Rifugiato eritreo scambiato per un trafficante di migranti: il giornalista italiano del Guardian scopre l’errore giudiziario, il pm gli fa causa
5 min letturaDella vicenda kafkiana in cui è rimasto coinvolto il giornalista del Guardian Lorenzo Tondo, intercettato dalla Procura di Palermo nel caso giudiziario che stava coprendo per la sua testata, avevamo parlato in questo articolo. La storia ora si arricchisce di nuovi capitoli. Peccato, però, non si tratti di un romanzo.
Per il Guardian Tondo stava seguendo il cosiddetto caso “Mered”, un caso giudiziario riguardante l’arresto di un pericoloso trafficante di migranti eritreo, Medhanie Yehdego Mered, meglio noto come “Il Generale”.
Nel giugno 2016, la Procura di Palermo, in collaborazione con la National Crime Agency (NCA) britannica, aveva annunciato di aver arrestato proprio Medhanie Yehdego Mered, accusato di guidare un’organizzazione con base in Libia che gestiva il traffico di migranti eritrei verso l’Europa. Nei suoi articoli, però, Tondo aveva individuato degli elementi che mettevano in discussione le conclusioni cui era giunta la Procura di Palermo e aveva avanzato l’ipotesi che l’uomo finito in carcere non fosse il pericoloso trafficante di migranti, Medhanie Yehdego Mered, ma Medhanie Tesfamariam Behre, un richiedente asilo che mungeva vacche in Sudan prima di provare a raggiungere l’Europa. Insomma, c’era stato uno scambio di persona e quello che NCA e Procura di Palermo nel 2016 avevano definito “l’arresto dell’anno” sembrava configurarsi come un errore giudiziario.
Nei mesi successivi, Tondo continua a scrivere sul quotidiano britannico portando alla luce sempre più aspetti che facevano propendere per l’errore giudiziario: i racconti della famiglia dell’imputato, i dati provenienti dal controllo del suo profilo Facebook, persino la testimonianza della moglie del vero trafficante, Medhanie Yehdego Mered, supportavano l’ipotesi dello scambio di persona e che in carcere ci fosse il Medhanie sbagliato.
La Procura, però, andava avanti per la sua strada e Lorenzo Tondo continuava a seguire il caso. Finché, nel novembre 2017, durante un’udienza in tribunale, il giornalista del Guardian ha scoperto di essere stato intercettato e che alcune conversazioni registrate (con una sua fonte giornalistica) erano state ritenute rilevanti nel caso “Mered”, nonostante, leggendo gli scambi inseriti nel documento depositato dal pubblico ministero, quanto riportato sembrava del tutto irrilevante dal punto di vista investigativo. Un atto che Tondo all’epoca aveva definito lesivo del diritto di cronaca e del suo mestiere di giornalista.
Nel frattempo le prove che avvalorano la tesi dell’errore di persona diventano sempre più consistenti. Nel maggio 2018 arriva anche il test del DNA della moglie e del figlio di Mered e dell’uomo in carcere, Medhanie Tesfamariam Berhe, che sembra cancellare ogni dubbio. Fino all’estate del 2019 quando il giudice Alfredo Montalto della seconda sezione della Corte d’Assise emette la sentenza di scarcerazione. Behre viene condannato a 5 anni per aver contattato un trafficante per aiutare suo cugino Samson Gherie a raggiungere la Libia, ma non era Mered. Avendo già trascorso 3 anni in carcere, viene disposta la sua scarcerazione immediata. Ad agosto 2019 viene accolta la sua domanda di asilo politico e Behre può lasciare il Centro per i rimpatri di Pian del Lago a Caltanissetta.
Nella sua relazione di oltre 400 pagine, la Corte di Assise ha parlato di “grave negligenza”. Secondo i giudici, in alcuni casi le accuse dei pubblici ministeri “sono apparse palesemente inconsistenti e inadeguate”. I dubbi sollevati da Lorenzo Tondo – che sul caso nel 2018 ha pubblicato il libro “Il generale” – erano, dunque, fondati.
Ma la parola fine di tutta questa vicenda non è stata ancora scritta.
I pm hanno presentato un appello contro la sentenza della Corte di Assise. Le nuove udienze sono iniziate il 27 ottobre e la sentenza è attesa per febbraio 2022.
Tra dicembre 2019 e gennaio 2020, l’allora pubblico ministero, Calogero Ferrara, diventato ora procuratore delegato nella nuova “procura europea”, ha intentato due querele per diffamazione nei confronti di Tondo per un post su Facebook e per una serie di articoli pubblicati sul Guardian che, secondo Ferrara, conterrebbero informazioni inesatte. La prima udienza per una delle due querele è stata fissata per il 2 febbraio 2022. Il procuratore ha citato in giudizio anche Repubblica e la giornalista Romina Marceca per la sua copertura del processo.
La scorsa settimana le due querele per diffamazione del pm Ferrara sono state segnalate dalla Federazione europea dei giornalisti (EFJ) e e dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) sulla Piattaforma del Consiglio d’Europa per la sicurezza dei giornalisti (creata nel 2015 “per promuovere la tutela del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti”) come potenziali atti di “molestia e intimidazione”. La segnalazione del caso è stata inserita nella categoria "persecuzioni e intimidazioni nei confronti dei giornalisti" attribuibili allo Stato. Nell'ultimo anno, riporta la Piattaforma del Consiglio d'Europa, ci sono state 213 segnalazioni in 33 paesi diversi. In 79 casi c’è stata una risposta del governo coinvolto. Nessuna delle segnalazioni finora è stata “risolta”. L’Italia non ha ancora risposto alla segnalazione su Lorenzo Tondo.
“Sebbene il tentativo di mediazione obbligatoria si sia concluso il 5 novembre 2020, il pm Ferrara ha aspettato quasi un anno prima di confermare le azioni legali che sono state notificate poco prima dell'inizio del secondo processo ‘Mered’. Secondo i critici, questa potrebbe essere una mossa strategica per intimidire e impedire a Tondo di seguire le nuove udienze”, si legge nella segnalazione.
"Secondo il Consiglio d’Europa questa mossa denoterebbe un uso malevolo dello strumento giudiziario, non più volto ad ottenere giustizia ma a mettermi un bavaglio, perché da quando è iniziata tutta questa vicenda giudiziaria, per ragioni di “prudenza” non ho più potuto scrivere sul caso 'Mered' per il Guardian. Non solo, la citazione in giudizio arriva a pochi mesi dalla sentenza di appello del processo 'Mered'", ha scritto Lorenzo Tondo in un post su Facebook. "Quando lavori a un’inchiesta, quando ci metti il cuore, veramente, essa ti seguirà fino alla fine dei tuoi giorni. Nel bene e nel male. Perché se da un lato essa ha avuto un impatto positivo su una o più persone, dall’altro, irrimediabilmente, quell’inchiesta avrà dato certamente fastidio a qualcuno. Avrà scombussolato i suoi piani. Li avrà magari stravolti. Io sono di certo un privilegiato, perché posso contare sul supporto legale del Guardian. Ma penso a tutti quei cronisti, precari, sottopagati, costretti a fare i conti con le querele temerarie in giro per l’Italia, senza alcun appoggio. Questa battaglia che porteremo avanti è anche per loro. Perché siamo stanchi delle vostre intimidazioni".
La federazione nazionale della stampa italiana e altre organizzazioni internazionali hanno espresso solidarietà a Lorenzo Tondo.
“Criticare un pm in Italia è rischioso. Se un giornalista osa farlo, è probabile che il pubblico ministero lo querelerà per diffamazione e lo costringerà a difendersi in tribunale e a sostenere le relative spese”, ha detto al Guardian Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno per l'informazione, organizzazione nata per difendere i diritti dei giornalisti. “Eventi di questo tipo non sono rari e mettono in seria difficoltà i giornalisti. Ossigeno per l'informazione continuerà a sostenere Lorenzo Tondo in questa battaglia legale e continuerà a farlo, al fianco del Guardian e della community dei giornalisti europei».
Ossigeno per l’Informazione ha anche comunicato di aver assunto la difesa di Lorenzo Tondo e di averla affidata all’avvocato Andrea Di Pietro per i post pubblicati su Facebook. Anche il Guardian ha scelto l’avvocato Di Pietro per difendere Tondo per gli articoli pubblicati sulla testata giornalistica inglese.
«Il caso di Lorenzo Tondo è emblematico delle difficoltà che vive oggi il giornalismo indipendente in Italia», commenta a Domani Andrea Di Pietro. Per l’avvocato, Ferrara ha deciso di «trascinarlo in giudizio senza il suo giornale, per farlo sentire ancora più isolato e debole rispetto al potere dello Stato. Ma il Guardian non ha abbandonato il suo giornalista: gli resterà accanto, dando dimostrazione di cosa vuol dire difendere veramente, su tutti i campi, la libertà di stampa».
Contattato dal Guardian, il pm Ferrara ha dichiarato di aver chiesto al suo legale di commentare la vicenda.
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