quotidianità di queste persone».
Il giorno successivo, il 24 maggio, sempre su Mattino 5 viene mandato in onda un servizio di Francesco De Luca (il link del servizio non è più funzionante sul sito di Mediaset, ma si può vedere qui caricato da una pagina su Facebbok) su quanto rivelato da Abbate. Nel sottopancia del servizio si legge: "Attentato a Manchester, a Pioltello gli immigrati esultano per l'attentato?". Nel video, racconta Leonardo Bianchi su Vice News Italia, "l'inviato raccoglie un po' di voci di residenti italiani e stranieri. Qualcuno riporta che altri avrebbero visto degli strani movimenti di fronte a questo bar; altri ancora che la polizia sarebbe arrivata davanti all'esercizio commerciale". Nessuno, però, continua Bianchi, sembra aver assistito alla scena in prima persona.
In un bar di Pioltello un gruppo di islamici avrebbe festeggiato dopo l'attentato a #Manchester #mattino5https://t.co/22zeFkD64l pic.twitter.com/0d44VL3jmz
— Mattino5 (@mattino5) May 24, 2017
La "notizia" viene rilanciata anche da Silvia Sardone, consigliere comunale di Forza Italia a Milano. Sardone rimuoverà poi il suo post.
Il 25 maggio, Il Giorno pubblica la dichiarazione del titolare del Bar in questione che smentisce quanto rivelato in tv: "«È partito tutto da una segnalazione razzista e il nostro bar è finito sotto torchio. È una situazione assurda. Questa mattina (ieri per chi legge, ndr) abbiamo ricevuto controlli da tutte le forze dell’ordine: sono arrivati gli agenti dell’antiterrorismo, i carabinieri e la polizia", racconta Mimmo Sidella del Marrakech Lounge Bar, il locale finito sotto accusa. «La notizia è falsa. I carabinieri hanno individuato la fonte: si tratta di un uomo che scrive sui social dei post che inneggiano al razzismo, siamo pronti a denunciarlo»".
Nella notte tra il 24 maggio e il 25 maggio, però, il locale subisce un attentato incendiario.
“Al bar esultano per l’attentato” La bufala scatena il raid razzista https://t.co/l3k59MiDKW
— La Stampa (@LaStampa) May 26, 2017
La sindaca di Pioltello, Ivonne Cosciotti, sempre il 25 maggio, convoca una conferenza stampa dopo quanto successo nella notte. Ivonne dice che ha parlato con le forze dell'ordine che le hanno riferito che, in base agli accertamenti svolti, la fonte di Abbate non erano "cittadini di Pioltello" ma una sola persona, e smentisce quanto riferito durante Mattino 5: «Le indagini sono in corso ma al momento non ci risulta nessun festeggiamento. Anche perché questa esultanza sarebbe avvenuta alle 11 di sera ore italiane del 22 maggio. Ma a quell’ora a Manchester non era ancora successo nulla».
Pubblicato da La Martesana su Giovedì 25 maggio 2017
Il giorno dopo sia il programma Mattino 5 che Carmelo Abbate tornano sul caso da loro sollevato. In un comunicato la trasmissione afferma che il loro servizio ha voluto verificare la segnalazione fatta in trasmissione, che hanno dato voce anche al proprietario del locale "che ha sempre negato la circostanza" e che non c'è nessun nesso di causa-effetto tra quanto accaduto poi al bar la notte tra il 24 maggio e il 25 maggio (un atto che la trasmissione condanna) e la loro trasmissione. Dal canto suo Abbate, sul suo profilo facebook, scrive di aver ricevuto nel corso della trasmissione "una segnalazione pubblica visibile a tutti sulla mia pagina Facebook: nello scritto si faceva riferimento a un preciso bar di Pioltello davanti al quale qualcuno avrebbe festeggiato gli attentati di Manchester". Il giornalista, così, "ritenendo la fonte qualificata, in buona fede e assolutamente non impregnata di ideologie razziste, durante la pausa pubblicitaria ho cercato questa persona al telefono e mi sono accertato dell’autenticità del messaggio" (poi però il contenuto del messaggio è risultato falso), decidendo poi di riferire in studio quanto da lui appreso. Abbate si difende dicendo inoltre di non aver "fornito alcun elemento che potesse portare neppure lontanamente all’individuazione del posto".
La procura chiude le indagini e chiede il processo
Circa sette mesi dopo, il 10 gennaio, Repubblica Milano pubblica la notizia che la procura di Milano ha chiuso le indagini e deciso di chiedere il processo per "il cittadino responsabile della diffusione della falsa notizia e chi gli ha dato credito senza verificare l' attendibilità della storia": "(...) Rispondono di diffamazione aggravata (per aver commesso il fatto con un mezzo di pubblicità e nel corso di una trasmissione televisiva), Sandro Damiano, il residente all'origine del cortocircuito mediatico, e il giornalista Mediaset Carmelo Abbate, sulla cui bacheca è stato pubblicato il post. (....) Con le stesse accuse e motivazioni, sono indagati anche il giornalista Francesco De Luca, autore del servizio a Pioltello, e il conduttore della trasmissione Francesco Vecchi. Di omesso controllo risponde invece Rosanna Ragusa come responsabile della testata Videonews, che produce i programmi di approfondimento giornalistico sui canali Mediaset".
La mancata verifica e la diffusione di un contenuto diffamatorio
La questione che solleva il caso non è così sulle 'fake news' online che si diffondono tramite i social, ma piuttosto sulla mancata verifica e diffusione di una notizia rivelatasi poi falsa, come spiega Bruno Saetta, avvocato esperto di Internet e diritto applicato alle nuove tecnologie e collaboratore di Valigia Blu:
"Fermo restando che al momento abbiamo pochi dati sul procedimento in corso, appare evidente, però, che non si tratta di una questione relativa alle 'fake news'. Il reato contestato al cittadino che avrebbe, secondo quanto possiamo sapere al momento, pubblicato la "falsa notizia" sul profilo del giornalista, è il reato di diffamazione, cioè dovrà rispondere per aver offeso la reputazione e l'onore del titolare del bar asserendo che all'interno dello stesso sarebbero avvenuti degli accadimenti in realtà mai avvenuti. Diffamazione aggravata perché la notizia falsa è stata veicolata attraverso il mezzo della pubblicità, e probabilmente anche per l'attribuzione di un fatto determinato (il brindisi). Da come si può evincere dal racconto dei fatti, in questo caso il riferimento non è tanto a Facebook, quanto piuttosto alla trasmissione televisiva che avrebbe veicolato il messaggio diffamatorio. Infatti, sarebbe indagato anche il conduttore della trasmissione televisiva, e il direttore responsabile della testata Videonews, che risponde di omesso controllo.
Quindi, da quanto è possibile ricavare al momento, non è un problema di 'fake news' online ma di una banale diffamazione tramite giornale e trasmissione televisiva. La particolarità della situazione semmai sta nel fatto che i giornalisti sarebbero partiti, per preparare la notizia, da un commento online su Facebook, per cui nel caso specifico sembrerebbe che i giornalisti abbiano mancato nel loro dovere di accertare la verità dei fatti e verificare la fonte della notizia, così come previsto non solo dalle norme deontologiche della professione (Testo unico, art. 9) ma anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. V pen. Sent. 1183/2002). L'obbligo primario dell'esercente la professione, infatti, è di esaminare, verificare e controllare, in termini di adeguata serietà professionale, la consistenza della relativa fonte di informazione. Il giornalista è spesso dibattuto tra l’esigenza di informare il pubblico quanto prima e quella di verificare la fondatezza della notizia, ma il corretto esercizio del diritto di cronaca si fonda proprio su un bilanciamento tra le due esigenze. Il giornalista deve verificare l’attendibilità della fonte e ricercare elementi che confermino la notizia, ed è pacifico che il giudizio di attendibilità si fonda anche sull’autorevolezza della fonte. Più la fonte è autorevole, minore è l’esigenza di cercare riscontri.
La “verità” può anche essere putativa, nel senso che può essere sufficiente, per evitare una condanna del giornalista, che questi provi di aver svolto un lavoro di ricerca e verifica della notizia, e che comunque sia rimasto 'ingannato', ma occorre che tale ricerca sia particolarmente diligente. In tale ottica è importante notare che la 'verità putativa' non può mai basarsi su altro mezzo di informazione per quanto autorevole possa essere (anche un’agenzia di stampa), perché in tal modo si realizzerebbe una gerarchizzazione delle fonti di informazione che è inconciliabile con il pluralismo dei mezzi di informazione e tale da portare il giornalista a rinunciare al contatto diretto con la notizia e quindi alla sua funzione di 'fare informazione'.
Ovviamente occorre rimarcare che siamo ancora alla fase della conclusione delle indagini preliminari, per cui ci sarà probabilmente un dibattimento nel quale saranno vagliati i fatti per verificare se davvero sussistono gli estremi dei reati contestati".
Foto in anteprima via Il Post