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Lezioni di Storia / Collassi di civiltà: quando il clima cambia la storia

7 Novembre 2021 9 min lettura

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Lezioni di Storia / Collassi di civiltà: quando il clima cambia la storia

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Lezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente

Temperature che si alzano, desertificazione, eventi meteorologici estremi che mettono in crisi intere regioni. Isole e città costiere che rischiano di finire sott’acqua per sempre o in cui la vita diventa impossibile per i continui allagamenti. Luoghi che vengono dichiarati non più compatibili con la vita umana, e dove fino a qualche anno fa c’erano insediamenti e metropoli.

Economia, storia, letteratura, tecnologia: quando il clima impazzisce, le ripercussioni sono molteplici e trasversali. Intere civiltà rischiano il collasso, cambiano la mentalità e gli stili di vita. Oggi gli storici e gli archeologi sono sempre più attenti alle tracce dei cambiamenti climatici avvenuti in passato perché sono spesso causa e motore di sconvolgimenti epocali nelle strutture sociali, economiche, politiche. La paleoclimatologia è divenuta una scienza che aiuta a comprendere svolte storiche altrimenti inesplicabili.

Anche in passato, infatti,  ci sono stati cambiamenti climatici nella lunga storia del nostro pianeta, certo. Erano dovute a fattori che prescindono dall’attività umana.

Oggi invece il cambiamento climatico che stiamo vivendo è legato all’attività umane che impiegano i combustibili fossili: un fattore antropico, quindi. I governi, i singoli Stati sono colpiti dalle conseguenze di questi fenomeni, ma spesso da soli non hanno le forze economiche per farvi fronte. Perché la crisi è globale, stavolta, e tutti siamo presi in mezzo.

Leggi anche >> Cambiamento climatico: vademecum contro la disinformazione  

Per nostra fortuna, le attuali conoscenze scientifiche ci hanno permesso di individuare le cause antropiche che generano questi sconquassi, e quindi anche di ipotizzare in che modo intervenire per ridurre i possibili danni. I nostri antenati avevano pochi mezzi, ancora meno conoscenze e quasi nessuna possibile strategia di difesa quando il clima cambiava, se non cercare di adattarsi, subendo spesso immani perdite umane ed economiche.

Ma bisogna anche tenere conto dell’altro lato della medaglia: i cambiamenti climatici innescati dalle attività umane si stanno manifestando con una velocità molto maggiore di quelli "naturali", avvenuti in passato, i cui effetti magari si diluivano in diversi secoli o millenni. Per di più, la popolazione mondiale è molto più numerosa. Spostare intere comunità o evacuare territori diventati non abitabili diventa un grosso problema politico, sia nell’immediato (gli esseri umani coinvolti sono milioni e rischiano di causare migrazioni di entità mai vista in passato) che sul lungo periodo.

Quindi agire subito sulle cause antropiche è l’unica strada possibile. E rendersi conto di quanto in passato i cambiamenti climatici abbiano influito sulle civiltà, portandone alcune alla completa distruzione, è un esercizio utile.

Se non altro per evitare di fare la loro stessa fine.

Frankenstein, il mostro nato dal cambiamento climatico

Lago di Ginevra, 1816: tre intellettuali inglesi, John Polidori, Percy Shelley e la moglie Mary Shelley, che sono venuti a passare le vacanze in Svizzera, si annoiano terribilmente. Pensavano di trascorrere il tempo in amene escursioni, ma l’estate quell’anno fa le bizze: piove in continuazione, quando non nevica. Il cielo è perennemente grigio. Per vincere la noia faranno una scommessa letteraria. Vincerà chi fra i tre scriverà il miglior romanzo gotico. È così che nascerà il romanzo Frankenstein, scritto da May Shelley.

Ma perché il tempo è così inclemente? Perché siamo nel cosiddetto “anno senza estate”. Il 5 aprile del 1815 il vulcano Tambora, in Indonesia, esplode, riversando nell’aria una spessa nube di cenere. E così tanta che si spande per l’atmosfera e travalica i confini della regione, e dell’Asia. La luce solare fatica ad attraversare l’atmosfera e le temperature cadono a picco.

Le ripercussioni economiche e sociali sono molteplici e imprevedibili. Nel Nord America e in Canada ci furono carestie, in Germania alluvioni del Reno e di altri fiumi. In Gran Bretagna e Francia rivolte per la mancanza di grano. In Svizzera fu dichiarata l’emergenza nazionale. Una epidemia di colera partita dall’India, devastò l’Afganistan e arrivò fino in Occidente. Per la mancanza di biada, morirono anche tantissimi cavalli in tutta Europa e fu così che Karl Drais progettò la draisina, l’antenata della nostra bicicletta. Il mezzo di trasporto tutt’ora più ecologico. Alle volte, il destino dimostra una sottile ironia. 

Il giardino sahariano

Quando pensiamo ad un deserto, pensiamo a lui, al Sahara, che si estende nel Nord Africa alternando paesaggi diversi ma tutti accomunati da un clima arido e poco adatto alla vita. Dai tempi di Erodoto che lo descrisse nel V secolo a.C. Pare che poco sia cambiato. Eppure fra il 7000 e il 2000 a.C. il paesaggio era completamente diverso, con laghi e fiumi, zone verdi e paludose, dove vivevano animali e uomini. Le popolazioni in età neolitica producevano ceramica e raccoglievano cereali che crescevano spontaneamente. Ebbero rapporti con l’Egitto predinastico e disseminarono il Sahara di incisioni rupestri. La pluralità di stili artistici testimonia che le popolazioni erano di origini miste, e si erano stabilite nella regione per la mitezza del clima e per le risorse naturali. Poi, il disastro climatico. A partire dal 1200 a.C. le precipitazioni iniziano a diminuire, e piano piano il Sahara si trasforma nel paesaggio che conosciamo noi: un deserto. Ma è un processo lungo che dura diversi secoli. Le popolazioni locali si adattano, cercano nuovi stili di vita, difendono le poche aree umide e costruiscono sistemi di irrigazione per salvaguardare le oasi. Poco prima della conquista romana, la società sahariana ancora può contare su numerose oasi e su un clima che consente la nascita di una società organizzata come il regno dei Garamanti, che recenti studi e scavi hanno riscoperto. Però del bel giardino sahariano oggi non resta più nulla.

La crisi climatica e i “popoli del mare”

Fra 1300 e 1200 a.C. Il bacino del Mediterraneo e il nord Africa sono fortemente instabili. I grandi imperi del tempo, come l’Egitto e gli Ittiti, devono fronteggiare improvvisi attacchi da parte di gruppi umani che gli Egiziani indicano come “popoli del mare”. Sono pirati e avventurieri che provengono forse dal nord della penisola balcanica, e sono spinti dalla carestia. La dendrocronologia infatti ci conferma che per diversi decenni vi furono precipitazioni scarse e diffusa siccità. I popoli del mare, dunque, furono costretti a spostarsi molto probabilmente per via dei cambiamenti climatici nelle loro terre d’origine. Dove però, da valenti artigiani, avevano imparato a forgiare armi di ferro, e travolsero quindi i loro avversari, armati ancora con il bronzo. L’instabilità sociale che queste migrazioni di popoli portarono nel Mediterraneo fu notevole. Collassarono grandi imperi e anche piccoli regni ben organizzati come quelli micenei della Grecia continentale, che crollarono forse anche per rivolte sociali dovute alla scarsità di cibo e all’instabilità generalizzata. Alla fine dalle macerie di questo mondo nacque la cultura greca e il Mediterraneo di cui si impadronirà secoli dopo Roma. Ma all’origine di tutti questi mutamenti, ancora una volta, c’è un cambiamento climatico.

Il clima felix dei Romani

I romani ebbero un grande impero, ma soprattutto una notevole fortuna climatica. Fra al 500 a.C e il 500 d.C. il clima in Europa fu assai mite. Se nell’immaginario collettivo i romani sono sempre vestiti in toga e sbracciati non è solo uno stereotipo, è che proprio nella loro epoca faceva più caldo. La vite veniva coltivata con successo in Britannia, le temperature erano miti anche nella province più a nord. Questo favoriva scambi e commercio e aiutò il diffondersi del benessere in tutte le terre dell’impero. Il Sol Invictus non era solo una divinità  favorevole a Roma, era una condizione climatica stabile che permetteva all’impero di prosperare.

I barbari che vennero dal freddo

Le cose cambiarono radicalmente nel periodo tardo antico. Nel nord Europa fra IV e V secolo d.C. cominciarono a cadere a picco le temperature. Grandi piogge e gelo resero difficile coltivare estensioni di terreno fino ad allora usate dalle tribù barbariche fuori dal limes. I barbari iniziarono a fare pressioni per essere accettati all’interno dell’impero, dove vaste zone erano spopolate a causa delle ricadute della peste antonina. Verso l’inizio del V secolo la situazione divenne drammatica, soprattutto in Occidente. Ondate di tribù barbare erano costrette a lasciare le loro sedi originali: Goti, Vandali, Avari e infine Longobardi calarono dal nord verso il bacino del Mediterraneo in cerca di sedi stabili e più calde. L’impero d’Occidente collassò. La Britannia, abbandonata da Roma, cadde in una depressione economica fortissima. Anche le successive migrazioni sassoni e vichinghe nel nord Europa erano legate a motivi climatici.

La (calda) rinascita dell’anno 1000

No, la ripresa economica e il miracolo dell’anno Mille non sono dovuti alla rotazione delle coltivazioni o all’invenzione dell’aratro con il giogo, come si leggeva nei libri di storia di una volta. La grande ripresa dell’agricoltura e il conseguente aumento della popolazione, che spinse anche ad adottare nuove soluzioni tecnologiche, è legata invece al fatto che a partire dall’800 d.C. Le temperature in Europa ricominciano a salire e restano alte fino al 1300. Sono gli anni in cui in Italia i liberi Comuni e le Repubbliche marinare fanno ottimi affari commerciando fra loro e con l’Oriente, le rotte internazionali sono ripristinate perché il clima è buono, e non si diffondono epidemie.

La piccola glaciazione e la nascita dell’Europa moderna

Nel 1300 nuova svolta del clima, che però non peggiora drasticamente fino al XV secolo. Sul finire del 1500 le temperature vanno di nuovo a picco, e questo causa una serie di contraccolpi nella società. Rivolte contadine, instabilità sociale, epidemie e guerre. Un filo rosso climatico lega la,peste nera, le rivolte religiose contadine nella Germania di Lutero, la Rivoluzione Francese e l’instabilità sociale dell’età napoleonica e della Restaurazione.

La cosiddetta piccola glaciazione dura dal 1300 al 1850, e interessa l’Europa e il Nord America: in Occidente sono secoli di grande elaborazione sociale ed economica, che portano alla adozione di nuovi sistemi statali o a rivoluzioni violente, in Inghilterra, Francia, e poi in tutta Europa. Il freddo va combattuto riorganizzando gli Stati, centralizzando la raccolta delle tasse, sovvenzionando imprese mercantili in un momento in cui per motivi climatici l’agricoltura si trova in grande difficoltà. Questo problema climatico segna anche la fine dell’aristocrazia terriera, che viene spodestata dalla nuova classe dei banchieri e dei mercanti, la cui ricchezza è meno legata ai disastri climatici. La società come oggi la vediamo nasce allora. Ancora una volta sulla spinta di un mutamento climatico.

Il 1850 e il problema antropico

Dal 1850 le temperature piano piano risalgono, la piccola glaciazione è finita. Ma a partire dal secolo successivo, ovvero dal 1950, prendono una vera e propria corsa. Non è un fenomeno naturale. A partire dagli inizi del 1900 le emissioni di gas serra nella atmosfera dovuti alle fabbriche, all’ industrializzazione, alla produzione di energia, determinano la svolta. Finché gli Stati industrializzati erano pochi l'impatto riguardava solo territori circoscritti, colpiti dalle emissioni di sostanze inquinanti. Nel corso del secolo scorso, in particolare dalla seconda metà del secolo, all’inquinamento si è aggiunto l'effetto del riscaldamento, dovuto a gas serra. Gli effetti si sono quindi diffusi ovunque e la scala è diventata globale. L’intero pianeta ha la febbre.

Il clima che cambia e l’essere umano che deve agire

In passato dunque ci sono già stati cambiamenti climatici. Questo non è un buon motivo per sostenere che anche quella attuale potrebbe essere dovuta a fattori indipendenti dall’agire umano. Gli studi di climatologi e scienziati da anni hanno dimostrato il contrario. E quindi necessario prendere immediati provvedimenti per cercare di limitare i danni.

Dal punto di vista storico sociale, per altro, quello su cui è necessario riflettere è che sempre quando l’umanità viene colpita da un cambiamento del clima, quale che sia la sua origine, antropica o naturale, rischia grosso. I sistemi politici e sociali vanno in tilt, perché nessun sistema umano può reggere lo stress della natura che cambia. Quindi persino chi non crede che l’attuale surriscaldamento sia dovuto alle emissioni nocive dovrebbe comunque rendersi conto che sarà necessario riorganizzare la nostra società per far fronte alle nuove condizioni. L’alternativa è essere travolti e vedere andare in pezzi le nostre società e il mondo così come lo conosciamo. E a pagare il prezzo più alto potrebbero essere le generazioni dei nostri figli e nipoti. Che, per fortuna, pare lo abbiano capito e si stanno organizzando. In barba a chi li chiama gretini, e sogghigna con disprezzo. Come facevano forse anche gli Ittiti, e i micenei, e i romani del tardo impero, e i medievali del 1300 and so on…

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Bibliografia

Philip Bloom, Il primo inverno, Marsilio 2018

Jared Diamond, Collasso, Einaudi 2005

Elio Antonello, Astronomia, paleoclimatologia, evoluzione umana e delle società umane, Aracne 2020

Immagine anteprima John Fowler sotto licenza CC BY 2.0

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