Lo stupore mediatico per il successo di Grillo
4 min letturaCiò che stupisce, all’indomani del «V-day» di Beppe Grillo, è lo stupore mediatico per il successo della manifestazione, non solo a Bologna dove la presenza dell’istrione autorizzava a prevedere un bagno di folla, ma in tutte le città dove sono stati presi d’assalto i banchetti per la raccolta delle firme. Non credo di possedere arti divinatorie solo perché in uno scambio di sms con un politico trentino, l’altro giorno, avevo dato per scontato che il comico genovese - per un giorno, un mese o chissà - sarebbe diventato il protagonista indiscusso della scena politica (?) nazionale. Bastava dare un’occhiata al suo blog (il più cliccato d’Europa, tra i primi 30 al mondo, non male considerando che è in italiano) per capire che faceva sul serio: gli iscritti al V-day erano più di 200 mila. Se invece anche commentatori acuti e attenti all’evolversi della società come Michele Serra confessano di essere stati presi in contropiede dalla massa di adepti del Grillo Parlante, significa che noi professionisti dell’informazione dovremmo fermarci a riflettere sulla nostra capacità di analisi di ciò che ci circonda.
Troppo presi a inseguire l’ultima dichiarazione di Prodi (o Berlusconi o D’Alema o Veltroni o Casini) quasi che in essa dovessero decidersi le sorti del mondo, troppo attenti a costruire polemiche sul nulla, troppo assuefatti a scopiazzare le Strisce e i Lucignoli - in una deriva verso la rotocalchizzazione alla quale nessuno sfugge (Garlasco docet) - abbiamo perso di vista la realtà che dovremmo raccontare e soprattutto interpretare. E ci stupiamo del fatto che un movimento nato e cresciuto su Internet sia capace di auto-organizzarsi e portare in piazza 300 mila persone contemporaneamente. Strano, perché le potenzialità della rete sono ben note e assai più pericolose, come purtroppo hanno sanguinosamente dimostrato le cronache mondiali degli ultimi anni. Non a caso «la rete» in inglese si traduce network ma in arabo Al-Qaeda.
Non contenti della nostra miopia (mista ad un pizzico di strabismo), anziché cercare di analizzare il fenomeno Grillo, apriamo subito un dibattito se quel che dice e fa sia giusto o sbagliato, sacrosanto o populista, distruttivo o propositivo. Ma cosa volete che gliene freghi a lui? Mica si deve candidare alla guida del paese. Semplicemente, dice a milioni di persone quello che ciascuno di noi dice al coniuge, agli amici o ai colleghi durante la pausa caffè. Con una differenza: prima di parlare, si informa, alla faccia del qualunquismo. E non lo fa per riempire i teatri, perché quello gli accadeva anche prima di diventare un profeta. Semplicemente, è uno che ha capito prima degli altri la non sottile differenza tra blob e blog, uno che non si è lasciato risucchiare nel vortice televisivo per mantenere credibilità e libertà di espressione, uno che con i soldi dei nostri biglietti stipendia ricercatori (quelli che lo aiutano a cercare informazioni) e avvocati (quelli che lo difendono dalle querele, facendolo uscire quasi sempre vincitore).
A trionfare, nel V-day, non è stato il «comico» Beppe Grillo, ma il «cittadino incazzato» Beppe Grillo. Così come il libro «La Casta», caso editoriale dell’anno, non è il frutto di un lavoro di inchiesta e marketing preparato a tavolino dai «giornalisti» Stella&Rizzo, ma il risultato di quello che i «cittadini incazzati» Stella&Rizzo hanno considerato un loro dovere morale: raccontare per iscritto ciò che accadeva sotto i loro occhi, impunemente, sfacciatamente. D’accordo, è populismo; d’accordo, distruggere è assai più facile che costruire; d’accordo, anche Mani Pulite e i girotondi sono stagioni passate senza lasciare traccia. Ma proprio per questo monta la voglia di mandare tutti là dove non batte il sole, proprio perché la ggente è stufa marcia di vedere che nulla cambia.
Il discorso vale per l’Italia ma anche per il nostro Trentino. Ho avuto modo di incontrare Maria Cristina Osele, l’avvocatessa che per qualche ora è stata candidata alla segreteria provinciale del Partito democratico, poi abortito. Eravamo sullo stesso palco durante un dibattito pubblico, nel quale si parlava proprio di fiducia (scarsa) dei cittadini nelle istituzioni. In quell’occasione mi è sembrata una persona preparata, equilibrata, interessata ai valori alti della politica ma per nulla attratta dalle luci della ribalta. Per questo sono rimasto un po’ interdetto quando ho appreso della candidatura. Poi, quando ho letto la sua intervista, mi ha colpito un passaggio: la molla che l’ha spinta ad accettare di scendere nella mischia è stata proprio la lettura del libro «La Casta». Ci credeva, l’avvocato Osele, era disposta a togliere tempo ed energie alla sua professione, alla sua famiglia, ai suoi hobby per impegnarsi nella gestione e nella moralizzazione della polis. Non immaginava di essere di essere solo una briscola (certo non un due di coppe) messa sul piatto dai Ds per vincere la partita con la Margherita (ma l’asso era nelle mani di Dellai). Ora forse le offriranno un’altra opportunità, ma se fossi in lei ci penserei bene prima di accettare.
In conclusione, non c’è da rallegrarsi per il successo politico di Beppe Grillo. C’è però da riflettere su un’Italia divisa in due: quelli che sono nel sistema e da esso traggono benefici, privilegi, ricchezza o semplicemente un aiutino; e quelli che sono fuori dal sistema, privi di rappresentanza e voce in capitolo. Questi ultimi sono solo apparentemente una minoranza, per il motivo che si presentano divisi in mille rivoli, comitati, o si fanno i cavoli loro. Sono ideologicamente trasversali, a votare ci vanno poco e malvolentieri, ma sono quelli che decidono le sorti elettorali del Paese. E hanno smesso di farsi abbindolare dai canti delle sirene, di destra e di sinistra. C’è però un pericolo, da non sottovalutare: il malcontento sta funzionando da tessuto connettivo, li sta trasformando in una massa. E quando i «No-tav» si uniranno ai «No-tax» in un unico «V-day», quando la delusione si trasformerà in incazzatura collettiva, l’Italia sarà pronta non per una rivoluzione, ma forse per una dittatura a furor di popolo. Basterà un guitto più furbo, simpatico e incazzato degli altri.
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Trentino il 10 settembre 2007.