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Lezioni di Storia / La lunga storia dell’aborto

3 Luglio 2022 6 min lettura

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Lezioni di Storia / La lunga storia dell’aborto

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Lezioni di Storia, una rubrica di divulgazione storica partendo dal presente

Aborto: dopo la sentenza USA il tema della interruzione volontaria della gravidanza e del diritto delle donne a decidere per il loro corpo è diventato di stringente attualità. Ma nel mondo antico come era affrontato questo problema?

In genere i movimenti contrari all’aborto tendono a presentare la loro tesi come fondata sulla tradizione, e sostengono che in passato l’aborto sarebbe stato vietato e sanzionato per legge in quasi tutte le culture. In realtà si tratta di una semplificazione, perché fin dall’antichità sul tema c’erano posizioni assai varie.

L’aborto, intanto, è sempre stato praticato in tutte le culture. Da sempre le donne, nel momento in cui si scoprono incinte, possono decidere di ricorrere a pratiche abortive, e per i più svariati motivi.

Ad esempio, la situazione in Grecia e a Roma prima delle diffusione del cristianesimo era piuttosto variegata. Fin dai primordi della civiltà greca, si hanno notizie di pratiche abortive, sia chirurgiche che meccaniche, o portate avanti tramite la somministrazione di pozioni o veleni.

Il problema del Giuramento di Ippocrate (che non è di Ippocrate)

Nella versione greca del Giuramento di Ippocrate comunemente conosciuta, un paragrafo vieta esplicitamente al medico la pratica dell’aborto e la possibilità di somministrare alla donna sostanze che lo causino. Tuttavia il passo in questione è stato a lungo studiato dai filologi e pone alcune problematicità.

La versione infatti è datata non all’epoca di Ippocrate (attivo nel V secolo a.C.) ma attorno al 245 d.C. E da una comparazione con altre fonti pare che la parte riguardante il divieto di aborto possa essere retrodatata al massimo al 43 d.C.

Infatti i restanti testi di Ippocrate (attribuibili per altro certamente a lui), in particolare quelli riguardanti la ginecologia, riportano istruzioni per aborti chirurgici e non danno alcuna valutazione morale su questo tipo di operazioni. Insomma, pare che Ippocrate avesse studiato e illustrato le tecniche abortive e non sembra che avesse vietato di usarle.

L’infanticidio e l’abbandono dei bambini

L’aborto del resto nel mondo antico non era considerato in linea di massima una procedura vietata. L’unico caso in cui era fermamente condannato era quando la donna decideva di abortire e questa decisione poteva danneggiare il padre del futuro neonato.

In Grecia e a Roma non erano vietate le tecniche contraccettive, anzi. Le donne e gli uomini erano considerati liberi di servirsene, anche se all’epoca, nonostante esistessero persino dei rudimentali preservativi, l’efficacia di questi mezzi era molto limitata.

Più diffuso ed efficiente era quindi il ricorso all’aborto. Negli scritti di Ippocrate e degli altri medici dell’epoca si trovano elencate numerose tecniche meccaniche o chirurgiche per effettuare aborti. Si poteva intervenire appunto chirurgicamente oppure manualmente con massaggi e manipolazioni, o indurre l’aborto tramite salti o altri sforzi fisici.

Va inoltre detto che gli antichi praticavano anche con gran disinvoltura l’infanticidio. Il neonato infatti non era considerato membro della comunità fino a che non veniva riconosciuto dal padre con una apposita cerimonia, e i genitori erano autorizzati ad esporlo per lasciarlo morire o a sopprimerlo senza che questa scelta venisse sanzionata dalla legge.

Il silfio

Fra i metodi "chimici" per procurare l’aborto il più diffuso era il decotto di Silfio, una pianta oggi estinta che aveva numerose proprietà mediche, oltre che abortive. La pianta era diffusa nella regione di Cirene, nel Nord Africa. Era una spezia considerata preziosissima, tanto che sul mercato valeva più dell’oro. Lo sfruttamento intensivo di questa piante ne determinò la sua scomparsa, tanto è vero che oggi il Silfio non esiste più e noi non abbiamo una idea precisa delle sue proprietà. Certo è che veniva considerata un potente abortivo e anche per questo era richiesta dal mercato.

Le legge romana

In realtà anche la legge romana era titubante sull’aborto, anche perché non si era concordi su quando il feto andasse considerato “vivo”.

Per Ippocrate e Aristotele, infatti, la vita iniziava prima della nascita, sì, ma in un periodo successivo di almeno 3 mesi dal concepimento. Prima, tecnicamente, il feto non era “vivo” e quindi nemmeno per legge l’aborto sarebbe stato sanzionabile in qualche modo.

La legge romana, tuttavia, prevedeva che un corpo fosse considerato vivo solo dopo la nascita effettiva. I grandi giuristi romani come Marcello, Papiniano e Ulpiano consideravano infatti il parto il momento in cui l’essere umano è compiutamente vivo. Il feto prima del parto veniva considerato solo una parte del corpo della madre e, come tale, non era considerato vivo. Un bambino nato morto, cioè che non era riuscito nemmeno a emettere il primo respiro, per la legge romana veniva considerato come qualcosa che non era mai stata viva. Sebbene Giustiniano ricordi che alcune frange di giuristi considerassero sufficiente per considerare vivo un bambino il fatto che alla nascita avesse fatto almeno un movimento spontaneo, in linea di massima la legge romana considerava i bambini nati morti come non-nati.

Per questo motivo la legge romana non puniva l’aborto in sé, in quanto la donna non poteva essere considerata colpevole di aver commesso un delitto contro una cosa che in effetti non era un essere umano, ma al massimo era una parte del suo stesso corpo.

La legge in realtà sanzionava non la donna, ma chi (medico, levatrice, o altro) causava l’aborto. Questi personaggi infatti avevano leso secondo la legge romana il legittimo “proprietario” del corpo della donna, cioè il marito o il padrone nel caso si trattasse di una schiava, e venivano considerati responsabili non di aver ucciso un feto, ma di aver causato danni al corpo della madre. Cicerone cita la spes parentis, cioè il diritto del padre o del capo della gens di vedere nascere il figlio/discendente, soprattutto se il feto era destinato ad entrare in un asse ereditario di qualche famiglia importante. In ogni caso, i diritti del feto si perfezionavano solo alla nascita.

Ne conseguiva che la donna non sposata e libera che decideva di abortire non poteva essere incriminata di nulla, in quanto non aveva leso i diritti del padre o di un padrone. Di sicuro la donna che abortiva non era incriminabile di omicidio o altro.

L'influenza cristiana

Naturalmente il quadro cambiò quando il cristianesimo divenne religione di Stato, anche se meno rapidamente di quanto si creda. In realtà anche i cristiani non ebbero per secoli una visione precisa e univoca di quando l’essere umano poteva essere considerato vivo. Lo stesso Tommaso d’Aquino nella Summa diceva che l’anima non era insita nel corpo fin dal concepimento, per cui l’embrione e il feto non potevano essere considerati vivi fin dall’inizio della gestazione. Il primo Papa a considerare l’aborto un omicidio fu Sisto V, e si era già alla fine del '500. Fino al 1869 inoltre l’aborto venne considerato un delitto solo nel caso che il feto risultasse animatum, cioè in possesso di un’anima: al di sotto dei tre mesi dal concepimento o nel caso di feti morti in utero non si poteva parlare di omicidio.

Solo nel 1869, per i cattolici Papa Pio IX stabilì che il feto era da considerarsi possessore di anima fin dal concepimento, rifacendosi in questo alla tradizione ebraica.

In questo, i musulmani sono invece più vicini alla linea interpretativa della Chiesa delle origini fino a Tommaso d’Aquino. Infatti ritengono che l’anima entri nel feto solo dopo 40/120 giorni dal concepimento. Al di sotto di questo limite, l’aborto non è considerato un delitto. Inoltre l’aborto è consentito quando la madre corra rischio di vita e quando il feto dopo i 120 giorni non sia vivo.

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Come si vede quindi, la storia della legislazione sull’aborto è complessa e fin dall’antichità il tema pone problemi notevoli al legislatore. Persino culture che non accordavano particolari garanzie alla libertà della donna consentivano però gli aborti o non li consideravano un atto criminoso. Alle volte a scartabellare le leggi antiche si scopre che i nostri antenati erano più aperti e possibilisti di alcuni moderni passionari della vita.

O forse gli antichi, più semplicemente, avevano maggiore buon senso e comprensione per le vicissitudini umane.

Immagine anteprima via Wikimedia Commons

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