Il climatologo Michael Mann: “Aziende inquinanti e istituzioni ostacolano la transizione ecologica proponendo false soluzioni”
3 min letturaPubblichiamo un estratto dell'intervista al climatologo Michael Mann pubblicata da Altreconomia. Qui per abbonarsi alla rivista
Nel saggio “La nuova guerra del clima” (Edizioni Ambiente, 2021), il climatologo statunitense Michael Mann affronta le insidiose tattiche messe in campo dalle aziende del fossile per ritardare la transizione ecologica. La nuova guerra del clima non è più contro chi nega la realtà dei cambiamenti climatici, ma contro quelli che chiama gli “inattivisti”, coloro che mirano a deviare l’attenzione dalle misure necessarie e a focalizzarsi su false soluzioni.
Il nuovo libro di Mann è una vera e propria guida che insegna a districarsi tra le trappole di chi si proclama “ecomodernista” e propone la geoingegneria come soluzione, di chi fomenta sfide di “purezza” tra chi adotta lo stile di vita più ecologico o ancora di chi si dispera perché “ormai non c’è più tempo”. Sono queste, secondo lo scienziato, le strategie degli “inattivisti”, che hanno un solo obiettivo: distogliere l’attenzione dal cambiamento sistemico e fare in modo che si possa continuare a bruciare combustibili fossili.
Celebre in tutto il mondo per aver elaborato il grafico della “Mazza da hockey” -che ha mostrato per la prima volta con l’efficacia visiva l’inequivocabilità del riscaldamento globale ed è diventato un’icona nel dibattito sui cambiamenti climatici-, Mann si difende dagli attacchi dei negazionisti del clima da trent’anni. Ne “La nuova guerra del clima”, mette in campo non solo il rigore scientifico che ha fatto di lui uno degli scienziati contemporanei più influenti al mondo, ma anche l’esperienza che deriva da anni di battaglie in prima linea, che lo hanno obbligato a sapersi destreggiare abilmente nell’arena mediatica, dove gli stessi ambientalisti spesso diventano prede facili delle nuove strategie degli “inattivisti”.
Se prima le industrie fossili negavano il problema, sono passate poi a una strategia di diffusione del dubbio fino ad arrivare a ciò che lei ha chiamato “inattivismo”. Che cos’è successo negli ultimi 30 anni?
MM È successo che gli impatti dei cambiamenti climatici sono diventati troppo evidenti, tanto da non rendere più credibile un negazionismo esplicito. Ma le aziende inquinanti, e gli individui e le istituzioni che le supportano e le legittimano (quelli che io chiamo gli “inattivisti”), non hanno adottato azioni per il clima. Hanno semplicemente iniziato a usare nuove tattiche, come cercare di ritardare le politiche, creare delle divisioni interne tra ambientalisti, far credere che sia troppo tardi per agire o spostare l’attenzione verso soluzioni illusorie. Lo sforzo è diretto a mantenere la nostra dipendenza dai combustibili fossili ed evitare la necessaria transizione verso le energie pulite.
Lei scrive che attualmente “il catastrofismo rappresenta una minaccia più grande per l’azione climatica rispetto alla negazione totale”. Perché?
MM Il catastrofismo e la perdita di speranza possono spingere le persone sulla stessa strada dell’inazione a cui vuole portare il negazionismo. Se crediamo che sia troppo tardi per fare qualcosa per combattere i cambiamenti climatici (il che è falso), perché dovremmo agire? Gli inattivisti alimentano la fiamma del catastrofismo nella speranza che releghi la gente nelle retrovie quando invece dovrebbe stare in prima linea a pretendere azioni sul clima. [...]
Un’altra strategia degli inattivisti è concentrarsi sulle “soluzioni non soluzioni”. Ci può fare un esempio?
MM Uno dei migliori esempi è la geoingegneria, che consiste nell’iniezione di particelle di zolfo nella stratosfera per far riflettere la luce del sole indietro nello spazio, oppure nella cattura e sequestro di CO2. Si tratta della promessa di una soluzione tecnologica risolutiva per il futuro, di fatto un espediente che permetterebbe alle aziende fossili e ai politici di lavarsene le mani e continuare con il business as usual.
Immagine anteprima Reason4Reason, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons