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Lezioni di Storia / Quello che il ministro Cingolani potrebbe imparare dalle guerre puniche

28 Novembre 2021 12 min lettura

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Lezioni di Storia / Quello che il ministro Cingolani potrebbe imparare dalle guerre puniche

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Lezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente

Ci risiamo: secondo il ministro per l’Innovazione tecnologica, Roberto Cingolani, il problema dell’arretratezza nella cultura scientifico tecnologica in Italia fra le giovani generazioni si spiega con il fatto che i ragazzi italiani studiano ben quattro volte le guerre puniche a scuola. 

Roberto Cingolani non è certo il primo a fare sparate del genere. Lagnarsi del fatto che nelle nostre scuole si studiano troppe materie umanistiche « inutili » (a scelta: storia, latino, filosofia) è ormai un consolidato filone della lamentatio e anche un facile modo per "ottenere like". Non è nemmeno il primo, Cingolani, a dire una inesattezza: le guerre puniche non si studiano «quattro volte»: sono previste nel programma della scuola primaria e poi vengono riprese in prima superiore, e onestamente è difficile pensare però che i pupetti di otto anni possano affrontare il tema in maniera completa ed esauriente, tanto da non richiedere di essere ripreso mai più. 

Il problema però riguarda pure il merito delle questione: ma studiare le guerre puniche nel XXI secolo è davvero così inutile? Siamo sicuri che fra tutti gli argomenti possibili da trattare in storia, proprio le guerre puniche siano totalmente fuori luogo per i ragazzi che oggi devono affrontare il mondo?

Magari no. Perché, a ben guardare, sono anzi forse proprio le guerre puniche un concentrato di problemi straordinariamente attuali per chi vive nel mondo di oggi e nel bacino del Mediterraneo in particolare.

Le guerre puniche: quando e dove

Cartagine e Roma sono le due grandi signore del Mediterraneo nel III secolo a.C. quando comincia lo scontro. Cartagine è una città di origine fenicia, fondata secondo il mito dalla regina Didone all’incirca fra il IX e VIII secolo a.C. nell’attuale golfo di Tunisi: il suo nome significa « Città Nuova » e i suoi abitanti provenivano da Tiro. Erano dunque indicati come Phoinikoi, in greco e come Poeni in latino, da cui deriva l’aggettivo puniche usato dai romani per indicare le guerre contro i cartaginesi. 

Le guerre puniche furono tre: Prima guerra punica (dal 264 a.C. al 241 a.C.), la Seconda guerra punica (dal 218 a.C. al 202 a.C.) e la Terza guerra punica (dal 149 a.C. al 146 a.C.). Terminarono con la completa distruzione della città di Cartagine da parte delle armate romane. Ma pochi anni più tardi Caio Gracco fondò nei pressi delle rovine della antica città cartaginese una colonia romana chiamata Iunonia Cartago, che poi fu rimpolpata da Giulio Cesare con lo stanziamento dei suoi veterani nel 46 a.C. Cartagine dunque rifiorì e divenne una delle più importanti e popolose città dell’impero e la principale dell’Africa romana.

Cartagine, l’antenata dell’impero britannico

Dal VII al III secolo a.C. Cartagine fu l’indiscussa signora dei mari di Occidente. La città, oltre alla posizione, poteva godere di un porto straordinariamente sicuro perché ricavato da una piccola insenatura interna non visibile dal mare, il che rendeva impossibile per i nemici attaccare la flotta militare cartaginese e persino scoprire se essa fosse o no presente. 

L’impero cartaginese era simile a quello dell’Inghilterra in epoca moderna: si fondava su una rete di fondaci distribuita per tutto il bacino del Mediterraneo e sulle coste atlantiche sia del Portogallo che dell’Africa, che potevano garantire approvvigionamenti di materie prime allora indispensabili, come lo stagno e altri metalli preziosi. I navigatori cartaginesi si erano spinti oltre le colonne d’Ercole fino al golfo di Guinea con Annone (un antenato di Annibale vissuto nel VI o V secolo a.C.). Un altro capitano coraggioso, Imilcone, nel V secolo era arrivato fino alle coste della Britannia. 

In una fase successiva, proprio come l’Inghilterra del 1500/1600, Cartagine si era espansa militarmente occupando vasti territori da cui trarre materie prime: aveva conquistato non solo l’Africa del nord, ma anche gran parte della Spagna.

Nel V secolo, dopo due guerre particolarmente difficili contro i Sardi, era riuscita anche ad avere numerose basi in Sardegna e un certo controllo persino sull’interno dell’isola. I Cartaginesi erano inoltre presenti con loro insediamenti e città nella Sicilia orientale.

I rapporti con i Romani

Cartaginesi e Romani si conoscevano bene. Nel 509, quando Roma caccia i re e si trasforma in una Repubblica, uno dei primi trattati è firmato proprio con i Cartaginesi, forse grazie alla mediazione degli Etruschi. Roma ha bisogno infatti di evitare scontri con la più grande potenza marittima dell’epoca e così delimita diritti e doveri. 

È chiaro che la neonata Repubblica è un gattino di fronte a un leone. Le navi romane non possono navigare oltre capo Bello (vicino a Cartagine) se non perché spinte da tempeste, non possono fermarsi sul suolo africano per più di cinque giorni né fondare alcun tipo di insediamento stabile, e i mercanti romani in Sardegna sono sotto tutela e devono essere accompagnati da cartaginesi. Cartagine però lascia ai Romani il controllo delle coste laziali e una certa libertà di commercio con le popolazioni indigene della Sicilia che non vivono in territori controllati direttamente da loro.

Il trattato viene rinnovato due volte (nel 348 e nel 306), e Roma nel corso di due secoli riesce a rosicare qualche privilegio. Nonostante sia preda di forti discordie interne fra patrizi e plebei e fra famiglie aristocratiche, si espande fino al Sannio e quasi fino a Taranto e quindi fa capolino sullo Ionio. Ma sono posti che a Cartagine interessano poco. 

Anche Cartagine ha nel frattempo le sue rogne: Agatocle, tiranno di Siracusa, aveva avuto l’idea geniale di andare a combattere i Cartaginesi in casa loro, e si era persino proclamato re d’Africa, per cui i Cartaginesi avevano tutto l’interesse a stipulare accordi con i Romani.

Nel 279 i due popoli firmarono un quarto trattato, ma la situazione internazionale era decisamente mutata: a Occidente era salito sul trono di Epiro il combattivo sovrano Pirro, che si proclamava discendente diretto di Alessandro Magno ed era pure genero di Agatocle di Siracusa. Pirro fu chiamato in Italia dai Tarantini contro i Romani, ma ben presto fu chiaro a tutti che intendeva conquistare l’Italia del sud e fondarvi un regno. Quindi i Cartaginesi inviarono in supporto ai Romani persino una flotta e un notevole quantitativo di argento per sostenere le spese della guerra.

Tecnicamente nel 275 Pirro vinse la battaglia contro i Romani a Benevento, ma si trattò appunto di una vittoria di Pirro, perché gli costò la perdita di gran parte del suo esercito. Quando decise di ritirarsi dall’Italia, pare che abbia sibilato: «Lasciamo questa palestra a Cartaginesi e Romani!».

In effetti ci aveva visto giusto, perché di lì a poco sarebbero state le due città a scontrarsi fra loro. 

La nascita dell’imperialismo romano

Se c’è una cosa che lo studio delle guerre puniche insegna sono le leggi dell’espansione degli imperi. Lo scontro fra Roma e Cartagine infatti è un problema di sfere di influenza, fra una città come Cartagine che praticava una espansione di tipo sostanzialmente marittimo, attraverso il controllo delle rotte commerciali, e uno Stato che invece preferiva il controllo diretto dei territori, inglobandoli nella sua struttura. 

Anche se aveva perso contro Pirro, infatti, Roma era risultata la vincitrice morale e politica della guerra e aveva acquistato per altro un grande prestigio internazionale: aveva dimostrato di saper reggere il colpo, di saper gestire persino battaglie contro gli elefanti e di saper rintuzzare la boria dei pretesi eredi di Alessandro Magno. Per giunta, si era presa tutta la Magna Grecia, dove gli abitanti, al contrario dei contadini laziali, nascevano in pratica sulle tolde delle navi. E quindi era pronta a varare una sua flotta e lanciarsi come una pericolosa concorrente dei punici sui mercati del Mediterraneo. 

Il casus belli nasce infatti per la Sicilia, dove i Cartaginesi avevano numerose basi commerciali e i Romani ambivano a infiltrarsi sia politicamente che commercialmente. Il basileus (cioè re) di Sicilia era il tiranno Ierone II di Siracusa, era nemico giurato dei Cartaginesi. Aveva però dei grossi problemi a tenere sotto controllo i Mamertini, dei mercenari campani arrivati in Sicilia ai tempi del suo predecessore Agatocle e che poi, non essendo stati pagati sufficientemente, si erano dati al saccheggio ed avevano occupato Messina. Sconfitti da Ierone II presso Mylae i Mamertini chiesero aiuto sia a Cartagine che a Roma, entrambe nemiche di Siracusa. I Cartaginesi tentarono di mediare ed offrirono protezione ai Mamertini purché accettassero una guarnigione cartaginese a Messina. I Mamertini, che forse non gradivano cedere in pratica la città ai Cartaginesi dopo che se l’erano conquistata da soli, decisero quindi di rivolgersi ai Romani. 

E qui fa capolino il nascente imperialismo romano: nonostante i trattati internazionali in vigore fossero chiari e impedissero ai Romani di intervenire sull’isola e nonostante i Mamertini avessero torto marcio sotto ogni punto di vista perché si erano impadroniti con la forza di una città non loro, Roma mette la decisione ai voti nei comizi e il popolo romano che è formato di mercanti che vogliono finalmente entrare da padroni sui ricchi mercati siciliani votano in massa per la guerra. Insomma, la prima guerra punica viene dichiarata per un misto di interessi commerciali, lotta politica per l’egemonia nello spazio mediterraneo e concorrenza spietata fra imperi e scoppia per una complicata vicenda che coinvolge Stati cuscinetto e potenze declinanti. Tocca inoltre i temi della legittimità della guerra, dei limiti del rispetto dei trattati internazionali. Tutte tematiche che risultano squisitamente moderne, e su cui potrebbe avere senso far riflettere i ragazzi di oggi.

Guerre e spinta tecnologica alla modernizzazione

Roma, fino adesso, aveva sempre combattuto essenzialmente per terra. Le guerre puniche e soprattutto la prima, la mise invece di fronte alla necessità di costruire in fretta una flotta militare in grado di opporsi ai Cartaginesi e di trovare anche delle soluzioni tecnologiche alternative. Il gap tecnologico nella costruzione navale fu superato con una soluzione « alla cinese » diremmo oggi: i Romani copiarono paro paro una nave cartaginese caduta nelle loro mani e la usarono come modello base per la loro flotta. Altra soluzione probabilmente copiata invece dai Siracusani fu il corvus, ovvero una specie di piccolo ponte con uncini che veniva usato per arpionare le navi cartaginesi consentendo ai soldati romani di combattere poi come sulla terra. Altra soluzione inventata per rendere più maneggevoli le navi romane fu quella di ridurre al minimo il carico e l’equipaggiamento dei soldati. 

Le guerre puniche sono uno dei tanti esempi di come crisi politiche e militari possano diventare occasione per spingere verso l’adozione di nuove tecnologie: non solo Roma si dotò di una flotta moderna, ma anche integrò nel suo esercito i marinai provenienti dalle città magnogreche dell’Italia del sud. Anche la sua classe dirigente senatoria dovette affrontare nuove sfide economiche: per sostenere lo sforzo bellico, le principali famiglie della nobilitas furono costrette a tassarsi pesantemente, con la promessa però di essere ripagate poi non solo dal bottino ma da percentuali su appalti e futuri affari nei territori conquistati. 

Anche i comandanti romani dovettero ampliare i propri orizzonti: non solo per la prima volta affrontarono battaglie navali di una certa importanza, ma pensarono ad una strategia di guerra su uno scenario di ampio raggio. Le armate romane non solo si spostarono in Sicilia, ma la spedizione comandata dal console Attilio Regolo arrivò fino in Africa e diede parecchio filo da torcere ai Cartaginesi a casa loro. 

Roma insomma alla fine della prima guerra punica, vinta fra grandi difficoltà, ormai ha imboccato la strada per trasformarsi in una grande potenza mediterranea, ma ha dovuto rivedere anche la sua economia e la sua struttura militare. Le guerre puniche, dunque, sono il primo esempio di come le guerre diventino occasione per grandi salti tecnologici e per migliorie nelle infrastrutture di uno Stato. Anche questo un tema squisitamente contemporaneo su cui fare riflettere i ragazzi a scuola.

La seconda guerra punica: lo scenario mediterraneo e la nuova cultura internazionale

Nell’immaginario collettivo è la seconda guerra punica quella più conosciuta, perché è quella del grande scontro fra Annibale e Roma. Il generale cartaginese domina la scena con la sua forte personalità: sagace discendente di una famiglia di grande nobiltà e potere, i Barca, è allevato dal padre Amilcare nell’odio verso Roma e diventerà per i Romani il peggiore incubo. Stratega geniale e spregiudicato, viene ricordato per la mossa inaspettata di portare la guerra in Italia, attaccando i Romani sul loro territorio. Ma Annibale è molto di più: dal punto di vista politico è un uomo scaltro e spregiudicato che tenta (anche se non gli riuscirà del tutto) di sfruttare a suo vantaggio una delle debolezze del sistema romano: gli Italici, infatti, che erano stati assoggettati a Roma, ma non sempre erano felici di questa condizione, perché non era stata loro riconosciuta la parità dei diritti con i cittadini romani e laziali, e perciò si dimostreranno propensi a tradire e passare dalla parte di Annibale. 

Anche qui i Romani dovranno fare i conti con il problema e trovare una soluzione che non è solo militare, ma di architettura politica. La seconda guerra punica viene considerata una sorta di primo « conflitto mondiale » della storia, perché vi sono coinvolti come scenari di guerra l’Africa, la Spagna, l’Italia nel suo complesso, ma anche diverse popolazioni mediterranee: Romani, Cartaginesi, Greci, Italici, Celti, Numidi, Macedoni.

È un conflitto in cui si confrontano diversi stili di combattimento: quello di Annibale, aggressivo e muscolare, quello di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, che invece preferisce una strategia attendista e di guerriglia per esasperare il nemico. Ma anche entrano in gioco diverse idee di come debba essere la società e il mondo. 

Roma ancora una volta è costretta a svecchiarsi ed ampliare i suoi orizzonti. La « vecchia guardia » del senato, simboleggiata da Marco Porcio Catone, amante delle tradizioni e chiusa al nuovo, deve fare i conti con condottieri che invece hanno una cultura internazionale: non solo Annibale, cresciuto in Spagna e che morirà ospite del re della Bitinia, ma anche gli Scipioni, i condottieri che alla fine vinceranno a Zama, e che a Roma sono aperti agli influssi della cultura ellenistica greca e se ne fanno paladini.

Società che devono svecchiarsi, problemi di federalismo e di autonomie regionali, creazione di una nuova cultura « globalizzata » meno provinciale e più internazionale: questi sono i temi centrali della seconda guerra punica. Che sono, anche questi, temi assai contemporanei. Sicuro che sia una perdita di tempo raccontarla agli alunni delle scuole?

La terza guerra punica e la riflessione sulla caducità del potere

«Ceterum censeo Carthaginem delendam esse», "Del resto penso che Cartagine debba essere distrutta". Questo il refrain con cui Catone il Vecchio concludeva ogni suo intervento in Senato. La terza guerra punica infatti non è un conflitto che nasce dalla necessità economica o politica: è in sostanza una dimostrazione muscolare di forza da parte di chi ha già vinto e vuole semplicemente umiliare e distruggere il nemico già a terra.

Pretestuoso fu il motivo della dichiarazione di guerra. Cartagine era stata più volte attaccata dal re numida Massinissa e in fondo chiedeva solo di potersi difendere, ma Roma le impediva di reagire, così si armò violando i patti. La classe dirigente romana però che aveva dichiarato guerra con troppa sicumera rischiò di perdere malamente. Soltanto l’arrivo sulla scena di Scipione Emiliano salvò la situazione.

 L’assedio finale di Cartagine è una delle pagine più strazianti della storia antica: soli, ormai senza speranza e allo stremo delle forze perché senza cibo e tormentati da una pestilenza, i Cartaginesi tuttavia resistettero combattendo strada per strada. Gli ultimi rimasti in vita, fra i quali la moglie del generale Asdrubale, decisero di uccidersi pur di non cadere prigionieri di Roma. 

Alla fine Scipione vince: la città è ridotta ad un cumulo di rovine, la popolazione ancora in vita viene venduta come schiava. Sulle rovine di Cartagine i Romani spargono sale perché su quella terra non cresca più nulla. È una punizione crudele e ingiusta, che lascia l’amaro in bocca allo stesso vincitore. Guardando quella desolazione, Scipione si domanda se un giorno anche Roma non finirà così: distrutta dai nemici e ridotta in macerie. 

Ed è qui che si affaccia il tema della caducità degli imperi, e della gloria umana. Un argomento che in fondo è sempre contemporaneo. E su cui far riflettere i ragazzi, soprattutto in una società che esalta il successo ad ogni costo come la nostra e considera spesso le vittime criticabili perché deboli e meritevoli di oltraggio.

Le guerre puniche: perché vanno insegnate a scuola

Insomma, valutando bene tutto ciò che le guerre puniche sono state, hanno causato, la mole di cambiamenti sociali, economici, politici e anche di riflessioni filosofiche e morali che da questi conflitti sono scaturiti, non sembra che come argomento specifico siano particolarmente inutili da affrontare, nemmeno per i giovani. E quindi non si capisce perché dovrebbero essere tagliate via dai programmi scolastici. Sì, certo, sono avvenute millenni fa. Ma non vuol dire che non forniscano spunti assai interessanti per chi deve diventare cittadino del mondo oggi.

Inoltre, ogni volta che un politico fa una dichiarazione simile a quella di Cingolani quello che colpisce è il non sequitur del ragionamento.

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Risulta oscuro per quale motivo l’ignoranza degli studenti nel campo scientifico o tecnologico possa essere attribuita al fatto che durante le ore di storia (che peraltro sono poche) si affrontino determinati argomenti. Se gli  studenti non acquisiscono le conoscenze base nelle materie scientifiche, forse ci si dovrebbe interrogare su come queste vengano insegnate nelle nostre scuole e se non sia il caso di rivedere la loro didattica, perché magari lì c’è qualcosa che non va.

Le povere guerre puniche, di grazia, in tutto questo che c’entrano?

Immagine anteprima Battaglia di Canne - Annibale in Italia (Musei Capitolini)

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