Dopo la marcia su Mosca, cosa resta della Russia di Putin?
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L’epilogo della ribellione del 24 giugno in Russia ha riservato sorprese come il suo inizio. A poco meno di 200 chilometri da Mosca, già giunti in poche ore nella regione di Tula, le colonne di mezzi e uomini della Wagner si fermano, e vengono mandate indietro dopo l’annuncio della mediazione riuscita di Aleksandr Lukashenko, presidente bielorusso, e un breve messaggio vocale di Evgeny Prigozhin dove si comunica la decisione di tornare ai campi base per “evitare lo spargimento di sangue russo”. La marcia per la giustizia sociale, come era stata definita dall’imprenditore diventato capo della compagnia militare privata, aveva lasciato la Russia e il mondo con il fiato sospeso, soprattutto per la capacità di riuscire ad occupare in poco tempo e senza alcuna resistenza la città di Rostov sul Don, centro importante della Russia meridionale, dove vivono un milione e centotrentamila abitanti, e a dirigersi verso la capitale attraversando le regioni di Voronezh, Lipetsk e Tula incontrando solo sporadici (ma violenti) tentativi di resistenza. Il bilancio, al momento ancora da confermare, è di almeno tredici tra piloti e avieri dell’aeronautica militare russa morti per l’abbattimento di un aereo Il-18 e di sei elicotteri, mentre non si hanno notizie di caduti e di perdite tra le fila della Wagner. Vi sono anche danni alle infrastrutture civili: a Rostov le strade sono da rifare a causa dei cingolati, come parte dell’autostrada M-4 Mosca-Voronezh-Rostov; nei pressi di Voronezh vi è stato un attacco via aerea alle colonne dei mercenari, che ha colpito la variante e ha visto anche cadere un missile in un complesso residenziale senza far vittime, e in città è stata colpita una raffineria il cui incendio è stato domato dopo dodici ore; a Borisoglebsk è stato fatto saltare un ponte. Altri particolari iniziano a emergere dopo il termine delle operazioni di ritiro, durate per tutta la giornata del 25 giugno, e si aggiungeranno alla lista delle conseguenze immediate e concrete del colpo di mano di Prigozhin.
Al momento, vi è solo la versione data dal portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, dei risultati raggiunti dalla trattativa intrapresa da Lukashenko. Come spesso accade con le dichiarazioni di Peskov, non vi è chiarezza sui termini del piano concordato con Prigozhin, che dovrebbe trasferirsi in Bielorussia, e anche l’annunciata chiusura del procedimento penale aperto contro la Wagner e il suo capo nella mattina di sabato è stata smentita lunedì mattina dalla Procura generale della Federazione Russa, resta da vedere se l’amnistia per i partecipanti alla marcia resterà valida. Una notizia sorprendente dopo che Putin nel suo unico intervento pubblico aveva definito “una pugnalata alle spalle” l’iniziativa dei mercenari, chiamati “traditori del popolo russo” per cui l’unico destino sarebbe stato l’annientamento. Parole dure, ma che si son dovute scontrare con la difficoltà di applicarle nella realtà concreta, dove una metropoli era sotto il controllo di Prigozhin e il comando generale del Distretto militare meridionale era stato preso senza problemi, e le colonne attraversavano villaggi e centri abitati. Una soluzione del genere avrebbe significato coinvolgere la popolazione civile, con perdite impossibili da calcolare e l’incertezza di riuscire a risolvere rapidamente la situazione.
Ma come è stato possibile per poche migliaia di uomini riuscire ad occupare una grande città e a dirigersi rapidamente sulla capitale russa senza grosse resistenze? Le circostanze hanno fatto sorgere il dubbio, minoritario in verità, di una messinscena, possibilità esclusa da quanto si è riuscito a ricostruire sin dalle prime ore, dove assieme all’inevitabile confusione e al proliferare di notizie di ogni genere, sono emersi una serie di particolari basati sia su fonti interne che su testimonianze dirette. L’interpretazione del tentativo di Prigozhin come messinscena è dovuto anche all’idea proposta da alcuni osservatori di una sua volontà di prendere il potere, sostituendosi a Putin, in verità mai presente e alquanto improbabile nella sua realizzazione. Lo scopo immediato della Wagner era di evitare lo scioglimento della struttura a causa del passaggio, definito come obbligatorio, di mercenari e volontari sotto il controllo del ministero della Difesa con i contratti individuali, che entreranno in vigore dal primo luglio. A confermare questa ipotesi è lo stesso Prigozhin nel messaggio vocale in cui dava ordine di tornare indietro, “ci siamo messi in marcia perché volevano sciogliere la Wagner”. L’Fsb e le forze dell’ordine avrebbero sottovalutato la determinazione a difendere l’autonomia e l’esistenza stessa della compagnia, nonostante i ripetuti segnali dati dall’imprenditore, che avrebbe proposto di porre la Wagner sotto la tutela della Rosgvardija, la Guardia nazionale russa, comandata da Viktor Zolotov, ritenuto meno ostile di Shoigu. La decisione di passare rapidamente all’azione sarebbe stata presa anche a causa delle voci che prevedevano una possibile operazione dell’Fsb contro Prigozhin con l’avvicinarsi del primo luglio, anticipata con gli eventi di sabato, assieme alle parole di Putin sulla necessità di firmare i contratti.
Le promesse garanzie di impunità in cambio dello stop all’impresa, anche se, sempre secondo la versione di Peskov, senza il ritiro dei contratti, hanno consentito alla Wagner di segnare comunque un punto importante nella sfida ai vertici militari. In più, lo status della compagnia, ancora oggi in Russia formalmente illegale secondo il codice penale, dovrebbe venir regolarizzato dopo la discussione alla Duma, annunciata da vari media e confermata da Andrey Kartapolov, presidente della commissione Difesa del parlamento russo, che ha aggiunto di non aver intravisto nulla di criminale nelle azioni della Wagner, in un paese dove si condannano a svariati anni di galera chi scrive un post contro la guerra sui social o scende in piazza per manifestare il proprio dissenso.
La propaganda russa, sia nella versione online dei voenkory (i corrispondenti di guerra) che televisiva, non ha esitato a prender le parti di Putin, dopo aver glorificato le gesta della Wagner per mesi. Chi ancora fino a pochissimo tempo prima faceva a gara a chiedere interviste a Prigozhin per i propri canali Telegram, ora lo definiva un traditore, un venduto ai servizi occidentali d’intelligence, un nazista e così via. I tentativi di “cambiare le scarpe sospesi in aria”, come viene definito l’improvviso mutamento delle opinioni, hanno coinvolto anche i partiti politici presenti alla Duma, su tutti Russia Giusta, il cui leader Sergei Mironov aveva fatto della difesa e dell’elogio della Wagner il proprio programma politico di questi mesi, ricevendo in segno di gratitudine da Prigozhin una mazzola (strumento usato per le esecuzioni sommarie dalle unità di mercenari) e ponendo la frazione del proprio partito all’Assemblea legislativa di San Pietroburgo, ostile a ogni collaborazione con l’imprenditore nativo di quella città, di fronte a un aut-aut che ha portato all’uscita dei deputati locali dalla formazione.
Mironov, legato a Putin da un rapporto trentennale e già presidente del Consiglio della Federazione, immediatamente ha dichiarato la propria solidarietà verso il leader e ha fatto appello all’unità contro i traditori. Ramzan Kadyrov, già amico fraterno lo scorso autunno, ha condannato le azioni dell’imprenditore diventato comandante di ventura, ascrivendole a interessi affaristici, e proprio le unità cecene sono state inviate in direzione di Rostov per reprimere e riportare l’ordine. Ma non è solo lo schieramento favorevole alla guerra ad aver cambiato opinione su Prigozhin perché una reazione speculare e opposta si è avuta da parte di alcune figure dell’opposizione antiputiniana in esilio, su tutti Mikhail Khodorkovsky, l’oligarca già padrone della compagnia Yukos e tenuto in galera per dieci anni fino al 2013, quando venne graziato con la condizione di andar via dalla Russia. Khodorkovsky ha incitato i cittadini russi a unirsi alla marcia della Wagner, vedendola come una possibilità per rovesciare Putin, e non è stato il solo in questa considerazione, a cui si sono aggiunti diversi esponenti come Lyubov Sobol e persino l’Rdk, il Corpo volontario russo al fianco dell’esercito ucraino e composto da militanti d’estrema destra, ha fornito il proprio sostegno a Prigozhin, definendolo un genuino patriota. Una lettura della situazione, quella di una parte dell’opposizione di orientamento liberale, all’impronta di un mediocre machiavellismo, dove i crimini e le brutalità di una formazione militare composta da mercenari e ex detenuti per reati gravi vengono improvvisamente amnistiati da leader la cui rappresentatività è incerta, ignorando anche le posizioni di Prigozhin sulla necessità di procedere alla mobilitazione totale, al ricorso all’economia di guerra e alla legge marziale, “essere per qualche anno una grande Corea del Nord”, come ha detto in un’intervista.
Se è vero che Prigozhin ha a più riprese denunciato, in modo demagogico, l’insensatezza della guerra in Ucraina, smontando anche alcune delle narrazioni centrali, dalla denazificazione agli eventi dal 2014 a oggi, nella ricerca di legittimazione dell’intervento militare, le conclusioni non sono quelle di ritirare le truppe e di avviare negoziati di pace con l’Ucraina, anzi. Anche le denunce della corruzione delle élite russe e dei vertici militari, con argomenti accostati più volte anche dallo stesso Prigozhin alle campagne di Navalny, non devono lasciar illusioni su come si trattino di frasi volte a delegittimare l’establishment russo per ottenere spazi di manovra nel promuovere la propria agenda di guerra e terrore. Un elemento colto in profondità dalla FAS, la Resistenza antimilitarista femminista, e da numerosi attivisti sindacali e di sinistra, che hanno denunciato in varie dichiarazioni la pericolosità nella proposta di adottare un orientamento pro-Wagner da parte delle opposizioni.
La reazione della società russa riflette la sua complessità e al tempo stesso scomposizione: nessuno ha fatto appelli a scendere in piazza a favore o contro, e la maggior parte della popolazione è restata a guardare un film diventato realtà, tra meme e preoccupazioni. È da rilevare, però, che a Rostov le colonne della Wagner in ritirata sono state salutate da alcuni gruppi, piccoli in verità, di cittadini che hanno inneggiato alla compagnia e omaggiato Prigozhin, e allo stesso tempo si sono avute perquisizioni e irruzioni delle forze dell’ordine nelle case di ex combattenti e di parenti di mercenari in guerra in alcune regioni. Nessuna mobilitazione si è avuta a favore di Putin o del governo, sintomo di come le interpretazioni della società russa come un monolite, unito dal consenso verso il presidente e la guerra, si dimostrino fuorvianti e non tengano conto del livello di repressione presente e dell’atomizzazione dovuta a anni di depoliticizzazione promossa dal Cremlino e dalle sue politiche socioeconomiche.
I due principali colpevoli individuati da Prigozhin, ormai da tempo suoi nemici personali, il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di Stato maggiore, comandante delle forze impiegate nell’operazione speciale, Valery Gerasimov, non hanno commentato la marcia su Mosca né sono apparsi in pubblico. Sono apparse notizie non verificate, molte inventate di sana pianta, sugli arresti dei due, addirittura si è scritto del suicidio di Shoigu, circostanza al momento assai fantasiosa. L’attuale ministro della Difesa ha diretto per vent’anni il dicastero della Protezione civile, di cui è stato il primo dirigente nella nuova Russia post-sovietica, rendendola un efficiente strumento fedele a Eltsin (che concesse l’armamento dei suoi membri), e ha avuto un importante ruolo politico nel guidare i partiti pro-Cremlino, prima Nostra casa è la Russia e poi Russia Unita, di cui è stato uno dei fondatori. Shoigu ha quindi una storia politica precedente all’età putiniana, dove ha dovuto affrontare le crisi degli anni Novanta e le varie emergenze, riuscendo sempre a uscirne senza danni. Lo stato delle forze armate e gli insuccessi nella guerra in Ucraina vengono imputati alla gestione del dicastero, ritenuta corrotta anche da osservatori e attivisti lontani da Prigozhin, ma ottenere l’estromissione di Shoigu e Gerasimov come rivendicato dalla Wagner appare nel brevissimo periodo improbabile per la tendenza di Putin a non cambiare la propria linea e i propri uomini sulla base di pressioni esterne.
Chi ha vinto, allora, sabato? Quel di certo è che lo sgretolamento della verticale del potere, a cui son stati dedicati vari testi su Valigia Blu, ha conosciuto un’accelerazione importante, dovuta anche a come è stata affrontata la ribellione: gli appelli di Suvorikin e Alekseev, seguiti dalla visita di quest’ultimo e del viceministro Evkurov a Rostov; il messaggio di Putin dove si proclamava nessuna pietà per i rivoltosi; l’offerta dell’Fsb agli uomini della Wagner di consegnare o eliminare Prigozhin in cambio della propria sicurezza; e, infine, le trattative tra Lukashenko e il ras della compagnia privata. Segnali diversi, sintomo del disorientamento nell’establishment dovuto anche alle reazioni di Putin. Il presidente si è rifiutato di parlare con Prigozhin e il suo atteggiamento è stato definito da fonti interne al potere quello di uno zar, che non si abbassa a trattare con un semplice cittadino, forse ritenuto ancora l’oste dei lussuosi ristoranti pietroburghesi.
Il problema è però che a rendere la Wagner un attore rilevante nella società russa è stata proprio la protezione di Putin, di cui la compagnia mercenaria ha goduto fino alla presa di Bahmut. È stato Putin a permettere a Prigozhin di andare nei penitenziari e nelle colonie penali a reclutare i detenuti, graziati con decreti presidenziali opportunamente secretati; un anno fa, il 24 giugno 2022, su iniziativa del leader l’imprenditore ha ricevuto la stella di Eroe della Russia, la più prestigiosa decorazione statale, ma in segreto. Anche nell’avallare l’invio di miliziani ceceni a riprendere Rostov emerge la logica dell’outsourcing poco prima adottata con la Wagner, con effetti deleteri per il monopolio della forza, una delle caratteristiche essenziali del potere statale.
L’assenza di una reazione immediata, la trasmissione di un messaggio registrato a dodici ore dall’inizio delle manovre dei mercenari, la mancanza di altre dichiarazioni e apparizioni in pubblico anche in seguito al dietrofront sono ulteriori sintomi, che in queste ore pongono in più di una delle figure ai vertici dell’apparato statale e del mondo economico dubbi sulla capacità di Putin di riuscire a essere figura di mediazione e direzione. È altamente improbabile che vi sia un’uscita di scena del presidente, ma la dinamica, a poco meno di un anno dalle presidenziali, potrebbe essere di una ridefinizione degli equilibri nei rapporti all’interno del potere, e vede la sua figura indebolita in un contesto di crescente tensione, dovuta alle pressioni della guerra e delle sue conseguenze all’interno della Russia.
Ha vinto Prigozhin? L'obiettivo di riuscire a scalzare Shoigu e Gerasimov, ad ora, non è stato raggiunto, e, tranne pochi casi di qualche decina di soldati e volontari, non vi sono stati passaggi di reparti dell'esercito regolare alla Wagner. Se riuscisse però ad ottenere la promessa chiusura del procedimento penale aggiunge un'ulteriore contraddizione nel sistema russo, dove le proteste pacifiche vengono represse duramente, ma uomini armati diretti verso la capitale non rischiano nulla, e avere un proprio esercito privato sembra essere una garanzia per i propri interessi. Gli sviluppi futuri dello sgretolamento della verticale del potere, però, potrebbero avere come esito non la nascita di un processo democratico, ma un’intensificazione della crisi con lo scontro di bande armate sostenute dai vari potentati economici e d’apparato, in grado di produrre ulteriori, tragiche, deflagrazioni in una società profondamente divisa e disillusa.
Immagine in anteprima via The Manila Times