“Loggia massonica segreta Ungheria”: cosa sappiamo della vicenda che sta scuotendo la magistratura italiana
13 min letturaNelle ultime settimane, le notizie sulla presunta "loggia Ungheria" hanno portato sotto la luce dei riflettori dell'opinione pubblica vicende finora in chiaroscuro – tra segreti e rivelazioni – che vedono tra i protagonisti magistrati, uomini delle istituzioni e diversi faccendieri. Abbiamo ricostruito la storia sin dall'inizio, per cercare di fare ordine e capire esattamente di cosa stiamo parlando e la sua portata.
Per farlo bisogna iniziare dalla figura dell’avvocato siciliano Piero Amara, da cui è arrivata la testimonianza dell'esistenza di questa "loggia segreta Ungheria" che coinvolgerebbe diversi magistrati e svariate figure istituzionali e che sarebbe in grado di condizionare nomine di potere e affari. Amara è da anni al centro di inchieste giudiziarie, giornalistiche e processi. Nel 2017 l’Espresso lo definisce “l’uomo dei dossier e dei depistaggi”, con “uno studio con sede nella Capitale e a Dubai”, e con ruolo cardine in un “sistema di relazioni tra consiglieri di Stato e aziende che partecipano ad appalti milionari”. L’anno successivo viene arrestato insieme ad altre 14 persone in un’operazione congiunta tra la Procura di Roma e quella di Messina per due associazioni a delinquere dedite alla frode fiscale, reati contro la pubblica amministrazione e corruzione in atti giudiziari.
I casi riguardano sentenze pilotate al Consiglio di Stato e il cosiddetto “Sistema Siracusa” in cui Giancarlo Longo, ex pubblico ministero della città siciliana, secondo le indagini, per anni aveva messo a disposizione la sua funzione giudiziale, in cambio di soldi, per tentare di inquinare i processi dei colleghi magistrati e favorire i clienti degli avvocati coinvolti. Longo ha patteggiato successivamente cinque anni di carcere, le dimissioni dalla magistratura e l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici ed è stato condannato dalla Corte dei Conti a pagare duecentomila euro per il disservizio e centomila euro per il danno di immagine al ministero della Giustizia (l’avvocato di Longo ha presentato appello contro questa decisione).
Tra i procedimenti finiti nel “sistema Siracusa” risulterebbe anche quello della Procura di Milano sulla presunta corruzione internazionale da parte di Eni e Shell riguardante un blocco petrolifero in Nigeria (nel processo gli imputati sono stati assolti in primo grado). Nel 2015-2016 su input di Amara, all’epoca legale esterno dell’Eni, Longo avrebbe “messo su un’indagine, priva di qualunque fondamento, su un presunto e rivelatosi falso piano di destabilizzazione della società del cane a sei zampe e del suo ad Claudio Descalzi” con lo scopo, secondo gli inquirenti, di intralciare l’inchiesta della Procura di Milano, ricostruiscono i media. Su questo stesso filone indaga anche la Procura di Milano e tra gli indagati risulta anche Amara. Secondo l’inchiesta condotta dalla procuratrice aggiunta Laura Pedio e dal pubblico ministero Paolo Storari dal “gennaio 2015 sono stati incardinati procedimenti penali nei quali si accreditava la tesi (falsa) di un complotto organizzato ai danni di Descalzi da vari soggetti italiani e stranieri”. Procedimenti “avviati e coltivati da Piero Amara” e dai “suoi complici” “interessati a vario titolo a proteggere Descalzi”, coinvolto nel processo in corso sul caso Eni-Shell/Nigeria.
Come riassume Giuseppe Pipitone sul Fatto Quotidiano nelle indagini che vanno da Milano a Roma fino a Messina, “il nome del legale di Siracusa fa capolino più volte in decine di fascicoli in cui gli investigatori ricostruiscono un gigantesco reticolo di legami, contatti e relazioni. Una trama complessa in cui Amara è il regista occulto: sempre dietro le quinte, ma sempre motore di ogni tipo di affare”. Il legale siciliano risulterebbe coinvolto anche nelle vicende dell'ex pubblico ministero romano Luca Palamara, radiato dalla magistratura e accusato d'aver pilotato nomine in cambio di regali e favori (Palamara ha dichiarato in un’intervista all’inizio di maggio di non aver mai avuto rapporti con lui e di averlo incontrato una sola volta).
Nei procedimenti sulle sentenze pilotate al Consiglio di Stato e sul “Sistema Siracusa”, Amara patteggia una pena di 3 anni e un’altra di un anno e due mesi. Un cumulo di pene che lo porta di nuovo in carcere nel febbraio del 2020. Dopo l’arresto del 2018, Amara inizia però a collaborare con i magistrati. Dopo le sue dichiarazioni (e di Giuseppe Calafiore, altro avvocato coinvolto nell’inchiesta sul “Sistema Siracusa”) vengono aperte diverse indagini “tra cui quella sull’ex giudice del Consiglio di giustizia amministrativa siciliano, Giuseppe Mineo, accusato di corruzione in atti giudiziari e ritenuto un pezzo del Sistema Siracusa, e l’inchiesta per finanziamento illecito dei partiti, in cui è coinvolto l’ex senatore Denis Verdini”, spiega MeridioNews.
Amara collabora anche con i magistrati milanesi. Proprio durante un interrogatorio nel dicembre 2019 nell’inchiesta sul presunto falso complotto Eni/Nigeria, l’avvocato parla dell’esistenza della presunta “loggia segreta Ungheria”, di cui lui stesso avrebbe fatto parte da 15 anni. Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera scrive che Amara nel corso degli interrogatori dichiara ai magistrati Pedio e Storari che «nella loggia Ungheria ci sono vertici delle forze dell’ordine, politici, magistrati, imprenditori, avvocati. Ho una lista di 40 nomi ma quella ufficiale l’ha portata all’estero Calafiore». L’avvocato siciliano, prosegue la giornalista, “parla di un favore fatto all’allora presidente Giuseppe Conte «quando ancora faceva l’avvocato» (l'ex presidente del Consiglio ha dichiarato di non aver mai visto Amara in vita sua, ndr). Fa altri nomi, ma non consegna la lista”. Sempre secondo quanto riporta il Corriere, Amara avrebbe consegnato “alcuni files audio con la registrazione di colloqui «che — spiega — io stesso ho avuto e che provano l’esistenza della loggia». E per dimostrare la propria attendibilità aggiunge: «Ho materiale, anche video, per dimostrare i rapporti tra persone che pubblicamente negano addirittura di conoscersi»”.
Nei verbali di Amara viene citato più volte Michele Vietti, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura dal 2010 al 2015. Vietti sarebbe stato il suo capo diretto all’interno di questo loggia segreta. “L’ex numero due del Csm è torinese, ex sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi, aveva ingaggiato Caratozzolo come suo consigliere giuridico – raccontano su Domani Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian –. Vietti viene descritto come un uomo potente, capace di indirizzare – già quando era presidente della sezione disciplinare del CSM – provvedimenti su giudici e magistrati, trasferimenti, nomine degli uffici giudiziari. Secondo Amara, erano proprio Vietti e Caratozzolo, oltre al magistrato della Corte dei conti Luigi Caruso, i custodi della lista dei membri di Ungheria”. Tra i citati ci sono, tra gli altri, anche l’ex pm antimafia e membro del Consiglio superiore di magistratura (CSM) Sebastiano Ardita (descritto da Amara come suo sodale e non come membro della presunta loggia), l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, la ex presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro, l’ex Guardasigilli Paola Severino, il presidente della delegazione italiana della Fondazione Abertis.
Nelle dichiarazioni rilasciate in oltre dieci verbali da Amara ai magistrati ci sarebbero però contraddizioni, con circostanze tutte da verificare. I nomi citati dall’avvocato nei suoi interrogatori hanno inoltre smentito qualsiasi coinvolgimento. È stata negata anche l’esistenza di questa presunta loggia segreta. L’ex vice presidente del CSM Vietti ha affermato: «Non ho mai sentito nominare la loggia Ungheria. Sarà così segreta che la ignoro io stesso. È una barzelletta, escludo categoricamente ogni circostanza raccontata».
Alcuni mesi dopo le dichiarazioni rilasciate da Amara negli interrogatori, il 9 maggio 2020, la Procura di Milano indaga per associazione segreta Amara, il suo ex socio, Calafiore, e il suo ex collaboratore Alessandro Ferraro, riporta l’Ansa. Visto che però nei verbali vengono citati diversi magistrati in servizio a Roma e in altre città, il fascicolo viene trasferito alla procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, perché competente sui giudici in servizio nella capitale.
Il caso della presunta “loggia Ungheria” apre però anche uno scontro all’interno della Procura di Milano e della magistratura italiana. A fine ottobre 2020 a un giornalista del Fatto Quotidiano, Antonio Massari, arriva un plico contenente le copie dei verbali di Amara ai magistrati di Milano coperti da segreto, senza firma e timbri (e quindi fuoriusciti direttamente dai computer di uno degli inquirenti) e una lettera anonima in cui si accusa i pm milanesi di non aver indagato su quanto dichiarato dall’avvocato. Lo stesso contenuto lo riceve Liana Milella, giornalista di Repubblica. Entrambi i giornalisti presentano una denuncia, una alla Procura di Milano e un’altra a quella di Roma, perché non essendo firmati dai magistrati i documenti vengono ritenuti sospetti. La giornalista di Repubblica denuncia anche di essere stata contattata telefonicamente da una donna che le aveva preannunciato l’invio del dossier.
Oltre ai giornalisti, questi verbali sono stati spediti anche al CSM. Il 28 aprile scorso, Nino di Matteo, ex pubblico ministero di Palermo nel plenum del Consiglio superiore della magistratura dichiara di aver ricevuto nei mesi scorsi un «plico anonimo, tramite spedizione postale, contenente la copia informatica e priva di sottoscrizione dell’interrogatorio di un indagato risalente al dicembre 2019 dinanzi a un’autorità giudiziaria». Di Matteo spiega che nella lettera, arrivata insieme al faldone, c’era scritto che il verbale era «segreto». L’ex pm di Palermo specifica anche che «nel contesto dell’interrogatorio (di Amara) l’indagato menzionava in forma evidentemente diffamatoria, se non calunniosa, circostanze relative a un consigliere di questo organo» (il riferimento è a Sebastiano Ardita). Di Matteo afferma inoltre di aver riferito tutto alla Procura competente, cioè quella di Perugia ed esprime il timore che «tali dichiarazioni e il dossieraggio anonimo» possano «collegarsi a un tentativo di condizionamento» dell’attività del CSM.
A inviare questi plichi anonimi, secondo le indagini della Procura di Roma, in base a quanto emerge, sarebbe stata “Marcella Contrafatto, impiegata del CSM nella segreteria dell’allora consigliere Piercamillo Davigo, ora indagata per calunnia, perquisita a casa e in ufficio dai pm che nel computer” avrebbero trovato copie degli atti spediti. La donna viene sospesa dal servizio. Ma come sarebbero finiti i verbali secretati di Amara nelle mani di Contrafatto?
Come ricostruito dai giornalisti che stanno seguendo il caso, ad aprile 2020 – quindi diversi mesi prima che i verbali venissero inviati in via anonima ai giornalisti – il pubblico di Milano Paolo Storari aveva consegnato i verbali secretati con le dichiarazioni di Amara, interrogato insieme alla procuratrice aggiunta Pedio, al magistrato ed ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo, all’epoca componente del CSM (Davigo andrà in pensione pochi mesi dopo, a ottobre, decadendo anche da consigliere del Consiglio superiore della magistratura). Questo passaggio avviene però senza alcun atto formale. Luigi Ferrarella e Fiorenza Sarzanini scrivono che questo sarebbe successo perché “Storari premeva perché si procedesse a iscrizioni formali, ravvisando che gravissimi potessero essere i fatti se veri, e gravissima la calunnia se si fossero rivelati falsi; Francesco Greco (procuratore Capo di Milano, ndr), Fabio De Pasquale (pubblico ministero della Procura di Milano, ndr) e Pedio ritenevano invece più opportuno attendere o non procedere ad iscrizioni formali. E per questo, passati alcuni mesi, Storari (che in seguito avrà dai capi l’ok all’avvio di accertamenti, poi trasmessi per competenza a Perugia e Roma), avrebbe scelto di confidarsi con una figura istituzionale come il consigliere CSM Davigo”. Davigo ha confermato al Corriere della Sera che Storari gli ha confidato le divergenze all’interno della Procura di Milano e che gli ha portato i verbali con la motivazione di volersi tutelare dai colleghi perché quest’ultimi non volevano andare avanti. Davigo avrebbe poi informato su queste vicende, sempre in via informale e senza atti, il vicepresidente del CSM David Ermini, il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e il primo presidente della corte di Cassazione Pietro Curzio.
Una volta che questa modalità non formale nel passaggio di atti secretati diventa di dominio pubblico finendo sui giornali, vengono sollevate diverse critiche. Armando Spataro, ex procuratore della Repubblica di Torino, intervistato ai primi di maggio nel programma Rai “Mezz’ora in più”, afferma di trovare «molto singolare» quanto avvenuto sia nel comportamento di Storari, sia in quello di Davigo: il motivo è «la mancanza di un atto formale con cui trasmettere verbali ad una autorità superiore; non è accettabile perché se un magistrato lamenta delle scorrettezze, ad esempio sulla decisione di un procuratore o di un presidente di tribunale ha una strada molto chiara, scrive al procuratore generale della corte d’appello e chiede avocazione e al Consiglio Superiore. Per autotutela poteva adottare una strada formale … e invece non è stato accettabile presentarsi a un componente del CSM e consegnare a mano verbali o via mail senza neppure firma». Riguardo a Davigo, «è altrettanto anomalo il suo comportamento: ci sta la consegna formale di un atto, ma se una consegna è confidenziale toccava comunque a lui protocollare e consegnare al comitato di presidenza. Qui non c’entra il segreto». Per Spataro il non averlo fatto dà spazio «alla teoria dei complotti». Sul caso si muove anche la Procura Generale di Milano, con la richiesta da parte della procuratrice generale Francesca Nanni alla Procura di informazioni per capire cosa sia accaduto per poi eventualmente riferire al Procuratore Generale della Cassazione Giovanni Salvi che ha annunciato, nel frattempo, possibili iniziative disciplinari.
Pochi giorni dopo, Davigo viene intervistato a “Piazza Pulita” su La7 e fornisce le sue considerazioni sulla vicenda. L’ex pm precisa innanzitutto di aver ricevuto da Storari «copie word di atti, per supporto alla memoria. Io gli atti originali non li ho mai visti. Storari mi ha segnalato una situazione critica e mi ha dato il materiale necessario per farmene un’opinione, dopo essersi accertato che fosse lecito. Io ho spiegato che il segreto investigativo, per espressa circolare del CSM, non è opponibile in CSM». Per Davigo «non si potevano seguire le vie formali. La via formale più semplice era rivolgersi al procuratore generale, il problema era che la sede era vacante. Qualunque strada formale avrebbe comportato il disvelamento di tutta la vicenda. C’era la necessità di informare i componenti del Comitato di presidenza, perché questo dicono le circolari, in maniera diretta e sicura. La questione è che si dice che avrei dovuto formalizzare: io ho ritenuto che formalizzando avrei fatto guai, però se mi fosse stato chiesto espressamente di farlo, lo avrei fatto». Riguardo alla sua ex segretaria al CSM, Marcella Contrafatto, ora indagata e sospesa, l’ex pm afferma che nel caso fosse stata lei «mi ha sorpreso non poco, perché l’ho sempre considerata una persona totalmente affidabile» e nega che la donna abbia inviato i dossier su sua spinta.
Dopo l’intervista di Davigo, il consigliere del CSM Ardita – che come abbiamo letto viene citato da Amara negli interrogatori – chiama in diretta in trasmissione per affermare innanzitutto che la presunta loggia Ungheria è «una bufala clamorosa» e che sostenere che non si possono seguire le vie formali «è un fatto di gravità inaudita».
Intanto, il pm Storari finisce indagato dalla Procura di Roma, come atto dovuto, per rivelazione del segreto d’ufficio e Davigo viene sentito come persona informata sui fatti. Ai magistrati romani riferisce anche il senatore dei Cinque Stelle Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia. Morra dichiara che Davigo gli mostrò i verbali di Amara: «Ricordo semplicemente che era molto caldo quando incontrai il dottor Davigo, può essere certamente giugno dell’anno scorso, ma non ricordo esattamente il giorno. Ci incontrammo nello studio di Davigo al CSM. Davigo mi disse semplicemente che sul dottor Ardita si stava adombrando un sospetto assai grave, e cioè che fosse in qualche modo organico a una loggia massonica segreta, occulta, in base alle dichiarazioni, io ricordo questo poi magari ricordo male, di un collaboratore di giustizia». Davigo, intervistato a “Di Martedì” su La7 ha però smentito la ricostruzione del presidente della Commissione Antimafia: «Non è vero, al senatore Morra non ho fatto vedere nessun verbale. Lui ricorda male e dice cose fantasiose».
L’inchiesta romana che vede indagato Storari viene trasferita alla Procura di Brescia per competenza territoriale. Mercoledì 19 maggio il pm milanese è interrogato a Brescia. Durante le quattro ore di interrogatorio il magistrato, secondo la ricostruzione di Repubblica, avrebbe detto che «se consegnai quelle carte in mani sicure, è solo perché avevo motivo di ritenere che si volesse temporeggiare»: “Storari avrebbe anche prodotto una serie di email per dimostrare le reiterate richieste ai vertici del suo ufficio: chiedeva di iscrivere nel registro degli indagati subito 6 persone, Amara compreso, per poi procedere con i tabulati telefonici (acquisibili solo quelli degli ultimi due anni). Richieste cadute nel vuoto – dice Storari. Solo a maggio, ricostruisce, ci furono i primi indagati”.
Dal canto suo, il procuratore capo di Milano Francesco Greco ha depositato alla procura generale milanese una relazione, in cui allega mail e documenti non omissati, con cui difende l’azione della procura, racconta RaiNews: “Greco, a quanto si è saputo, sostiene che gli accertamenti su quelle dichiarazioni, che facevano riferimento alla presunta loggia segreta Ungheria, vennero fatti, ma con prudenza e cautela. I primi tre nomi, Amara, il suo ex collaboratore Alessandro Ferraro e il suo ex socio Giuseppe Calafiore, vennero iscritti per associazione segreta nel maggio 2020. Mentre Storari avrebbe voluto iscrivere subito, mesi prima, almeno 6 persone per fare tabulati e intercettazioni. E, secondo la ricostruzione di Greco, fu il pm a danneggiare le indagini facendo uscire, mettendole in mano a Davigo, quelle carte secretate, all'insaputa dei vertici dell'ufficio. Dopo le tre iscrizioni il procuratore aveva coinvolto anche l'aggiunto e responsabile dell'anticorruzione Maurizio Romanelli: gli ha girato le carte, verbali della 'discordia' compresi, affinché li leggesse in quanto l'intenzione era potenziare il pool di pm che si occupava del caso”.
Il 17 febbraio 2022, nel trentennale di Mani Pulite, Pier Camillo Davigo è rinviato a giudizio dalla giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia Federica Brugnara per l’ipotesi di reato di «rivelazione di segreto d’ufficio» “per aver fatto circolare nella primavera 2020 (dentro e fuori al Consiglio Superiore della Magistratura di cui fu membro sino all’ottobre 2020) i verbali sulla presunta associazione segreta «loggia Ungheria» resi a Milano dall’ex avvocato esterno Eni Piero Amara, e consegnati a Davigo dal pm milanese Paolo Storari che lamentava lo scarso dinamismo del procuratore Francesco Greco e della sua vice Laura Pedio nell’indagare per distinguere in fretta tra verità e calunnie di Amara”, spiega Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera. Pochi giorni prima Paolo Storari, imputato a Brescia con l’ex consigliere del Csm Davigo per lo stesso reato, ha chiesto di essere processato con rito abbreviato. I pm hanno chiesto per Storari 6 mesi di carcere.
È stata invece archiviata la posizione dell’ex procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco, andato nel frattempo in pensione, finito indagato anch’esso a Brescia per omissioni di atti di ufficio con l’accusa di aver ritardato l'apertura dell'indagine nata dalle dichiarazioni messe a verbale da Piero Amara sulla presunta 'Loggia Ungheria'. Il gip di Brescia nel provvedimento di archiviazione, riporta Repubblica Milano, “spiega che quando sono arrivate le sollecitazioni da Storari a Greco non era ancora il momento di effettuare le iscrizioni, considerato che ‘l'obbligo di iscrizione non era ancora sorto in costanza dell'attività di valutazione e riscontro degli elementi di sospetto introdotti da Amara’”. “Per il giudice infatti – continua l’articolo – la materia era molto delicata e complessa: ‘Contrariamente a quanto sostenuto in via solitaria e con sbrigativa sicurezza dal consigliere Davigo – si legge nel provvedimento – tale era la consistenza dell'impegno richiesto dal vaglio critico delle propalazioni accusatorie (per vero piuttosto anodine) dell'avvocato Amara nei citati interrogatori il cui complessivo contenuto si sostanziava ancora in meri elementi di sospetto, da valutare peraltro con un approccio ispirato alla massima prudenza’. Inoltre per il gip di Brescia, Greco ‘non soltanto non ha mai opposto alcun espresso rifiuto all'iscrizione della notitia criminis (...) ma non ha nemmeno concretamente impedito in qualunque forma il compimento dell'azione che si assume come doverosa da parte dei magistrati’. Quindi, ‘non può certo affermarsi che l'ufficio requirente milanese sia rimasto inerte’”.
Aggiornamento 18 febbraio 2022: Abbiamo aggiornato l'articolo inserendo la notizia del rinvio a giudizio di Pier Camillo Davigo e gli sviluppi processuali per Storari e Greco.
Foto in anteprima: marta.b, CC BY-SA 2.0