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Londra, Hong Kong, Mosca, Islamabad: migliaia di cittadini in piazza in difesa dei principi democratici

2 Settembre 2019 16 min lettura

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Londra, Hong Kong, Mosca, Islamabad: migliaia di cittadini in piazza in difesa dei principi democratici

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di Arianna Ciccone e Roberta Aiello

Londra: in migliaia contro la decisione di chiudere il Parlamento

Migliaia di manifestanti venerdì scorso hanno occupato le strade in diverse città del Regno Unito. Alcune parti del centro di Londra sono state bloccate da persone che protestavano contro il premier conservatore al grido: "Boris Johnson vergognati". In molti hanno manifestato anche davanti al numero 10 di Downing Street, sede del Governo.

Un gruppo su Facebook, che ha lanciato Stop the coup, defend democracy davanti Downing Street – e che vede fra gli organizzatori il movimento anti-Brexit "Un'altra Europa è possibile" – ha detto: “Boris Johnson sta cercando di "chiudere" la nostra democrazia in modo da poter portare avanti il suo programma sulla Brexit. Non possiamo fare semplicemente affidamento sui tribunali o sul processo parlamentare per salvare la situazione. Tutti abbiamo il dovere di prendere posizione e contarci”.

Tra gli organizzatori delle proteste anche il movimento Momentum, l'organizzazione nata dal basso per sostenere la campagna di Jeremy Corbyn. La leader nazionale del movimento, racconta il Guardian, dal palco della manifestazione ha detto alla folla: "Questa è la nostra democrazia e non permetteremo a un primo ministro non eletto di fare questa mossa".


La decisione di Johnson, annunciata mercoledì, di chiudere il Parlamento ha scatenato la reazione furiosa di parlamentari e di chi si oppone a una Brexit senza accordo.

Se la sospensione sarà rispettata, il Parlamento resterà chiuso per 23 giorni lavorativi.

I critici, scrive la BBC, ritengono controversa durata e tempi della chiusura del Parlamento, che arriva poche settimane prima della scadenza della Brexit il 31 ottobre.

Il Primo Ministro può chiudere il Parlamento?
Sì. Il termine ufficiale è "proroguing". I parlamentari non possono votare per la sospensione. È un potere che spetta alla Regina, su richiesta del Primo Ministro.

Quindi Johnson può chiedere alla Regina di chiudere il Parlamento, riducendo drasticamente l'influenza dei parlamentari. Senza il Parlamento, i parlamentari non possono, ad esempio, votare una mozione di sfiducia al governo. Il passaggio di richiesta alla Regina è solo una formalità, se avesse rifiutato, sarebbe stata una decisione senza precedenti.

Quando viene chiuso normalmente il Parlamento?

Il Parlamento è normalmente sospeso una volta all'anno per un breve periodo, di solito ad aprile o maggio.

Durante questo periodo, – spiega la BBC – tutte le attività si fermano, quindi la maggior parte delle leggi che non hanno completato il loro iter parlamentare vengono annullate (anche se alcune possono essere ripresentate nella sessione successiva). In Parlamento non si tengono dibattiti e non si vota.

È normale che un nuovo governo chiuda il Parlamento, per tenere il cosiddetto Queen's Speech - Discorso della Regina, che annuncia il programma del governo per il prossimo anno.

Il periodo di tempo varia: nel 2016 il Parlamento è stato chiuso per quattro giorni lavorativi, mentre nel 2014 è stato chiuso per 13 giorni. Quest'anno il Parlamento verrebbe sospeso per circa 23 giorni lavorativi prima del discorso della Regina del 14 ottobre. Mentre la sospensione è normale, la tempistica in questo caso - afferma Maddy Thimont-Jack dell'Institute for Government - è "chiaramente molto controversa".

Perché in questo caso la decisione è controversa?

Si legge sempre sul sito della BBC: oltre a ridurre il potere del Parlamento eletto rispetto a una decisione importante, potrebbe anche rendere più difficile la pianificazione di una Brexit senza accordi. Questo perché il primo ministro - senza un parlamento attivo - non potrà approvare leggi per attutire l'impatto del no deal.

La sospensione del Parlamento sebbene prevista dalla Costituzione dunque è fortemente controversa considerando il contesto in cui è stata decisa: il dibattito su Brexit e il rischio di una uscita dall'Europa senza accordo. Ecco perché la mossa di Johnson è stata fortemente criticata, perché discutibile dal punto di vista dell'opportunità politica: in questo modo il potere del Parlamento, che dovrebbe essere centrale, viene decisamente ridimensionato. Con così poco tempo a disposizione per i parlamentari sarà difficile impedire al Regno Unito di lasciare l'Ue senza un accordo.

Cosa accadrà quindi?

Il Parlamento tornerà al lavoro il prossimo 3 settembre, ma poi andrà in pausa. Se Johnson andrà avanti con la sua decisione, il Parlamento riaprirà il 14 ottobre, a sole due settimane e mezzo prima dell'uscita del Regno Unito dalla Unione europea. Però se i parlamentari riescono a far passare una mozione di sfiducia prima del 10 settembre, potrebbero esserci elezioni generali anticipate a ottobre.

Le proteste si sono svolte in oltre 30 città del Regno Unito, tra cui Edimburgo, Belfast, Cambridge, Exeter, Nottingham, Liverpool, Manchester e Birmingham.

A Londra è stato bloccato il traffico a Whitehall e nel West End.

Un sit-in di protesta è stato organizzato anche a Trafalgar Square, prima di marciare verso Buckingham Palace gridando: "Di chi è questa democrazia? Nostra!".

La polizia ha dichiarato di aver effettuato tre arresti ma non ha fornito ulteriori dettagli.

Il partito dei Verdi ha dichiarato che Caroline Russell, membro dell'Assemblea di Londra, è stata arrestata.

Ascoltata dalla BBC, Bridie Walton, una farmacista di 55 anni, ha dichiarato di non essere mai stata a una manifestazione prima, ma si è unita alla protesta di Exeter per opporsi al piano di Johnson. "Queste sono le azioni di un uomo che ha paura che i suoi argomenti non reggano a un esame approfondito". A Liverpool, Paula Carlyle si è detta orgogliosa di stare al fianco dei manifestanti "che hanno votato sia Remain che Leave". "Nessuno potrà farci tacere, senza di noi Johnson non ha alcun potere e continueremo a mostrare il nostro potere fino a quando Johnson non sarà fermato."

A Oxford, una folla si è radunata fuori Balliol College, dove Johnson ha studiato all'università.

Secondo l'opposizione la decisione di Johnson è un attacco alla democrazia. Jeremy Corbyn, leader del partito laburista, parlando alla manifestazione di Glasgow, ha sottolineato che il messaggio dei manifestanti al primo ministro è chiaro: "In nessun modo ci porterà fuori dall'Europa senza un accordo".

Il Cancelliere dello Scacchiere, Sajid Javid, intervenendo al programma "Today" di BBC Radio 4, ha difeso la decisione del primo ministro di sospendere il Parlamento: "È abbastanza normale in questo periodo dell'anno che il Parlamento entri in una fase di pausa. È perfettamente corretto e appropriato prorogare il Parlamento".

Nel frattempo, una petizione contro la decisione del primo ministro di sospendere il Parlamento ha raggiunto oltre un milione e mezzo di firme.

E venerdì, l'ex primo ministro dei Tory (il partito di Boris Johnson), John Major, ha annunciato che si unirà alla campagna anti-Brexit di Gina Miller per opporsi in tribunale alla decisione di sospendere il Parlamento.

La mossa di Johnson di sospendere il Parlamento, secondo Major, mira a impedire ai parlamentari di opporsi a una Brexit senza accordo.

Il primo ministro ha respinto l'accusa di voler sospendere il Parlamento per forzare la decisione di una Brexit senza accordo, definendola "completamente falsa". Ma per la sua decisione ha scatenato diverse critiche anche all'interno del suo stesso partito.

Nei prossimi giorni sono in programma altre proteste, così come riportato dal Guardian sono stati annunciati eventi in oltre 30 città.

Hong Kong: tredicesima settimana di proteste per la democrazia

Domenica 1 settembre migliaia di manifestanti hanno bloccato strade e mezzi di trasporto pubblico che conducono all'aeroporto di Hong Kong per attirare l'attenzione internazionale sulle proteste pro-democrazia giunte alla tredicesima settimana, provocando il ritardo di arrivi e partenze dei voli e la sospensione dei treni. I passeggeri hanno potuto raggiungere l'aeroporto esclusivamente a piedi.

Migliaia di manifestanti che avevano circondato l'ingresso si sono allontanati dopo l'intervento della polizia. La protesta si è conclusa senza incidenti a differenza di quanto accaduto nella giornata precedente.

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Sabato 31 agosto, infatti, migliaia di manifestanti sono scesi in strada organizzando una marcia definita religiosa (per sfuggire al divieto imposto dalle autorità) che si è conclusa con scontri durati ore, in diverse zone della città, con la polizia che ha sparato gas lacrimogeni e usato cannoni ad acqua con vernice blu per identificare i dimostranti, alcuni dei quali hanno incendiato barricate e lanciato molotov e pietre.

[via hk.appledaily.com]

Secondo quanto riferito da Al Jazeera alcuni manifestanti vestiti di nero si sono radunati in uno stadio nel centro di Hong Kong, prima di scappare e dirigersi verso il quartier generale della polizia nel centro di Wan Chai, dove poi sono iniziati gli scontri.

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Successivamente una parte di manifestanti ha circondato, nonostante le barricate, la sede del governo e il complesso del Consiglio legislativo, abbattendo con pali di metallo una recinzione e lanciando mattoni contro la polizia antisommossa che sorvegliava l'interno, mentre altri miravano agli agenti con puntatori laser.

Durante la notte tra sabato e domenica, i dimostranti si sono allontanati attraverso il porto fino a Kowloon, raggiungendo il centro turistico di Tsim Sha Tsui, appiccando incendi lungo l'arteria commerciale principale di Nathan Road e le sue strade laterali.

A tarda notte, un video trasmesso dall'emittente televisiva di Hong Kong TVB ha mostrato un durissimo intervento della polizia all'interno della stazione della metropolitana Prince Edward in cui si vedono agenti colpire con manganelli i passeggeri, anche all'interno delle carrozze.

In un altro video pubblicato dal Guardian si vede la polizia fare uso di spray al pepe e fucili a pallettoni.

Nonostante i collegamenti della metropolitana fossero stati bloccati in diverse stazioni durante il giorno per un'ordinanza che sospendeva i servizi per impedire ai manifestanti di trovarvi riparo o di spostarsi da una zona all'altra, alcune fermate, tra cui quelle di Wan Chai, Causeway Bay, Fortress Hill, Mong Kok e Tin Hau, sono state vandalizzate.

La massiccia manifestazione di sabato coincideva con il quinto anniversario della decisione con cui è stato negato cinque anni fa ai residenti dell'ex colonia britannica il suffragio universale che contribuì a scatenare le proteste del movimento Occupy.

Durante le proteste di sabato, nei pressi di Victoria Park, a Causeway Bay, agenti della polizia hanno sparato in aria due colpi di avvertimento per spaventare un gruppo di manifestanti che li avrebbero circondati, cercando di rubare le loro pistole. È la seconda volta, nel corso di tre mesi di proteste, che sono stati usati colpi di arma da fuoco.

In una conferenza stampa tenutasi domenica – come racconta South China Morning Post – il sovrintendente Tsui Suk-yee ha dichiarato che 63 persone sono state arrestate, di cui 54 uomini e nove donne, di età compresa tra 13 e 36 anni. I manifestanti sono stati arrestati per atti di vandalismo, possesso di armi, raduno illegale e possesso di sostanze esplosive. Non si escludono ulteriori arresti. Tsui ha anche detto che un ragazzo di 13 anni è stato trovato alla stazione di Prince Edward in possesso di due bombe molotov e due accendini.

"Non siamo d'accordo con le accuse secondo cui gli agenti di polizia sono entrati nelle stazioni della metropolitana per picchiare le persone", ha dichiarato un portavoce della polizia, respingendo categoricamente le accuse di essersi comportati come "criminali" e aver aggredito i pendolari indiscriminatamente.

"Gli agenti hanno utilizzato la loro esperienza professionale per distinguere i manifestanti che si erano cambiati i vestiti dai normali pendolari".

Come riportato da BBC News, Eric uno studente manifestante di 22 anni intervistato dalla Reuters ha dichiarato: "Dirci di non protestare è come dirci di non respirare. Sento che è mio dovere combattere per la democrazia. Forse vinciamo, forse perdiamo, ma combattiamo".

Già venerdì era stata una giornata di forti tensioni per l'arresto di massa di alcuni attivisti, ma non solo. Come spiega Simone Pieranni sul Manifesto:

Le autorità dell’ex colonia britannica hanno infatti arrestato alcuni tra gli attivisti più in vista dei movimenti protagonisti delle proteste che ormai da quasi quattro mesi scuotono la città. Due di loro, probabilmente i più noti anche a livello internazionale, Joshua Wong e Agnes Chow sono già stati liberati con la cauzione. Non bastassero gli arresti, l’agenzia Reuters ha svelato come già quest’estate la governatrice della città Carrie Lam avesse sottoposto a Pechino un piano per negoziare con i manifestanti a partire dalla concessione circa il ritiro definitivo della legge sull’estradizione che, nominalmente, ha dato inizio a tutta l’ondata di manifestazioni, proponendo di accettare anche la richiesta per un’indagine sulle violenze della polizia. Mediazione che Pechino non avrebbe accettato.

Quello che sta accadendo sul campo, secondo Pieranni, segna uno spartiacque tutto da capire nella vicenda che da mesi ha portato Hong Kong all’attenzione mondiale. Sarà sempre più difficile arrivare a un compromesso.

Intanto dopo i violenti scontri di questo fine settimana, studenti delle scuole secondarie e universitari hanno cominciato a boicottare la scuola. In molti credevano che l'inizio della scuola avrebbe segnato anche la fine delle manifestazioni, scrive il Guardian. Invece, secondo gli organizzatori, circa 9000 studenti avrebbero partecipato al boicottaggio delle lezioni. Studenti della scuola secondaria si sono inginocchiarsi fuori dalle loro scuole, tenendosi per mano e intonando slogan sotto la pioggia. A Kowloon, dozzine di studenti e ex studenti stavano fuori da una scuola secondaria cristiana, lo Ying Wa College, alle 7 del mattino gridando: “Hong Kong libera! È ora della Democrazia!”. Gli studenti, vestiti con l'uniforme scolastica e l'elmetto protettivo, le maschere e gli occhiali, hanno pianificato di boicottare la cerimonia di apertura dell'anno scolastico. Intanto i media cinesi avvertono: "La fine [di queste proteste] sta arrivando".

Mosca: i cittadini chiedono libere elezioni sfidando il divieto di manifestare

[foto: Evan Gershkovich/MT]
Sabato 31 agosto, migliaia di cittadini sono scesi ancora una volta in piazza nel centro di Mosca per chiedere nuovamente lo svolgimento di elezioni comunali libere, previste per domenica prossima 8 settembre, sfidando un divieto che durante le scorse proteste ha causato numerosi arresti. Durante questa manifestazione nessun partecipante è stato fermato.

Cantando slogan come "La Russia sarà libera!" e "Questa è la nostra città!", i dimostranti hanno sfilato in una delle strade principali della capitale russa.

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Come già accaduto durante i precedenti cortei i manifestanti hanno chiesto che i circa 30 candidati dell'opposizione, esclusi dalla commissione elettorale che ha ritenuto false molte firme raccolte affinché potessero partecipare alle consultazioni, siano reinseriti nelle liste e che gli attivisti arrestati in occasione dei raduni precedenti siano rilasciati.

Lyubov Sobol, candidata dell'opposizione esclusa dalla competizione elettorale e più volte arrestata prima di poter partecipare alle proteste che si sono svolte nelle settimane scorse, ha definito gli arresti un "caos" determinato dall'amministrazione comunale e dall'ufficio di Putin.

"Sobyanin deve dimettersi", ha dichiarato Sobol nel corso della manifestazione, riferendosi al sindaco di Mosca e alleato di Putin Sergei Sobyanin.

Secondo quanto riportato dalla Reuters il Cremlino ha definito le proteste insignificanti ma ha sostenuto l'azione di contrasto della polizia. Ad agosto l'autorità russa per le comunicazioni ha chiesto a Google di interrompere la pubblicità di "manifestazioni di massa non autorizzate" su YouTube.

"Grazie a tutti coloro che hanno preso parte oggi a una marcia pacifica nel centro di Mosca contro la repressione politica e l'esclusione dei candidati indipendenti dalle elezioni!", ha scritto Sobol in un tweet. "Diventa anche tu un osservatore alle elezioni, partecipa al "Voto Intelligente" e non aver paura! Vinceremo!".

https://twitter.com/SobolLubov/status/1167783928238940160

Il "Voto Intelligente" menzionato da Sobol - come scrive The Moscow Times - sembrerebbe essere il motivo per il quale ci sia stata, nel corso delle ultime settimane, una brusca flessione del numero dei partecipanti alle proteste. Il piano di Alexei Navalny, il più noto oppositore del Cremlino, punterebbe infatti ad un voto strategico che avrebbe l'obiettivo di sconfiggere Russia Unita, il partito del presidente russo Vladimir Putin.

"Dobbiamo smettere di contare continuamente le persone presenti alle manifestazioni e ricordare, invece, l'obiettivo per cui tutto questo è iniziato", ha scritto il leader dell'opposizione in un post all'inizio di agosto. "Non abbiamo bisogno di organizzare la più grande manifestazione - se accadesse sarebbe fantastico - ma di sconfiggere alle prossime elezioni il partito al potere".

Navalny, che ha dichiarato in un tweet di non aver partecipato alla protesta di sabato per evitare di essere nuovamente arrestato prima delle elezioni del prossimo fine settimana, aveva scritto il post mentre si trovava in prigione per scontare una pena di 30 giorni per aver invitato le persone a partecipare a manifestazioni non autorizzate.

Gli organizzatori delle manifestazioni - per la maggior parte candidati dell'opposizione esclusi dalla prossima competizione elettorale - sono stati quasi tutti arrestati e rilasciati, mentre alcuni sono tuttora reclusi. Durante la mattinata di sabato, Yulia Galyamina, una delle candidate, è stata rilasciata dopo aver trascorso 35 giorni in carcere.

Dopo l'apertura di un procedimento penale per “disordini di massa” da parte del Comitato investigativo russo relativo alle proteste organizzate a luglio, oltre agli organizzatori dei raduni sono state arrestate almeno altre 14 persone, tra cui tre studenti, che rischiano una pena detentiva fino a otto anni.

Proprio sabato mattina, la polizia ha perquisito l'appartamento di uno dei tre studenti detenuti, Yegor Zhukov, 21 anni. Nella stessa giornata mentre i manifestanti marciavano, il giornale Novaya Gazeta pubblicava una sua lettera scritta dal carcere.

"Con l'obiettivo di intimidire la società, le autorità la incattiviscono soltanto", scrive Zhukov. "Nel tentativo di ridurre le proteste, aiutandosi con casi inventati, le aumentano solo".

"Kashmir hour": in Pakistan le manifestazioni di solidarietà a sostegno dei Kashmiri

Decine di migliaia di cittadini sono scesi in piazza a Islamabad e non solo, manifestando in tutto il Pakistan in segno di solidarietà verso i Kashmiri.
Il primo ministro del Pakistan, Imran Khan, ha promesso di sollevare il caso delle presunte violazioni di diritti umani perpetrate dall'India nella regione contesa del Kashmir davanti alle Nazioni Uniti il mese prossimo.

 

[foto: Asad Hashim/Al Jazeera]

"Tutto il mondo dovrebbe stare dalla parte del Kashmir", ha dichiarato il primo ministro durante una manifestazione che ha visto la partecipazione di migliaia di persone fuori dal suo ufficio nella capitale Islamabad venerdì scorso, così come riportato da Al Jazeera. "Ma oggi devo dire, con tristezza, che quando c'è una ingiustizia nei confronti dei musulmani, allora la comunità internazionale e istituzioni come le Nazioni Unite che dovrebbero portare giustizia, rimangono in silenzio".

Il 5 agosto, l'India ha revocato uno status costituzionale speciale accordato al Kashmir amministrato dall'India, imponendo il blackout delle comunicazioni e dispiegando migliaia di truppe per reprimere i disordini nel territorio conteso fra i due Stati.

Il governo indiano afferma di aver revocato lo status costituzionale del Kashmir per rendere la regione più omogenea alle altre regioni indiane dal punto di vista economico e di gestione politica.

Proteste ci sono state anche in Kashmir, anche se per i media mainstream è estremamente difficile documentarle. Scrive Matteo Miavaldi sul Manifesto:

Tre funzionari di polizia hanno dichiarato ad Ap che, nelle ultime due settimane, nella valle ci sarebbero stati almeno 300 episodi di protesta, tra sassaiole e manifestazioni. In particolare a Srinagar, la principale città del Kashmir, da almeno 30 anni centro del movimento politico autoctono per il Kashmir indipendente.

Le forze di sicurezza locali hanno risposto alle proteste reprimendo i manifestanti per strada – a decine feriti da colpi a pallettoni – e procedendo a raid nelle case dei kashmiri. Più testate internazionali e indiane indipendenti hanno raccontato di forze dell’ordine che sfondano nelle abitazioni dei kashmiri demolendo mobili e arrestando gli uomini più o meno giovani delle famiglie.

Arresti preventivi che in valle, da anni, sono operazioni di routine in concomitanza con proteste o date simboliche del movimento indipendentista kashmiro. Al momento non ci sono ancora dati ufficiali sul numero di arrestati in Kashmir. Le stime vanno da diverse centinaia fino a oltre quattromila, con le autorità locali che sarebbero state costrette a spostare detenuti fuori dal Kashmir. Nelle prigioni locali non c’era più spazio.

Leggi anche >> Kashmir: carta, penna e motociclette. Così i giornalisti raccontano la repressione, sfidando la censura”

Diverse manifestazioni coordinate si sono svolte in tutto il Pakistan in solidarietà con il Kashmir, dopo l'invito a manifestare del primo ministro Khan all'inizio di questa settimana.

Oltre alla protesta a Islamabad, si sono tenute importanti manifestazioni anche a Karachi, Lahore e Peshawar. Manifestazioni minori si sono svolte in altre città.

"Penso che le risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedono un referendum [in Kashmir] debbano essere rispettate", ha dichiarato ad Al Jazeera Babar Khan, 30 anni, insegnante che ha partecipato alla protesta a Islamabad. "Ciò che il popolo del Kashmir vuole dovrebbe essere rispettato. Se vogliono unirsi all'India, unirsi al Pakistan o essere indipendenti".

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In un commento ospitato dal New York Times il primo ministro del Pakistan ha lanciato l'allarme: "Il mondo non può ignorare il Kashmir: siamo tutti in pericolo. Se la comunità internazionale non farà nulla per fermare l'aggressione indiana al Kashmir e al suo popolo, due stati [India e Pakistan ndr] dotati di armi nucleari si avvicineranno sempre di più a uno scontro militare diretto".

Immagine in anteprima via Euronews

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