La letteratura italiana e le antologie per le scuole sono sessiste?
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In questi giorni è uscito su uno dei blog ospitati da Il Post un articolo scritto da Lorenza Pieri e Michela Violante intitolato “Storia tossica della letteratura italiana”. La tesi dell’articolo è spiegata nell’introduzione:
“Nelle antologie scolastiche il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie sono una costante. Le scrittrici sono assenti o relegate al di fuori del “canone”. Da generazioni assorbiamo, anche a scuola, attraverso la letteratura, una “cultura sentimentale” priva di equilibrio perché espressione di una visione del mondo prettamente maschile. Questa “cultura sentimentale” è inevitabilmente diventata la norma, perché di rado è stata o è oggetto di discussione; specchio del tempo in cui è nata, certo, ma inevitabilmente anche modello per il tempo successivo.”
L’affermazione è apodittica, e mischia insieme per altro una serie di problemi diversi.
Ma andiamo con ordine.
Sarebbe interessante sapere intanto in base a quali riferimenti sia stata elaborata. Quando si parla infatti di antologie (per altro senza specificare neppure per che ordine o tipologia di scuola) si entra in un mondo variegato e ricchissimo. Si parla di migliaia di volumi diversi pubblicati da case editrici differenti, con autori differenti e destinati anche a scuole con indirizzi specifici.
Non è chiaro se le autrici si basino su qualche studio a sostegno delle loro affermazioni, perché non viene citata alcuna fonte. Se però esistesse uno studio che appura tutto ciò sarebbe gravissimo, anche perché in aperta violazione con le leggi sull’editoria scolastica e sulle linee guida ministeriali ormai in uso da decenni. Davvero in Italia non esiste nemmeno un volume fra migliaia di letterature e antologie pubblicate ogni anno e costantemente aggiornate che abbia preso in considerazione le nuove tematiche relative alla letteratura femminile?
Ovviamente no. Se si scorrono gli indici dei volumi di antologie e letterature più recenti ci si accorge che il tentativo, più o meno riuscito, di sconfiggere questa vecchia impostazione sessista che relegava le donne e le autrici in secondo piano si sta facendo. I nomi di autrici, scrittrici e poetesse (ma anche di pittrici nei libri di storia dell’arte o di scienziate in quelli di scienza) sono citate più spesso, le loro opere inserite, e ci sono approfondimenti ad hoc che consentono anche di capire perché nel corso dei secoli l’apporto delle donne alla società sia costantemente sottostimato. Certo, il grosso degli autori presi in considerazione sono sempre e comunque maschi, ma qui il problema è anche di materiali disponibili. Purtroppo, visto che le donne raramente potevano accedere all’istruzione, la maggior parte delle opere letterarie è sempre stata composta da maschi, e in alcuni periodi trovare opere scritte da donne è estremamente difficile perché non sono proprio state prodotte o non si sono conservate, visto che nessuno le riteneva importanti e degne di considerazione. Questo fatto però viene spiegato all’interno delle antologie stesse e nelle schede di approfondimento, quindi in qualche modo si cerca di equilibrare questa visione distorta.
Perché le donne che scrivono non sono prese sul serio
Più problematica invece la prima affermazione, quella che dice che sessismo, pregiudizi di genere e vittimizzazione secondaria sono una costante. Anche qui non è ben chiaro a cosa si riferisca, ma il prosieguo dell’articolo consente di chiarirlo.
In pratica le due autrici lamentano che la scelta dei passi delle antologie sarebbe una sorta di galleria degli orrori di comportamenti maschili problematici.
Ora, già dire questo è portare un argomento scricchiolante. Se io, infatti, in una antologia propongo un passo con un protagonista che fa qualcosa di problematico ed eticamente scorretto (facciamo un esempio terra terra: metto un passo in cui il protagonista uccide una vecchietta per denaro, come accade in Delitto e castigo) questo non vuol dire automaticamente che io approvi o suggerisca agli alunni di considerare lecito questo comportamento o l’assassino un modello da seguire. Oltre al testo, in una antologia e in una letteratura va infatti tenuto conto del paratesto, cioè quell’insieme di commenti dei curatori, parafrasi, spunti di riflessione e di esercizi che vengono proposti a latere del testo proposto.
Le autrici dell’articolo, quindi, cosa vogliono dire? Che nelle antologie italiane (tutte) il paratesto, quindi i commenti e le contestualizzazioni sono sessisti e pieni di pregiudizi antifemminili? Una tale affermazione richiederebbe anche qui uno studio articolato e capillare su tutte le antologie pubblicate in Italia e ora adottate nelle scuole, per verificare quando e dove questo accada. Se si appurasse una cosa del genere, ancora una volta, sarebbe di una gravità inaudita, perché violerebbe per altro tutte le linee guida per i libri di testo scolastici. Ma le autrici non portano riferimenti a uno studio di tal genere. E quindi, di cosa stiamo parlando?
Le fiabe sono sessiste?
Da quello che si capisce, proseguendo, la critica riguarda i passi scelti. Ci si lamenta, infatti, che le letterature sono piene delle donne angelicate del Trecento (attribuite in realtà già alla scuola siciliana, mentre la donna angelicata è una caratteristica peculiare solo del circolo degli Stilnovisti), e del fatto che nella Commedia dantesca:
"Paolo e Francesca, raro se non unico esempio nelle nostre antologie di amore che oggi definiremmo “sano”, dopo essersi innamorati grazie alla passione condivisa per la lettura finiscono ammazzati e dannati. Vanno all’inferno perché più del sentimento conta il tradimento, dello sposo e del fratello. Dante lascia trapelare la propria pena (infatti sviene), ma la condanna è senza appello."
Questa ultima affermazione, per altro, è abbastanza imprecisa. Intanto, perché non è chiaro per quale motivo quello fra Paolo e Francesca debba essere additato come “unico esempio di amore sano” (visto che per altro poco sappiamo della loro storia, tranne il fatto che sono stati ammazzati, tutto il resto sono illazioni nostre o di Dante); ma va detto che sì, finiscono all’inferno perché amanti e traditori non pentiti, ma al marito tocca una sorte ben peggiore: finisce infatti nella Caina, uno dei posti più orribili dell’inferno, perché comunque aver ucciso moglie e fratello per una questione di corna non viene considerata una giustificazione valida. In pratica Dante, con tutto che viveva nel Medioevo, aveva una mentalità più aperta dei legislatori che conservarono fino al 1981 il delitto d’onore nella nostra legislazione.
Resta però aperto un problema: il fatto che l’antologia riporti il passo dantesco è indice che esso venga presentato agli alunni come un esempio? Cioè che in classe venga detto e spiegato che Francesca e Paolo meritano di finire all’inferno (di essere uccisi no, perché vediamo che nemmeno Dante assolveva l’omicida)?
Perché se questo non viene fatto, e lo spunto dantesco per esempio viene magari usato (come si fa assai spesso) proprio per parlare della differente mentalità dei giorni nostri, discutere su come i matrimoni combinati siano una usanza barbara e ingiusta sia per i maschi che per le femmine, dialogare sui presupposti delle mascolinità tossica che porta il marito Cianciotto al femminicidio della moglie e all’assassinio del suo stesso fratello, dove starebbe l’impostazione sessista e piena di pregiudizi? Non è forse proprio un compito precipuo della scuola aiutare lo sviluppo del senso critico negli alunni, spingedoli a riconoscere e ragionare sulle differenze di mentalità fra le varie epoche storiche e società? Cioè, detto in soldoni, cosa c’è di sbagliato nel proporre in classe questo passo dantesco, posto che non è detto e non è provato che Cianciotto e la mentalità maschilista vengano proposte come “normali” o giustificate? O i docenti dovrebbero evitare di proporre in classe questo passo solo perché parla di una società e di una mentalità diversa dalla nostra?
La carrellata di passi additati come sessisti continua poi con la novella del Boccaccio su Nastagio degli Onesti e prosegue con citazioni di passi di Ariosto e Tasso. Ad Ariosto per esempio viene contestato il fatto di aver descritto la pazzia di Orlando, che perde la testa quando scopre che la bella principessa cinese Angelica di cui è innamorato gli preferisce Medoro, spiantato fante saraceno.
"Nei poemi cavallereschi l’amore è tema centrale. Nell’Orlando Furioso le due principali storie d’amore non sono soltanto amori tormentati da circostanze avverse, ma mettono in scena una gamma di reazioni che oggi sarebbero annoverate come gravi patologie psichiatriche. Orlando è innamorato di Angelica, la bellissima e capricciosa principessa orientale di cui tutti si innamorano al primo sguardo (finora, a parte Paolo e Francesca, non abbiamo ancora sentito parlare di un amore che sia nato conoscendo una donna o parlandole, basta sempre e solo l’apparizione, la visione di una bella fanciulla). Quando il paladino cristiano scopre che Angelica è innamorata di Medoro, che è solo un fante e per di più saraceno, diventa matto («a farsi moglie d’un povero fante» «l’ingrata donna venutasi a porre col suo drudo», sono versi di orgoglio ferito che sembrano i tris-trisavoli del famoso «è andata a casa con il neg*o, la t*oia» che si ascolta in Colpa d’Alfredo di Vasco Rossi, oggi riconsiderata scorretta)."
Anche qui non si capisce bene il problema didattico di usare in classe passi del genere. Orlando non viene di certo percepito oggi nelle classi come un eroe “positivo”, ma per altro non era presentato tale nemmeno da Ariosto, che appunto lo considerava un tizio che dà di matto e diventa pericoloso per se stesso e gli altri. Quindi esattamente perché proporre questa lettura sarebbe sbagliato? Orlando era persino nel ‘500 e dal suo stesso autore considerato un esempio diremmo oggi di “mascolinità tossica” (potremmo usare un termine più semplice: Ariosto lo considerava un imbecille) che ha bisogno dell’aiuto di amici più savi di lui per tornare sulla retta via e dimenticare l’ossessione assurda per Angelica.
È sessista tutto ciò? No. Certo che anche qui i parametri della società sono diversi dai nostri, e le eroine di Ariosto come quelle di Tasso sono profondamente legate ai valori dell’epoca in cui sono state concepite, e certo sono femmine descritte da maschi. Ma da qui a considerare inutilizzabili i passi e le opere ce ne passa, e giudicare sessista una antologia che selezioni questi passi per proporli in classe è abbastanza assurdo.
Altrettanto perplessi lasciano le critiche mosse alle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo:
"Nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, l’infelice Jacopo, innamorato di Teresa, promessa sposa a un uomo che non ama, si ammazza (come il giovane Werther di Goethe), dopo averle scritto una lettera che oggi sarebbe portata a esempio di vittimismo passivo-aggressivo: «Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te e certo del tuo pianto! …consolati, e vivi per la felicità de’ nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri!»."
Ora, onestamente, già ridurre la scelta suicida di Jacopo a una delusione d’amore è profondamente errato (il Foscolo si sarebbe invelenato come una biscia, visto che il motivo presente fino dall’inizio “il sacrificio della patria nostra è consumato” e fondante del libro è proprio l’amore per la patria, Venezia, svenduta agli Austriaci). Ma non capire che il tono profondamente retorico e talvolta esagerato del libro è proprio la cifra dell’epoca romantica. Jacopo non è passivo aggressivo, è un ragazzo che vuole essere degno del titanismo romantico e consumare un estremo sacrifico per protestare per il tradimento della patria. In questo è vero la figura dell’amata resta una coprotagonista molto in ombra. Ma non si capisce dove sarebbe il sessismo in questo: Jacopo è un personaggio sopra le righe, leggerlo in classe può anzi essere assai utile a discutere del senso di spaesamento di molti adolescenti e della loro incapacità a gestire spesso emozioni troppo forti, che può talvolta spingerli a scelte estreme e sconsiderate. Ancora una volta, dal punto di vista didattico, sfugge per quale motivo proporre questa lettura dovrebbe essere sbagliato o controproducente.
Non va meglio con Goldoni, che secondo le autrici dell'articolo sarebbe lo stesso da censurare:
"Goldoni, idem. Certo, una delle sue commedie più lette e rappresentate, sempre presente nelle antologie scolastiche, ha per protagonista una donna apparentemente emancipata e autonoma. Era ora!, verrebbe da dire. In realtà La locandiera, a leggere bene, non è che una versione un po’ più allegra di uno dei due ruoli concessi alle donne: cioè la furba manipolatrice, che con sataniche capacità seduttive porta tutti gli uomini, anche quelli meno ingenui, a fare quello che vuole lei senza che loro possano opporre resistenza."
Mirandolina ridotta a una manipolatrice senza scrupoli? Viene davvero da chiedersi che edizione della commedia abbiano letto (a dire il vero se abbiano letto in generale le commedie di Goldoni che dalla Pamela alla Putta onesta ai Rusteghi sono piene di donne di carattere che rivendicano spazi di libertà e di autonomia). Ridurre la Locandiera a questo vuol dire non aver minimamente capito lo spirito e le intenzioni di Goldoni, e per altro sarebbe difficile trovare una letteratura o una antologia dove il personaggio venga descritto in termini così superficiali e sbrigativi. Anche qui, se davvero esistono libri di scuola che propongono queste visioni, sarebbe bene citarli perché il problema principale nel caso non sarebbe nemmeno il sessismo, ma che dicono un sacco di stupidaggini.
Arrivare al Novecento non migliora la situazione: l’articolo porta avanti questa confusione metodologica che mischia insieme passi letterari e giudizi sul sessismo. Il punto è che se si vogliono attaccare le antologie come sessiste, si dovrebbero portare esempi di paratesti sessisti specifici, in cui si affermi che i comportamenti borderline dei protagonisti e le loro scelte sono giustificate o giustificabili. Così invece è solo un elenco di autori e passi, per altro interpretati in maniera discutibile, come quando si dice che le donne nella Coscienza di Zeno sono comprimarie: nella Coscienza di Zeno tutti sono comprimari tranne Zeno, ma stiamo parlando appunto di un uomo che scrive un diario per il suo psicanalista perché ha dei problemi mentali riconosciuti che deve risolvere, e non certo di un eroe positivo: quindi anche qui, la critica che senso ha? Per non parlare di Pascoli definito cringe di cui si ricordano presunti rapporti incestuosi con le sorelle (e quindi?).
L’apice però si tocca con il riassunto de Gli Indifferenti di Moravia:
"A volte a scuola si arriva anche ad Alberto Moravia (lo scorso anno, per esempio, all’esame di Stato c’era una traccia su Gli indifferenti, storia assai tossica in cui una madre e una figlia si contendono un amante) che racconta le donne come vacue opportuniste borghesi, quasi mai slegate dalla dimensione erotica, l’unica in cui sembra abbiano il potere di muoversi per esercitare la propria volontà (concedersi a un uomo, negarsi, sfruttare il desiderio di lui)."
Ora anche qui: a parte il fatto che qui non si sta contestando una scelta antologica, ma la poetica di un autore, il che è cosa diversa, Gli indifferenti basano proprio la loro trama sulla critica alla società fascista ipocrita che voleva propagandare un'immagine della donna angelo del focolare e priva di pulsioni erotiche e sessuali, madre e moglie esemplare. Paradossalmente Moravia vuole dipingere donne sensuali proprio per contestare una visione retriva delle donne e della loro sessualità, denunciare il perbenismo di una società che consente relazioni e rapporti malati purché non vengano messi in piazza e rinnegare quel tipo di mentalità che riduceva la donna a una incubatrice per la Patria.
Parlare di questo in classe, far ragionare gli alunni su queste tematiche è sessista? Non è perfettamente in linea invece con quella educazione all’affettività che le due autrici appoggiano e reclamano?
Perché il punto è questo: la scuola non è una fabbrica di bulloni in cui dato un materiale esce fuori un prodotto. È una bottega artigiana, o meglio un laboratorio di un alchimista, in cui dati dei passi da leggere la loro interpretazione e la loro comprensione viene fatta mediante contestualizzazione, dibattito, critica. Pertanto dire che questi brano e questi autori promuovono modelli di mascolinità e femminilità tossiche e patriarcali non ha senso: è come dire che se leggo un passo del Mein Kampf o faccio ascoltare un discorso del Duce nelle ore di Storia sto facendo apologia di Nazismo e Fascismo. Io, come insegnante, posso decidere di usare in classe il peggior materiale del mondo perché lo leggo appunto criticamente, ci discuto sopra, ne mostro i limiti e le controindicazioni.
Posso spiegare in classe lo scontro fra Agamennone e Achille per dimostrare come si tratti di due maschi viziati che non capiscono nulla di come si gestiscono le relazioni sociali, usare il passo più patriarcale per far emergere una critica alla società che l’ha partorito e all’autore che l’ha scritto.
Le antologie moderne danno strumenti per fare ciò. Magari in maniera ancora incompleta e limitata, ma va detto che il campo dei gender studies è nuovo e in Italia non siamo certo avanzatissimi in merito. Di certo però abbiamo fatto clamorosi passi avanti e nelle scuole le lezioni e le interpretazioni che si sentivano fino a venti/ trenta anni fa oggi sarebbero improponibili, anche perché gli stessi alunni darebbero segni di insofferenza.
Perché poi la scuola è fatta soprattutto di persone, e non solo intendendo gli insegnanti, ma soprattutto gli alunni. Andare in una classe di oggi a proporre una lettura “vecchia” di un’opera letteraria è improponibile perché gli stessi studenti non la accetterebbero. Le classi, persino quelle delle medie, pullulano di ragazzini e ragazzine che si inalberano perché Francesca viene mandata all’inferno, si arrabbiano perché non è giusto che la Monaca di Monza sia costretta a prendere i voti, guardano Lucia con compassione lasciando intendere che avrebbe dovuto svegliarsi e aiutarsi da sola, giudicano D'Annunzio un trombone privo di qualsiasi fascino e sotto sotto lasciano intendere che Beatrice e Laura, sì, per carità, erano buona e cara, ma tutto sommato sia comprensibile che a un certo punto abbiano ghostato Dante e Petrarca, perché di tizi simili, pur se grandissimi poeti, dopo un po’ ne hai le scatole piene.
Fermo restando che poi, in conclusione dell’articolo, le stesse autrici non sanno trovare di meglio che un generico invito a inserire più autrici e altri passi, ma senza fornire referenze precise. Chi aggiungiamo in alternativa a Dante o Ariosto? E siamo certi che i testi di autrici avrebbero una visione necessariamente diversa? Perché il punto è che anche le donne nei secoli passati spesso condividevano la visione sessista della società, e quindi non è detto che basti cambiare il sesso dell’autore per avere una visione più libera e meno maschilista.
Ciò che si può fare e si sta facendo in breve è già fornire apparati critici e spunti di riflessione sulle tematiche di genere nei nuovi libri di testo, e c’è tutta una nuova generazione di colleghi che, vuoi perché cresciuti in una società diversa, vuoi perché più formati e sensibili su questi argomenti, già invitano gli alunni a riflessioni in tal senso. E persino fra noi più anziani queste tematiche sono sentite e affrontate.
Si può fare di più e meglio? Certo. Ma scrivere articoli come quello di cui parliamo non è chiaro a cosa dovrebbe servire o in cosa rinnovi il dibattito.
Le autrici dell'articolo “Storia tossica della letteratura italiana”, Lorenza Pieri e Michela Volante, ci hanno inviato una email che, su loro richiesta, pubblichiamo congiuntamente alla risposta di Galatea Vaglio.
"Gentile redazione di Valigia Blu,
siamo le autrici dell'articolo “Breve storia tossica della letteratura italiana” uscito sul Post sabato scorso e che ha suscitato la reazione di Galatea Vaglio sul vostro sito. Abbiamo letto con attenzione “La letteratura italiana e le antologie per le scuole sono sessiste?” e rispetto alle critiche che ci vengono mosse ne riteniamo inaccettabile una: il fatto che ci venga attribuita una volontà censoria. Vaglio sottintende per tutto l’articolo che noi auspicheremmo di non utilizzare in classe i testi di cui parliamo e questo è falso. Semplicemente, non lo diciamo in nessun punto del nostro pezzo. Sostiene che noi vorremmo “evitare di proporre in classe” o che per noi sia "problematico usare certi testi”, che consideriamo "inutilizzabili dei passi” o certe "letture come controproducenti”. In nessun punto del nostro articolo scriviamo assurdità del genere. Vaglio riporta stralci del nostro articolo introducendoli con dei passaggi in cui ci attribuisce delle intenzioni non solo non nostre ma addirittura contrarie a quanto abbiamo scritto. Inoltre in nessun punto del nostro ragionamento sosteniamo che leggere qualcosa sia automaticamente avallarlo o portarlo a modello mentre Vaglio ridicolizza il nostro pensiero critico: “Se leggo in classe Delitto e castigo non sto suggerendo agli allievi di considerare lecito questo comportamento”; invece noi sosteniamo il contrario?
Ma il punto in cui si palesa al meglio tutto il travisamento di cui siamo oggetto è là dove Vaglio scrive che per noi Goldoni sarebbe da CENSURARE, che vorremmo sostituire Dante e Ariosto e addirittura insinuando che per noi far ragionare i ragazzi su certi concetti sia di per sé sessista. Nulla di tutto ciò è nel nostro articolo. Anzi, leggendolo si può chiaramente evincere che sosteniamo il contrario, auspicando che questi passi diventino oggetto di discussione per la famosa “educazione all’affettività”. È da questo infatti che prende le mosse il nostro invito: prendiamo spunto da ciò che si studia in letteratura per parlare di come si perpetuano stereotipi di genere e modelli di relazioni sperequate. Sappiamo che molti insegnanti fanno già questo lavoro in classe, così come sappiamo che le antologie di oggi sono molto più ricche e piene di apparati più attenti al tema, ma che la parità di voci è ancora lontana a venire e parlare in classe di certi temi non è ancora la regola. Di sicuro il nostro pezzo da nessuna parte auspica una “ripulitura” delle antologie.
Sinceramente, è sconfortante leggere un articolo come questo sulla vostra pagina, sempre così attenta alla correttezza e alle verifiche dei fatti. L'articolo di Vaglio non è solo una legittima critica ma una lettura distorta che ci affibbia concetti censori che proprio non ci appartengono, né in questa riflessione né nelle nostre idee.
Vi pregheremmo di pubblicare questa nostra risposta.
Grazie, un caro saluto e buon lavoro
Lorenza Pieri e Michela Volante"
"Gentili Lorenza Pieri e Michela Violante,
vi ringrazio per l'email che mi dà l'occasione di chiarire ulteriormente il senso del mio articolo.
Spiace che voi attribuiate a me o a Valigia Blu l'intento di "affibbiarvi concetti censori". In nessuna parte dell'articolo vi viene in alcun modo attribuito né è “sottinteso” quanto da voi sostenuto. Ed è difficile che vi sia stato un qualche travisamento delle vostre posizioni, dal momento che ho riportato parola per parola le vostre affermazioni dal vostro scritto.
Per quanto riguarda il passaggio su Goldoni, ho utilizzato il verbo “censurare” nel suo primo significato (riportato pari pari dal vocabolario Treccani), quello di “biasimare, riprendere”, e in questo senso appunto viene usato nel mio scritto, dal momento che Goldoni, come altri autori italiani, è stato nel vostro articolo biasimato per le sue posizioni a vostro avviso sessiste.
Pertanto, ritengo che il mio articolo non dia una lettura distorta del vostro scritto, ma al contrario attenta e meticolosa, che ha segnalato punto per punto, citandole, le vostre affermazioni, e sottolineando le criticità, a mio avviso, presenti.
Infine, per trasparenza, vorrei precisare un'ultima cosa. Per mia natura, odio i sottintesi: se devo dire qualcosa la dico apertamente. E così è stato anche in questa occasione.
Cordiali saluti,
Mariangela Vaglio"
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