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“I siriani festeggiano quando i generali russi coinvolti in crimini di guerra in Siria sono uccisi in Ucraina”

25 Luglio 2024 18 min lettura

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“I siriani festeggiano quando i generali russi coinvolti in crimini di guerra in Siria sono uccisi in Ucraina”

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Intervista di Maria Shinkarenko

Leila Al-Shami è un'autrice e attivista britannico-siriana. Ha lavorato nel campo dei diritti umani in Siria, partecipa a movimenti di solidarietà internazionale ed è autrice del libro "Burning country. Syrians in revolution and war" insieme Robin Yassin-Kassab. È diventata nota anche per le sue critiche al cosiddetto "antimperialismo idiota" della sinistra occidentale.

Per la stragrande maggioranza degli ucraini, prima del 2011 la Siria era probabilmente solo un altro paese arabo, ma dopo l'inizio della guerra è diventata il simbolo del cammino che non vorremmo si ripetesse. Cosa distingueva il regime di Assad da regimi simili in Nord Africa?

Nel corso della sua storia, la risposta del regime di Assad a qualsiasi tipo di dissenso è sempre stata la repressione violenta. Negli anni '70 c'è stato un movimento contro il regime di Hafez Al Assad (padre dell'attuale presidente). Quello che era nato come un movimento eterogeneo, finì per essere concentrato nella città di Hama e guidato dai Fratelli Musulmani. La risposta del regime è stata quella di inviare l'aviazione e distruggere completamente la città. Tra i 20 e i 40 mila civili furono uccisi, mentre altre migliaia scomparvero nelle prigioni del regime.

Quando nel 2011 scoppiò la rivoluzione contro il regime, molti siriani erano ottimisti e pensavano che Bashar Al Assad avrebbe introdotto le riforme. Era al potere da un decennio e molti credevano che fosse fondamentalmente diverso da suo padre, che fosse un modernizzatore più orientato verso l'esterno. Quando è salito al potere ha parlato molto della necessità di riforme, anche se si è concentrato principalmente su quelle economiche piuttosto che su quelle politiche. Alla fine, ha risposto alle richieste del popolo nell'unico modo che questo regime conosce: terrorizzandolo fino alla sottomissione.

Avendo lavorato nel campo dei diritti umani in Siria, con i prigionieri politici, durante il primo decennio di potere di Bashar, mi aspettavo che la risposta alla rivoluzione iniziata nel 2011 sarebbe stata la repressione. Sebbene non mi aspettassi la portata dell'orrore che si è manifestato, non ero nemmeno ottimista sul fatto che Assad si sarebbe dimesso rapidamente, come avvenuto per i dittatori in Tunisia e in Egitto.

In Egitto, il regime militare era al potere e il suo volto era Mubarak. È stato quindi facile sacrificare Mubarak e mantenere i militari al potere. In Tunisia è stato simile e hanno potuto sacrificare Ben Ali - c'è stata una transizione verso la democrazia, ma la vecchia classe dirigente era in attesa di tornare. In Siria è un po' diverso. Lì il capo del regime è il regime stesso. Il potere è molto concentrato nelle mani della famiglia Assad. Inoltre, il regime ha giocato la carta del settarismo - proviene dalla minoranza alawita - riuscendo così a mantenere il sostegno di molte minoranze contro l'opposizione prevalentemente sunnita, contro la quale era pronto a mettere in atto una violenza genocida. Inoltre, il regime ha avuto il sostegno di Russia e Iran che sono intervenuti per proteggerlo.

Il sostegno russo ha avuto un ruolo significativo nell'aiutare Assad nel momento per lui più difficile?

Sia la Russia che l'Iran sono intervenuti a sostegno del regime nei momenti in cui era vicino al collasso e sembrava che la rivoluzione potesse riuscire. L'Iran ha fornito alla Siria un massiccio sostegno economico e finanziario e ha inviato molte milizie a combattere in Siria - il che ha conferito al conflitto una dimensione settaria, in quanto le milizie sciite sostenute dall'Iran combattevano contro la maggioranza sunnita siriana. Inoltre, l'Iran è intervenuto direttamente nel 2013, consentendo al regime di compiere progressi significativi contro l'opposizione.

La Russia ha fornito aerei e bombe e fornisce sostegno politico al regime nei forum internazionali. La Russia è intervenuta direttamente in modo militare nel 2015 e ha bombardato molte parti del paese.

Se la Russia e l'Iran non fossero intervenuti, Assad sarebbe stato cacciato molto tempo fa. Sono il sostegno straniero e le bombe straniere a mantenere il regime al potere, contro la volontà della stragrande maggioranza della popolazione siriana.

Mentre leggevo il tuo libro Burning country. Syrians in revolution and war, non riuscivo a credere che una tragedia del genere potesse accadere su una tale scala. Vedendo gli orrori che si stanno svolgendo in Ucraina, le atrocità affrontate dai siriani diventano più tangibili per noi e quindi mi immedesimo davvero nel popolo siriano.

Sì, è devastante. È ancora più difficile perché questo orrore è iniziato da una posizione di grande speranza e fiducia nella rivoluzione. La rivoluzione ha avuto così tanti successi. Abbiamo visto, in tutto il paese, la gente auto-organizzarsi per gestire i propri affari quotidiani, istituire consigli locali indipendenti ed eleggere i rappresentanti- la loro prima esperienza di democrazia dopo decenni. La gente ha gestito scuole, strutture idriche e igieniche, ospedali. Hanno creato giornali e stazioni radio indipendenti. Sono stati creati molti centri femminili per incoraggiare le donne a svolgere un ruolo attivo nella rivoluzione e nella vita della comunità. Nulla di tutto questo è stato possibile sotto il totalitarismo di Assad, dove tutta la società civile è stata limitata. Questa è sempre stata la più grande minaccia per il regime - perché mostrava che un'alternativa democratica era possibile - ed è per questo che è stata repressa così selvaggiamente.

Potresti parlarci della politica internazionale del regime siriano prima del 2011? Quali erano i rapporti con l'URSS durante la Guerra Fredda? In che modo questo ha influenzato il regime?

La Siria aveva uno stretto rapporto con l'URSS durante la Guerra Fredda, anche se il regime siriano reprimeva brutalmente i comunisti. L'URSS ha sponsorizzato Hafez Al Assad, mentre costruiva relazioni per espandere la propria sfera di influenza in opposizione alle potenze occidentali. Ha fornito armi, addestramento e intelligence all'esercito siriano. Molti siriani si recarono in URSS per studiare durante questo periodo.

L'URSS usava questo tipo di scambio culturale come tattica per indottrinare i cittadini dei paesi alleati. Di recente ho parlato con alcuni attivisti dell'Africa occidentale, che hanno raccontato storie simili di come l'URSS abbia aiutato gli africani a studiare lì. Alcuni di questa generazione di africani ora sostengono gli interventi di Putin in Africa, considerandoli un baluardo contro l'imperialismo occidentale/francese, quindi la tattica ha funzionato.

Quando l'Unione Sovietica è crollata, Hafez Al Assad è stato molto veloce nel fare perno sugli Stati del Golfo e ha iniziato ad attuare riforme neoliberali per aprire il paese agli investitori del Golfo. Ma le relazioni con la Russia sono state mantenute e quando Putin è salito al potere ha voluto riallacciare i rapporti con il Medio Oriente, considerandolo utile nella lotta geopolitica della Russia contro l'Occidente.

Non credo che la Russia veda alcuna affinità ideologica con il regime siriano e non lo percepisca come un partner importante. Penso che il sostegno della Russia ad Assad sia stato usato come un modo per contrastare l'influenza occidentale e nel caso della Siria, la Russia è ora più influente delle potenze occidentali.

Vorrei capire se la Russia sfrutta le opportunità educative del Sud globale per diffondere le proprie idee. Uno dei miei medici qui a Vienna è siriano e accetta pazienti ucraini soprattutto perché parla russo. Abbiamo avuto una conversazione politica e mi ha detto di essere siriano, così ci siamo scambiati le nostre solidarietà. Ma la prima cosa interessante è che è andato a studiare in Russia dove ha imparato il russo. Poi il suo paese ha subito l'intervento e i bombardamenti russi. Mi chiedo quindi come la gente siriana veda ora la Russia.

La risposta a questa domanda dipende dai siriani a cui si chiede. I siriani affiliati al regime vedranno la Russia come un alleato, nonostante anche all'interno di questo campo ci sia preoccupazione per l'influenza esterna, che provenga dalla Russia o dall'Iran.

Ma per il resto di noi siriani, la maggioranza, la Russia è una potenza imperialista. È intervenuta a sostegno di una dittatura fascista per compiere un genocidio contro il popolo siriano. I bombardamenti aerei russi hanno distrutto ampie zone del paese e hanno preso di mira specificamente le infrastrutture civili, come gli ospedali, nelle aree controllate dall'opposizione. La Russia è stata ricompensata per il suo sostegno con lucrosi contratti per il petrolio e il gas. La società russa Stroytransgaz, di proprietà di un oligarca legato al Cremlino, ha ottenuto il 70% di tutti i ricavi della produzione di fosfati per i prossimi cinquant'anni. La Siria possiede una delle più grandi riserve di fosfati al mondo. Sono state create basi militari russe e le feste nazionali russe sono ora "celebrate" in Siria.

Il sostegno della Russia al regime non è solo militare, ma anche politico. Ad esempio, sulla scena internazionale, la Russia svolge in Siria il ruolo che gli Stati Uniti svolgono per Israele. Tutte le mozioni che vengono presentate al Consiglio di Sicurezza o agli organi delle Nazioni Unite sono sempre oggetto di veto da parte della Russia. La Russia offre questa protezione politica per bloccare qualsiasi strumento di responsabilità internazionale o per portare avanti un accordo di pace che non sia alle condizioni del regime. La Russia è stata molto attiva nel cercare di ottenere "accordi di pace", ma non si tratta di accordi di pace veri e propri. Stanno cercando di costringere i siriani a capitolare alle condizioni del regime.

Prima hai detto che ci sono siriani con opinioni diverse. Oggi la Siria è in gran parte associata al jihadismo e alla lotta settaria di tutti contro tutti. Ma la rivoluzione siriana è nata come una protesta democratica di massa che ha di fatto unito cittadini di diverse etnie e religioni. Su questo settarismo e sull'attuale frammentazione quanto hanno inciso le politiche dividi et impera del regime, i jihadisti e l'incapacità dell'opposizione democratica di mettere da parte pregiudizi e opportunismo per una solidarietà più ampia?

Mettiamo in chiaro un aspetto del regime: la famiglia Assad proviene dagli alauiti, che è una minoranza all'interno della Siria. La maggioranza della popolazione è musulmana sunnita, ma ci sono anche sciiti, cristiani, drusi e altri. Quando è iniziata la rivolta, si trattava di un movimento molto eterogeneo. Comprendeva uomini e donne di ogni estrazione sociale, di ogni gruppo religioso ed etnico. Ci sono stati molti tentativi di non cadere nel settarismo. Nelle proteste la gente chiedeva l'unità tra tutti i siriani, teneva cartelli e striscioni che facevano appello alle comunità minoritarie, e così via.

Di sicuro un forte movimento democratico senza settarismi al suo interno rappresentava la più grande minaccia per il regime di Assad, perché avrebbe potuto ottenere un sostegno a livello internazionale. Quindi il regime di Assad ha dovuto settarizzare e islamizzare il conflitto. E lo ha fatto molto deliberatamente, con una vera e propria ingegneria del settarismo. Ad esempio, nel 2011-2012, quando il regime stava radunando e detenendo tutti i manifestanti pacifici a favore della democrazia, ha fatto uscire di prigione molti estremisti islamici. E molti di questi hanno assunto la guida di alcune tra le brigate più estremiste esistenti. Ad esempio, sono stati rilasciati Hassan Aboud, uno dei fondatori di Ahrar al-Sham, e Zahran Alloush, l'ex leader di Jaysh al-Islam, oltre a persone che sono diventate figure di spicco nel Fronte al-Nuṣra, affiliato ad Al-Qaeda, e anche nell'ISIS.

Il regime ha agito in questo modo per inviare un messaggio a un pubblico sia esterno che interno. All'esterno, ha voluto dire: "guardate, questo è parte della Guerra al terrorismo, stiamo combattendo gli estremisti islamici, io posso non piacervi, ma questi ragazzi con la barba sono dieci volte peggio". All'interno, ha inviato un messaggio ai gruppi di minoranza, alla comunità alawi, ai gruppi cristiani, anche qui per dire: "io posso non piacervi, ma l'alternativa è peggiore, e se questi estremisti islamici salgono al potere, le minoranze non saranno al sicuro".

La tattica ha funzionato sia sul fronte interno che su quello internazionale. Il regime ha anche creato un conflitto settario inviando bande armate di gruppi alawiti noti come shabiha nelle comunità sunnite per compiere massacri. L'idea era quella di provocare una reazione e far sì che le comunità sunnite andassero nelle comunità alawite e sciite e commettessero massacri. A volte ha funzionato, provocando rappresaglie.

Ma, come facevi notare, si tratta di una politica dividi et impera. E purtroppo, oggi ci sono molti gruppi minoritari che non sosterrebbero necessariamente il regime, ma si sentono più sicuri a stare dalla parte del regime che dall'opposizione. E nel tempo, soprattutto a causa dell'intervento dell'Iran, il conflitto è diventato sempre più settario.

Come ha influito la militarizzazione sulla rivoluzione? C'erano alternative?

Credo sia importante riconoscere prima di tutto che la militarizzazione era inevitabile. Il regime usava la violenza di massa contro chi si opponeva e la gente doveva difendere sé stessa e le proprie comunità. È diventata una lotta per la sopravvivenza. I metodi di lotta pacifica sono inadeguati quando un regime è pronto a usare tattiche di sterminio contro una popolazione civile.

Ma la militarizzazione porta con sé una serie di problemi. Mette da parte gli attivisti civili, quelli che lavorano nelle loro comunità e che sono la spina dorsale della rivoluzione. Dà potere ai signori della guerra e ai gruppi autoritari e consente alle potenze straniere (che forniscono le armi) di influenzare il movimento - sempre in modo da servire i loro interessi, non quelli dei rivoluzionari.

Esisteva un'altra strada: fornire sostegno all'opposizione democratica, a coloro che stavano costruendo alternative al regime nelle loro comunità, anche sotto i bombardamenti più feroci. Se queste persone avessero ricevuto la solidarietà che meritavano, l'aspetto militare non sarebbe diventato così dominante e la resistenza civile avrebbe avuto più forza.

Qual è il ruolo della sinistra nella rivoluzione siriana? So che ci sono molte voci di spicco come Yassin al-Haj Saleh, Riyad al-Turk, Omar Aziz. Cosa puoi dire della sinistra?

In Siria non c'era una grande sinistra indipendente e organizzata per due motivi. In primo luogo, il regime di Assad ha represso tutti gli esponenti della sinistra indipendente, che sono finiti in prigione o sono fuggiti dal paese. Il regime ha poi cooptato un'ampia sezione della sinistra tradizionale, il Partito comunista siriano, che in seguito si è unito al governo nel Fronte nazionale progressista. Si tratta di una coalizione di diversi partiti, ma nel complesso è solo un'immagine senza alcuna partecipazione reale - tutto è controllato dal Partito Ba'ath [Il Partito del risorgimento arabo socialista, Ndt] e dal presidente. In secondo luogo, la struttura dell'economia siriana ha contribuito all'assenza di sindacati. Per lo stesso motivo non si sono formate cultura e politiche di classe, poiché la maggior parte dei posti di lavoro sono piccole aziende a conduzione familiare.

Non c'era quindi una forte base di sinistra indipendente e organizzata da cui partire - a parte il partito di Riad Al-Turk che si è separato dal Partito comunista siriano e alcuni altri partiti più piccoli e curdi che sono stati perseguitati. Quando è scoppiata la rivoluzione, molti giovani di sinistra che facevano parte del Partito comunista siriano hanno abbandonato e si sono uniti alla rivoluzione. Hanno dichiarato apertamente che i loro presunti compagni di sinistra (sia in Siria che a livello internazionale) avevano tradito i siriani e la lotta del popolo. Ci sono alcuni gruppi indipendenti più piccoli e poi persone influenti come lo scrittore e intellettuale Yassin Al Haj Saleh e Omar Aziz, che è stato l'ideologo dietro l'idea dei Consigli locali, istituiti per autogovernare il territorio detenuto dall'opposizione. Omar Aziz è stato arrestato ed è morto in prigione, mentre Yassin Al Haj Saleh è fuggito dal paese e ora vive in esilio.

Pensi che questa mancanza di organizzazione della sinistra in Siria possa essere la causa della mancanza di solidarietà e di sostegno alla rivoluzione siriana da parte della sinistra americana ed europea?

Potrebbe essere un fattore. Ma anche la semplice ignoranza è un fattore. Ad esempio, qualche anno fa sindacalisti e "persone di sinistra" di tutto il mondo si sono recati in missione di solidarietà in Siria a sostegno del regime. Sembravano completamente ignari del fatto che le sinistre indipendenti sono represse e i sindacati indipendenti sono inesistenti!

La sinistra occidentale nel suo complesso non è riuscita a sostenere i siriani nella loro lotta per la libertà. In parte ciò è dovuto al problema del "campismo" che è diventato dominante nel pensiero di sinistra. Questi cosiddetti "anti-imperialisti" credono che le uniche potenze imperialiste siano gli Stati Uniti e l'Occidente, e non vedono che esistono altri imperialismi, come la Russia e l'Iran. Hanno quindi sostenuto il regime, considerandolo, a torto, un baluardo contro l'imperialismo occidentale. Non hanno ascoltato le voci siriane sul campo e hanno diffuso ogni sorta di disinformazione su quanto stava accadendo, negando persino che i massacri chimici fossero stati compiuti dal regime e assolvendolo da ogni responsabilità.

Mi ricorda molto quanto sta accadendo verso il contesto ucraino. Per quanto riguarda i palestinesi, invece, i sostenitori della rivoluzione siriana sono soliti esprimere solidarietà anche a loro, tu stessa hai firmato una lettera a sostegno di Gaza. Qual è il rapporto tra i sostenitori di una Siria democratica e i palestinesi, soprattutto considerando che una parte della sinistra palestinese è impegnata nel campismo?

Dal 7 ottobre abbiamo assistito a tanti tentativi da parte dei siriani di raggiungere i palestinesi e mostrare solidarietà. Non solo dichiarazioni, ma nelle manifestazioni regolari del venerdì contro il regime, la gente porta bandiere palestinesi e ha decorato i muri con murales a sostegno della Palestina. Nella città di Idlib, hanno ribattezzato una piazza centrale come Piazza Gaza e l'hanno decorata con la bandiera palestinese.

I siriani sentono molta affinità con i palestinesi. Siamo legati, storicamente, in quanto le persone provenienti da Palestina, Siria, Giordania e Libano erano tutte unite a Bilad al Sham, la nostra cultura è molto simile. Inoltre, l'occupazione della Palestina è una questione centrale per gli arabi e i musulmani, a causa della portata dell'ingiustizia in quel paese e perché i nostri regimi hanno usato la causa palestinese come un modo per rafforzare il loro sostegno tra le loro popolazioni.

I palestinesi sono anche solidali con i siriani dallo scoppio della rivoluzione - l'ho visto io stessa, soprattutto tra la gente di Gaza quando ci sono stata. Tuttavia, ci sono anche molti palestinesi che sono caduti nella politica campista. Molte voci di spicco sulla Palestina, soprattutto tra i cittadini occidentali, hanno calunniato e screditato la rivoluzione siriana, sostenendo essenzialmente il regime. Nelle proteste per la Palestina che si stanno svolgendo nei campus statunitensi si vedono persone che tengono in mano la bandiera della milizia libanese Hezbollah, sostenuta dall'Iran, considerandola parte della resistenza a Israele. Hezbollah ha partecipato attivamente al genocidio contro i siriani - ha messo in atto assedi per fame sulle comunità dell'opposizione simili a quello che Israele sta facendo ora a Gaza. Questi non sono alleati per la liberazione.

La nostra solidarietà deve basarsi su principi comuni, non su quali Stati partecipano a un conflitto. Deve basarsi sulle lotte dei popoli per la libertà e la giustizia sociale, altrimenti non ha senso. Come scritto nella dichiarazione dei siriani rivoluzionari a sostegno della Palestina, che hai citato prima, "la solidarietà reciproca e intersezionale è essenziale, le nostre lotte sono una, la nostra libertà dipende dalla libertà dell'altro".

Puoi dirci qualcosa di più sul campo della sinistra araba?

Tradizionalmente ci sono tre correnti politiche principali nel mondo arabo: l'islamismo, il nazionalismo panarabo e la sinistra. Molti di coloro che crescendo non si sentivano rappresentati dall'islamismo o dai regimi nazionalisti (come le minoranze in Siria) sono diventati di sinistra.

C'è una divisione simile a quella che si riscontra nella sinistra globale. La sinistra araba tradizionale è caduta in una politica campista simile, in cui l'imperialismo statunitense e Israele sono il nemico finale. Molti di loro hanno sostenuto la dittatura di Assad, considerandola parte dell'"asse della resistenza". Naturalmente, ci sono sempre state delle eccezioni, ad esempio con gli antiautoritari di sinistra del Partito comunista di Riad Al-Turk, di cui abbiamo parlato prima e che hanno combattuto per la democrazia e le libertà civili. Ma c'è anche una nuova generazione che è nata dalle rivoluzioni e ha un'analisi molto più sofisticata che corrisponde alla realtà del mondo in cui viviamo - un mondo di imperialismi in competizione tra loro - e che si oppone a tutti gli oppressori e si schiera con tutte le lotte per la dignità. Ho molta speranza in questa nuova generazione, anche se abbiamo vissuto una violenta controrivoluzione e siamo attualmente sconfitti, non organizzati e traumatizzati.

Che impatto ha avuto la guerra in Ucraina sulla Siria?

C'è stata tanta solidarietà e sostegno da parte dei siriani agli ucraini, e viceversa, è stato bellissimo da vedere. Penso che ci identifichiamo molto con le lotte dell'altro per una serie di ragioni. Entrambi abbiamo un nemico comune nello Stato russo, entrambi abbiamo attraversato rivolte popolari, prima di entrare in una situazione di conflitto, ed entrambi abbiamo dovuto affrontare alcune delle politiche campiste di cui abbiamo parlato, in cui le nostre lotte sono state screditate e i nostri nemici sostenuti. Questo, insieme al nostro trauma collettivo, ci ha uniti. Molti siriani si sono recati in Ucraina per missioni di solidarietà e, all'inizio del conflitto, si sono messi a disposizione per dare consigli pratici, ad esempio su come proteggersi dal "doppio attacco", una delle tattiche preferite dalla Russia per uccidere il maggior numero possibile di civili (dopo un bombardamento, la Russia bombarda di nuovo la zona una volta che i soccorritori si sono spostati). Ho conosciuto molti ucraini grazie alla loro solidarietà con la Siria. I siriani festeggiano quando i generali russi coinvolti in crimini di guerra in Siria sono uccisi in Ucraina - è un piccolo assaggio di giustizia per noi. Speriamo che l'Ucraina si liberi un giorno dall'imperialismo russo, così come speriamo che si liberi anche la Siria.

A livello più ampio, invece, la guerra in Ucraina non ha avuto grandi ripercussioni sulla Siria. La Russia ha dovuto ritirare alcune truppe dalla Siria per trasferirle in Ucraina, ma non ha fatto molta differenza, dato il momento, quando la maggior parte delle grandi battaglie erano già finite.

Stiamo provando a dimostrare nel dibattito internazionale perché è importante sconfiggere la Russia, in particolare perché l'Ucraina non è il primo paese che hanno attaccato. Prima ci sono state la Siria, la Georgia, la Cecenia. Si potrebbe quindi circoscrivere un modello di invasione. In questo modo potremmo costruire una solidarietà attorno all'argomento antimperialista che difendere e aiutare l'Ucraina implica difendere e aiutare la Siria e viceversa. Pensi che questo possa accadere?

Dobbiamo assolutamente portare avanti questo discorso: c'è una tale assenza di comprensione della Russia come potenza imperialista, non solo oggi ma anche storicamente. Tra gli occidentali c'è una totale mancanza di conoscenza del ruolo storico della Russia; basta guardare la mappa delle dimensioni della Russia per capire che si tratta di uno Stato nato dalla conquista coloniale. Se non mettiamo in discussione la visione del mondo che vede l'Occidente al centro di tutto, non saremo in grado di rispondere ad alcune delle sfide che attualmente dobbiamo affrontare a livello globale.

Dall'esterno sembra che la rivoluzione siriana sia una causa persa, ma nell'agosto dello scorso anno c'è stata una nuova ondata di proteste nel sud della Siria. Come valuti la situazione attuale e le speranze che Assad possa finalmente essere rovesciato?

Nelle parti del paese che non sono sotto il controllo del regime di Assad, come la provincia di Idlib e alcune zone della Siria settentrionale, le proteste settimanali contro il regime sono continuate dal 2011 fino a oggi. Questo dimostra che la gente non ha ancora rinunciato ai valori e alle richieste della rivoluzione.

Da agosto è in corso una rivolta nella provincia meridionale di Sweida. Questo è interessante perché Sweida è a maggioranza drusa e la sua popolazione ha adottato una posizione di neutralità quando è iniziata la rivoluzione. Non si sono uniti alla rivoluzione, ma non si sono nemmeno schierati con il regime. Tuttavia, negli ultimi anni le condizioni di vita si sono deteriorate notevolmente a causa del crollo dell'economia e questo ha spinto la gente a scendere in piazza per protestare. Ora chiedono chiaramente la caduta del regime e si identificano con altre aree della Siria che lottano per la libertà - si sentono canti di solidarietà con Idlib e viceversa - e ci sono stati molti assalti agli uffici del partito Baath al potere e alle posizioni del regime. Trattandosi di un gruppo minoritario, il regime non ha risposto con le violenze e gli arresti di massa che abbiamo visto altrove nelle aree a maggioranza sunnita - per le ragioni di cui abbiamo parlato prima, ovvero che il regime vuole dipingersi come "difensore delle minoranze" - e quindi le proteste sono continuate fino a oggi.

Anche nel nord della Siria, negli ultimi mesi, è in corso una rivolta contro Hayat Tahrir Al Sham, che formalmente era Jabhat Al Nusra. Si tratta di una milizia islamista autoritaria che ha molto potere e governa parti del nord-ovest del paese. È molto chiaro che i siriani rifiutano ogni forma di autoritarismo, che si tratti del regime o di qualsiasi altro gruppo. La lotta è ancora quella per la libertà e la democrazia.

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Hai scritto per tanti anni sulla rivoluzione siriana, che sembrava sempre più senza speranza. Quando ho letto il tuo libro mi si è spezzato il cuore, perché sembra che non si possa fare nulla, e inoltre i siriani non hanno lo stesso sostegno sulla scena internazionale della Palestina, per esempio, o dell'Ucraina. Come si fa, personalmente, a sopravvivere tutti questi anni senza disperarsi? Credo che gli ucraini abbiano bisogno di questo tipo di consapevolezza

Gli ultimi anni sono stati molto traumatici per i siriani. Il nostro paese è stato distrutto e i nostri cari sono stati detenuti, uccisi o sfollati. Chi è in esilio deve affrontare ostilità, violenza e persino la minaccia di un ritorno forzato in Siria. E ora il mondo si sta normalizzando con il tiranno che ha creato la nostra miseria. A volte è difficile avere la forza di continuare a lottare, ma cosa possiamo fare? La situazione non cambia, perciò non possiamo arrenderci.

I siriani sul campo non hanno abbandonato la loro lotta. Quindi noi che siamo all'esterno dobbiamo continuare a sostenerli, a sensibilizzare l'opinione pubblica su ciò che sta accadendo in Siria. Abbiamo il lusso della distanza e dello spazio per respirare. E soprattutto siamo in grado di organizzarci, di creare connessioni con le persone in lotta altrove, come stiamo cercando di fare con questa conversazione.

Negli ultimi dieci anni e mezzo ho stretto legami con persone provenienti da tutto il mondo. Molte di queste si sentono escluse dal discorso dominante della sinistra per molte delle ragioni di cui abbiamo parlato. Questo mi dà molta energia, per connettermi con gli altri, per lavorare in comunità con persone che la pensano come me, per cercare di costruire una nuova visione dell'internazionalismo, tra coloro che provengono dalle periferie, una visione che si concentri sulle persone, non sugli Stati, e che sia contro tutti gli autoritarismi e tutti gli imperialismi. Speriamo di poter costruire insieme, in futuro, un nuovo movimento.

Intervista pubblicata in originale sul sito ucraino Commons con licenza CC BY-NC-ND. Per sostenere Commons si può fare una donazione tramite questa pagina.

Immagine in anteprima: frame video Voice of America via YouTube

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