Legge bavaglio: cosa dice l’Europa
6 min letturaA testimoniare l'immobilità dell'Italia, il passato ribussa alla porta sotto forma del famigerato DDL intercettazioni. La proposta di legge di riforma delle intercettazioni è stata, infatti, nuovamente presentata al Parlamento, con tutto il suo carico di norme liberticida. Il testo, anzi i testi visto che si tratta di 3 proposte, ripropongono sostanzialmente le norme del testo del Ministro Alfano.
La riforma
Quelle norme innanzitutto limitano pesantemente la possibilità di ricorrere alle intercettazioni da parte del magistrato. Il PM non potrà intercettare se non ha concreti indizi su un possibile colpevole, non potrà più intercettare per una serie di reati minori, la procedura di autorizzazione è resa più complessa e i tempi di intercettazione sono ridotti.
Sul fronte della stampa, il disegno di legge vieta la pubblicazione, anche parziale, della documentazione e degli atti relativi a conservazioni telefoniche o flussi di comunicazioni telematiche, anche se non più coperti dal segreto, fino all'udienza preliminare. Cioè non si potrà pubblicare praticamente quasi più nulla dei processi fino alla conclusione delle indagini. Considerato che in Italia i tempi dei processi sono molto lunghi, per anni i cittadini non potranno sapere cosa fa la magistratura. Ciò da un lato consentirà agli indagati di continuare a svolgere impunemente le loro malefatte e casomai esercitare, dall'alto di una carica pubblica ottenuta forse con mezzi illeciti, pressioni indebite sui procedimenti, dall'altro sottrarrà il magistrato al controllo sul suo operato, con rischi di abusi del medesimo.E questo anche in considerazione del divieto di pubblicazione dei nomi dei magistrati in relazione alle indagini loro affidate, e l'ulteriore divieto per i magistrati di parlare delle loro indagini, pena la rimozione. Sapremo, quindi, che il tale PM è stato rimosso, ma non potremo sapere su cosa stava indagando!
È importante evidenziare che parliamo di atti che non sono più segreti. Con la riforma si impedisce non la circolazione degli atti, ma solo la pubblicazione sui giornali, con la conseguenza che quegli atti potranno girare per oscuri corridoi e formare oggetto di dossier anche a fini di ricatto politico. Gli unici che non ne avranno contezza saranno i cittadini.
Il giornalista che pubblica questi atti è punibile col carcere anche se c'è interesse pubblico alla notizia, con buona pace del diritto di cronaca. Potrà però scrivere per riassunto degli altri atti già noti, ma è evidente che il pubblicare per riassunto rende di per sé tale pubblicazione una mera interpretazione del giornalista, facilmente contestabile dall'indagato, così facendo scadere la cronaca giudiziaria ad una mera opinione.
La riforma prevede anche un ulteriore deterrente a carico degli editori, cioè una multa elevata nel caso violino il divieto di pubblicazione degli atti di indagine. In tal modo si renderà indispensabile all'editore ingerirsi personalmente nelle scelte redazionali per non doverne rispondere in prima persona, con definitivo affossamento dell'autonomia della redazione rispetto alla proprietà del giornale.
Inoltre la riforma estende la rettifica prevista per la stampa a tutti i siti informatici, con ciò neutralizzando le recenti pronunce della Cassazione che hanno sempre evitato una parificazione tra Internet e stampa. Anzi di fatto si estendono ad internet solo gli oneri (rettifica) ma non le prerogative della stampa (insequestrabilità), con ciò degradando il mezzo di comunicazione più diffuso e democratico.
Tale articolo si può ritenere una vera e propria norma di chiusura dell’intero impianto normativo. Infatti, se un giornalista volesse sfidare il divieto di pubblicazione delle intercettazioni, saltando il problema dell’ingerenza dell’editore, e quindi utilizzare un blog per fare informazione senza intermediazioni, si troverà a fare i conti con questo articolo che evidentemente mira ad evitare che le inchieste censurate dall’informazione professionale possano poi sbarcare sulla rete.
Critiche e norme in contrasto
Su questo disegno di legge si sono addensate numerose critiche che hanno in più occasioni evidenziato il contrasto con norme interne e internazionali.
Innanzitutto la riforma è in contrasto con l’articolo 1, comma 2, della Costituzione, che garantisce l’esercizio della sovranità popolare, sovranità che, come affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16236 del 2010, può essere esercitata solo nel momento in cui il popolo sia correttamente e compiutamente informato. Nascondere per anni gli atti di indagine al popolo, specialmente se si tratta di procedimenti a carico di amministratori pubblici, significa impedirgli di poter giudicare i suoi rappresentanti politici correttamente e compiutamente.
Altro contrasto si ha con l’articolo 101 della Costituzione in base al quale “La giustizia è amministrata in nome del popolo italiano”, norma che presuppone che il popolo possa, anzi debba conoscere per tempo le modalità di amministrazione della giustizia, e questo non può che avvenire a mezzo della stampa.
Di solare evidenza è, infine, il contrasto con l’articolo 21 che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, nel suo duplice aspetto di diritto ad essere informati e libertà di esprimere le proprie opinioni.
Considerato che l'Italia fa parte dell'Unione europea non possiamo, inoltre, non considerare le norme dell'Unione e le pronunce delle istituzioni europee che evidenziano le problematicità della riforma.
Ricordiamo la raccomandazione del Parlamento europeo, del 27 marzo 2009, che invita gli Stati membri a
garantire che la libertà di espressione non sia soggetta a restrizioni arbitrarie da parte della sfera pubblica e/o privata e ad evitare tutte le misure legislative o amministrative che possono avere un effetto dissuasivo su ogni aspetto della libertà di espressione.
Sulla normativa in questione si è espresso anche il commissario europeo Viviane Reding, che ha ricordato come la libertà di espressione costituisca un principio basilare dell’Europa sancito dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e che qualsiasi restrizione o ostruzione al giornalismo d’indagine può essere considerata come un grave attentato alla libertà di espressione. Secondo il commissario europeo, la libertà di stampa può essere sottoposta a restrizioni solo se sono “previste dalla legge” ed imposte ai fini del perseguimento di uno o più dei legittimi obiettivi contemplati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e se costituiscono “misure necessarie, in una società democratica” ai fini dei suddetti obiettivi.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), con la sentenza del 10 febbraio 2009, ha sancito che la libertà di stampa prevale sulla privacy (la cui tutela è spesso invocata in Italia a giustificazione di una normativa liberticida), così da tutelare il diritto dei cittadini di ricevere informazioni su ciò che accade nei palazzi del potere. Con la sentenza del 7 giugno 2007, il Tribunale di Strasburgo ha stabilito che il diritto della stampa di informare su indagini in corso e il diritto del pubblico di ricevere notizie su inchieste scottanti prevalgono sulle esigenze di segretezza.
Secondo la Corte Europea, le limitazioni al diritto di cronaca sono possibili solo a condizione che tutelino un bene di rango costituzionale pari, ma non si palesa nel disegno di legge un reale intento di protezione della privacy, e nemmeno un intento di proteggere la formazione del corretto convincimento da parte del magistrato, in quanto il divieto di pubblicazione viene meno proprio all’apertura del dibattimento, cioè quando il rischio del condizionamento del giudicante potrebbe realmente sorgere.
Dalla Corte dei diritti dell’uomo, quindi, un monito di “peso” al Parlamento italiano: il diritto dei cittadini di conoscere i fatti vince sempre sulla segretezza delle carte processuali. In un sistema democratico l’importanza di una notizia rende lecita la sua pubblicazione anche se si tratta di notizia soggetta a segreto (ma la riforma in oggetto stabilisce che non sono pubblicabili nemmeno gli atti non più coperti da segreto), in quanto l’obbligo di informare i cittadini prevale, e in particolare prevale sul diritto alla privacy dei soggetti pubblici come possono essere i politici.
La Corte ha sostenuto che il diritto di sapere e di essere informati è un corollario necessario dell’esercizio del controllo democratico, in quanto in democrazia i controlli istituzionali (e questo lo vediamo nelle inchieste giudiziarie che giungono sui giornali) non sono sufficienti, occorre il controllo diffuso di tutti i cittadini, cioè la trasparenza.
E non possiamo dimenticare la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo che recita:
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere” (art. 19).
Ancora, possiamo ricordare il relatore speciale dell'ONU sulla libertà di opinione e di espressione, Frank La Rue, che il 13 luglio 2010 chiese al governo italiano di abbandonare questo disegno di legge. Oppure Dunja Mijatovic, rappresentante per la libertà dei media dell’OSCE, che il 15 giugno del 2010 ha invitato l’Italia a rinunciare all'approvazione di questa proposta di legge che “potrebbe seriamente ostacolare il giornalismo investigativo in Italia”, e che “segna una tendenza alla criminalizzazione del lavoro giornalistico”.
Il ddl intercettazioni si muove, quindi, lungo tre direttrici: limitazioni alla utilizzabilità dello strumento delle intercettazioni da parte dei magistrati; divieto di pubblicazione di atti di indagine per i giornalisti, anche se si tratta di atti non più coperti da segreto; estensione di parte della normativa sulla stampa all’intera rete internet.
Il risultato di questa legge, non per nulla denominata “legge bavaglio”, sarà quello di posticipare nel tempo, anche di anni, le notizie delle indagini giudiziarie comprese quelle che interessano i politici e gli amministratori della cosa pubblica, impedendo quindi un controllo da parte del cittadino sui propri rappresentanti.
Tutto ciò che si otterrà sarà un mercato di sottobanco delle notizie giudiziarie (che sono, non dimentichiamolo, non più segrete), con l’unico risultato di ottenere una informazione giudiziaria scarsamente attendibile e un florilegio di voci di corridoio idonee ad alimentare un mercato nero di notizie non sempre attendibili, e di fenomeni di dossieraggio senza alcun controllo.
Si tratta, in effetti, del sovvertimento dell’art. 21 della Costituzione italiana, imponendo alla stampa il ruolo di servitore dei governanti.