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L’era dei tuttologi è finita

24 Agosto 2013 4 min lettura

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L’era dei tuttologi è finita

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La potenza di Internet sta nel fatto che (a volerlo fare) ci si può informare prima, meglio, in qualsiasi luogo e momento.
Quella stessa potenza, però, è figlia di un'altra dinamica complementare: in tanti possono informare, prima, meglio, in qualsiasi luogo e momento. Senza che nessuno debba dare il permesso. Questo, chiaramente, porta alla produzione di tanti contenuti inutili, insieme ad altrettanta qualità.

La (giustamente) stra-citata teoria della Coda Lunga di Chris Anderson spiegava molto bene cosa stava per succedere al mondo dei cosiddetti "beni immateriali", cioè tutti quei prodotti o servizi che non hanno bisogno di una controparte fisica per essere comprati, venduti, scambiati. Il giornalismo ad esempio. O la musica. È finito per sempre il dominio del distributore nello stabilire cosa leggere, cosa comprare, a quali condizioni.

Non è più la casa discografica che costruisce il mio mercato possibile scegliendo quali dischi e quali artisti avevano più possibilità di essere venduti e mandandoli nei negozi, cioè l'unico posto dove fino a 15-20 anni fa si poteva acquistare un album. Non è più il direttore del giornale che decide quale pezzo merita di essere letto e quale no.

Tantissimi giornalisti freelance, blogger, pensatori scrivono bene, in ogni parte del mondo. Sono già concorrenza del "mainstream" informativo. E sono concorrenza basata spesso sulla qualità, non solo sulla quantità. Leggo chi conosce le cose di cui parla. Chi le conosce perché è un addetto ai lavori, perché è "sul campo", perché ha studiato.

È l'utente, e non la multinazionale della musica, che decide quando, cosa, dove, come, chi ascoltare. È il lettore, e non il grande gruppo editoriale, che decide quando, cosa, dove, come, chi leggere. Decide se farlo gratuitamente o a pagamento, in download o in streaming, legalmente o illegalmente.

Questo comporta due trasformazioni. Primo: nessuno può più godere di rendite di posizione dovute alla fama o al precedente successo. La sfida si sposta sul piano della credibilità e della reputazione: due punti di forza che richiedono lavoro quotidiano. In un "mercato" infinito (musicale, giornalistico, artistico, persino politico), si ha una scelta infinita e quindi, quando il prodotto che è stato scelto fino al giorno prima non piace più, l'utente cambia. Semplicemente. Spesso senza dirtelo. Spesso senza acredine. Sceglie, e sceglie ciò che è meglio per lui.

Questo vale per tutti i personaggi esposti pubblicamente. Lady Gaga, con il nuovo singolo, ha venduto un terzo di Katy Perry nella prima settimana dall'uscita, pur essendo infinitamente più talentuosa (questa è una mia contestabilissima opinione). Ed è colpa sua, dato che "Applause" è un pezzo banalissimo.

Sopravvive chi capisce il contesto, lo elabora, studia, si aggiorna. Si torna a una logica artigianale nella cura dei dettagli, a un paradossale ritorno alla dimensione monotasking della produzione (fare benissimo una cosa per volta), all'interno di una logica multitasking dell'apprendimento (la cura del dettaglio richiede molto studio, spesso multidisciplinare).

Secondo (diretta conseguenza della prima). Se mai c'è stata la stagione dei tuttologi, è finita per sempre. L'idea che il più bravo giornalista d'Italia o del mondo, chiunque sia, possa parlare con preparazione eccellente di qualsiasi cosa è stata superata dall'idea che se metti insieme x persone brave su y argomenti, ti danno una qualità che nessun individuo, da solo, ti può dare.

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A questa sfida, per il momento, il giornalismo "tradizionale" non riesce a rispondere con l'efficacia che servirebbe in un momento di trasformazione così profonda. Vinceranno i modelli editoriali che terranno insieme persone diverse, tutte impegnate nei loro percorsi individuali di lavoro o di formazione, vinceranno i giornali che si "accendono" solo quando c'è "la notizia" e si accendono (solo) con le voci di chi scrive con passione e competenza (e dunque anche facilità) dei propri argomenti di riferimento. Vinceranno quei siti di informazione dove l'utente sa di trovare sempre qualcosa di interessante.

Non vincerà l'idea attuale di giornale, quella secondo cui bisogna occuparsi di tutto per forza ogni giorno, anche quando non c'è assolutamente nulla di interessante da scrivere su un determinato argomento. E dove magari scrivono sempre gli stessi, perché le organizzazioni redazionali del mondo pre-Internet sono fatte così.

[tweetable]"Nell'era dell'overload informativo, chi mi fa perdere tempo mi fa male"[/tweetable], mi disse una volta Arianna Ciccone. Questa frase basta e avanza a capire in che direzione bisognerebbe andare. Forse.

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