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Il riconoscimento dei genitori nella maternità surrogata: cosa dice la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

12 Settembre 2023 9 min lettura

Il riconoscimento dei genitori nella maternità surrogata: cosa dice la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

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Mentre prosegue il percorso parlamentare della proposta di legge per rendere “reato universale” la gestazione per altri (GPA), sul tema della maternità surrogata è intervenuta un’importante sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte EDU, n. 239 del 31 agosto 2023). La Corte ha condannato l’Italia per il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione tra il padre biologico e una bambina nata nel 2019 in Ucraina tramite GPA. La pronuncia si segnala in quanto pone un argine a un’interpretazione eccessivamente restrittiva - fino al punto di divenire lesiva dei diritti del minore – data da uffici dell’anagrafe e tribunali nazionali alla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di maternità surrogata.

I fatti

Nel 2019, il padre (biologico) e la madre (d’intenzione) di una bambina nata in Ucraina a seguito di GPA si erano visti rifiutare la trascrizione dell'atto di nascita da parte dell’ufficiale di stato civile presso il comune di residenza, con la motivazione che tale trascrizione sarebbe stata contraria all’ordine pubblico. La coppia si era quindi rivolta, chiedendo la trascrizione integrale dell'atto di nascita o, in subordine, la trascrizione del nome unico del padre biologico.

Il tribunale, nonostante il parere favorevole della procura circa la trascrizione parziale, aveva respinto il ricorso. Secondo i giudici, la considerazione dell'“interesse superiore del minore” - principio sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza delle Nazioni Unite (art. 3), nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 24) - non poteva prevalere sull'incompatibilità della maternità surrogata con l'ordine pubblico, e quindi con la decisione dell'ufficiale di stato civile.

La coppia aveva allora impugnato tale decisione e chiesto, con ricorso sommario, inserito nel procedimento di appello, la trascrizione parziale dell'atto di nascita, cioè con la sola indicazione del padre biologico. Il pubblico ministero si era ancora espresso favorevolmente all’accoglimento del ricorso. Ma nel giugno 2021 la Corte d’Appello l’aveva respinto, con la motivazione formale che “la richiesta di trascrizione parziale depositata nel giudizio abbreviato era irricevibile in quanto la richiesta nel procedimento principale riguardava esclusivamente la trascrizione integrale dell'atto di nascita” della bambina.

Nel settembre del 2021, il caso è stato sottoposto alla Corte di Strasburgo. Nel giugno 2022, dopo aver trasferito la propria residenza, il padre biologico aveva chiesto all'Ufficio di stato civile del nuovo comune la trascrizione parziale dell'atto di nascita di sua figlia. Ma anche tale Ufficio aveva rifiutato la trascrizione parziale, affermando che il divieto di GPA non poteva essere aggirato.

Le particolarità del caso

La vicenda in esame rimanda ad alcuni casi che si sono verificati in Italia nei mesi scorsi, nei quali era stata rifiutata l’iscrizione del genitore intenzionale sul certificato del bambino nato da GPA o chiesta la rettifica dei certificati che recavano il nominativo di tale genitore, ma non era messa in dubbio la trascrizione dell’atto di nascita con l’indicazione del genitore biologico.

Al riguardo, nel maggio 2019 (sentenza n.12193), l'Assemblea plenaria della Corte di Cassazione aveva affermato il principio secondo cui, per motivi di ordine pubblico a tutela della dignità della donna, l’atto di nascita di un bambino nato all'estero da GPA non può essere trascritto nei registri civili italiani con l’indicazione di un genitore che non abbia alcun legame biologico con il bambino stesso. In altre parole, non è possibile attestare un legame giuridico senza un legame di sangue. Lo stesso principio era stato ribadito nel novembre 2022 sempre dalla Corte di cassazione a sezioni unite (sentenza n. 38162) relativamente alla trascrizione dell'atto di nascita di un bambino nato da maternità surrogata praticata all'estero, con riguardo al genitore d’intenzione.

Nel gennaio 2023, il Ministero dell'Interno con una circolare (n. 3/2023) aveva dato comunicazione di quest’ultima pronuncia a tutti i Prefetti, invitandoli a loro volta a darne comunicazione a tutti i sindaci. Nella circolare si richiamava la parte della sentenza ove si esclude sia “automaticamente trascrivibile” l’atto di nascita “che indichi quale genitore del bambino il genitore d'intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel paese estero, sia pure in conformità della lex loci”. Solo il genitore che abbia un legame biologico con il nato può essere menzionato nell'atto di nascita che viene formato in Italia. Secondo la circolare, l’esigenza di assicurare al minore i medesimi diritti degli altri bambini è comunque garantita attraverso l'adozione in casi particolari (art. 44, comma 1, lett. d, della l. n. 184/1983), “che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame con il partner del genitore biologico che ha condiviso il progetto genitoriale”.

Dunque, non era in discussione la trascrivibilità dell’atto con l’indicazione del genitore avente un legame di sangue con il bambino, a differenza della vicenda esaminata dalla Corte EDU, ove era stata rifiutata in toto la trascrizione dell’atto di nascita da maternità surrogata. Ciò aveva determinato gravi conseguenze. La legge ucraina, che consente la GPA, stabilisce che i nati da tale pratica siano registrati come figli del padre biologico e della madre intenzionale, con l’acquisizione della relativa nazionalità. Dunque, nel caso in esame, la bambina non aveva la cittadinanza ucraina, ma nemmeno quella italiana, dato che – come spiegato - i rifiuti degli Uffici dell’anagrafe e dei tribunali le avevano negato il riconoscimento della parentela anche solo con il padre biologico. Per cui, di fatto, la bambina è stata resa un’apolide, o – in altre parole – un fantasma, quindi senza diritti come quelli alle cure mediche e a servizi scolastici.

Ciò è contrario alla citata Convenzione sui diritti dell’infanzia, ai sensi della quale “il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza», anche perché, «se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide” (art. 7). Proprio come la bambina nella vicenda in esame.

Cosa dice la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

Con il ricorso è stato chiesto alla Corte EDU di accertare la violazione del diritto alla vita privata e familiare della bambina (art. 8, c. 1, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, CEDU) a causa del rifiuto delle autorità nazionali di riconoscere il padre biologico e la madre intenzionale come suoi genitori. Il fatto di non avere nazionalità, come conseguenza di tale rifiuto, poneva la minore in uno stato di grave incertezza giuridica, che si concretizzava, in particolare, nelle difficoltà incontrate nell’accedere all'asilo nido, alla scuola, al servizio sanitario nazionale.

Il rifiuto di riconoscere un rapporto di filiazione tra il bambino nato all'estero da maternità surrogata e gli aspiranti genitori era già stato esaminato dalla Corte come espressione della volontà dello Stato di scoraggiare i propri cittadini dal ricorrere fuori del territorio nazionale ad un metodo di procreazione vietata sul suo territorio (caso Mennesson). Tale ingerenza dello Stato era stata considerata legittima a condizione che fosse finalizzata a perseguire gli scopi elencati nella CEDU (art. 8, c. 2) – tra gli altri, “la tutela della salute” e “la tutela dei diritti e delle libertà dell'uomo” – e garantisse il diritto del minore al rispetto della sua vita privata, vale a dire il diritto alla propria identità di essere umano, comprovabile anche attraverso la propria discendenza.

Nel caso in esame questo diritto non è stato rispettato. Il profilo più grave, secondo la Corte, riguarda la circostanza che i tribunali nazionali hanno respinto le richieste di riconoscimento “senza bilanciare i diversi interessi in gioco e, soprattutto, senza considerare le esigenze di tempestività ed efficienza richieste in un procedimento come quello di specie”. Perché si abbiano “tempestività ed efficienza” - precisa la Corte,

a) il processo decisionale deve essere sufficientemente incentrato sull'interesse superiore del bambino e, in questo senso, esente da eccessivi formalismi e capace di realizzare tale interesse indipendentemente da eventuali vizi procedurali; b) i giudici nazionali devono cooperare con le parti indicando le soluzioni scelte dal sistema, indipendentemente dalle richieste delle parti interessate.

Nel caso in esame i vincoli di “tempestività ed efficienza” non sono stati osservati. La Corte ha sottolineato, in particolare, i “circa quattro anni dalla richiesta di trascrizione dell'atto di nascita estero del ricorrente, di fronte al parere favorevole della procura”; la circostanza che i tribunali nazionali abbiano respinto la richiesta non solo di trascrizione integrale, ma anche di trascrizione parziale “con il solo motivo di eccessivo formalismo, (…) questione che non può rilevare in un procedimento basato sull'interesse superiore del minore”; il fatto che nessuna indicazione, in tutte le fasi del procedimento, fosse stata fornita circa un'eventuale modalità diversa per ottenere l'instaurazione del rapporto tra i genitori e la minore, adducendo il semplice rifiuto “per assenza di prerequisiti”.

In sintesi, i tribunali non sono stati in grado di prendere una decisione rapida al fine di tutelare l'interesse della bambina all’accertamento della sua filiazione biologica, né hanno proposto alcuna soluzione alternativa. Così la minore “è stata tenuta fin dalla nascita in uno stato di prolungata incertezza riguardo alla sua identità personale”, derivante dal fatto di non aver potuto acquisire la cittadinanza italiana a causa del mancato riconoscimento del rapporto di filiazione, restando un’apolide, come detto.

Pertanto la Corte ha ritenuto che, considerate le circostanze del caso, nonostante il margine di discrezionalità dello Stato, le autorità italiane sono venute meno al loro obbligo di garantire il diritto della minore al rispetto della sua vita privata, in violazione dell’articolo 8 della CEDU.

Il genitore intenzionale

La Corte ha invece ritenuto che non sussista la medesima violazione della CEDU con riferimento alla madre intenzionale. Infatti, “il desiderio che venga riconosciuto un legame tra la ricorrente e la futura madre non si scontra con un'impossibilità generale e assoluta”, data la facoltà concessa dall’ordinamento nazionale di ricorrere all’adozione in casi particolari. Si tratta dello strumento indicato anche dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza del 2022.

Al riguardo, va fatta una precisazione. Tale tipo di adozione necessita di tempi lunghi e ha esiti incerti. Tant’è che la Corte Costituzionale, nel 2021 (sentenza n. 33), con una pronuncia richiamata anche dalla Corte di Strasburgo - ha affermato che questo tipo di adozione, pur costituendo “una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa”, non è “del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali”. Ad esempio, essa richiede “il necessario assenso del genitore biologico (...), che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia”. Inoltre, se il genitore non biologico, che si è assunto l’impegno di provvedere al bambino, cambiasse idea, il minore non potrebbe tutelarsi. Infine, nel periodo necessario a ottenere l’adozione “speciale”, il bambino non è giuridicamente tutelato rispetto al secondo genitore quanto a cognome, mantenimento, cura, successione. La Corte ha esortato il legislatore a provvedere alla “indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”. Ma il legislatore finora è restato inerte.

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Il disegno di legge sulla GPA

Come spiegato, il caso sottoposto alla Corte EDU è derivato da un’interpretazione eccessivamente restrittiva e formalistica data dagli Uffici dell’anagrafe e dai tribunali a quanto espresso dalla Corte di cassazione circa la trascrivibilità di un atto di nascita a seguito di GPA.

A questo riguardo, si ricordi che, nel marzo scorso, la Commissione Politiche UE del Senato ha votato contro il regolamento proposto dalla Commissione Europea a dicembre 2022 che mira a far riconoscere in tutti gli Stati membri dell’UE, attraverso un “certificato europeo di filiazione”, il rapporto di parentela accertato in uno Stato membro tra figli e genitori, indipendentemente dal sesso di questi ultimi. Ciò affinché i bambini non diventino apolidi qualora si trasferiscano in un paese dell’Unione diverso dal proprio.

I rifiuti di trascrizione dell’atto di nascita della protagonista del caso esaminato dai giudici di Strasburgo, la decisione nazionale sul certificato europeo e alcune posizioni espresse da esponenti del governo mostrano un orientamento che, in concreto, rischia di compromettere i diritti dei nati da maternità surrogata. In sede di approvazione del disegno di legge sulla GPA andrebbe sancito in via espressa quanto deciso dalla Corte EDU. Vale a dire il diritto del minore a vedersi riconosciuto – se non il rapporto di filiazione con entrambi i genitori, come sarebbe necessario - almeno il rapporto con il genitore biologico, nel rispetto dei principi basilari della normativa internazionale. Se si vuole davvero proteggere il superiore interesse dei bambini, e non lasciarli in balia di Uffici di stato civile, tribunali e politica, affermare in via normativa tale diritto sarebbe doveroso.

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