La maternità non è mai stata ‘cool’
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Lavinia Mennuni sembra una con le idee ben chiare. Nata a Southampton, nel Regno Unito, diplomata al liceo linguistico Sacro Cuore Trinità dei Monti e laureata in Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza, è avvocata e ha iniziato la sua lunga militanza politica in Alleanza Nazionale nel 1997. Ha anche tre figli, ma non è certo per questo che nel 2022 è stata eletta senatrice nelle liste di Fratelli d’Italia. La maternità, insomma, ha nella sua vita il ruolo che ha in quello di tante altre donne: una scelta personale, intima, non certo la ragion d’essere della sua personalità pubblica. La sua lunga carriera professionale, che l’ha vista occupare ruoli istituzionali anche di altissimo profilo, mal si concilia con l’idea di una donna per cui essere madre sia la “massima aspirazione” della vita, come da sua prescrizione alle diciottenni italiane.
Insomma, siamo alle solite: c’è una donna di destra (Giorgia Meloni, Eugenia Roccella, Lavinia Mennuni) che predica la sottomissione delle donne a un destino biologico ineluttabile, senza essere a sua volta esempio di quella sottomissione. Mennuni, come Roccella e come Meloni, non dedica certo la totalità del suo tempo alla casa e ai figli: è anzi una figura pubblica, visibile, indipendente dal punto di vista economico, in grado di sopperire alle sue eventuali assenze con l’aiuto di personale domestico, asili nido e tutto quello che serve a conciliare il lavoro con le esigenze di base di una famiglia. Donne borghesi, o donne che sono arrivate a ottenere una condizione di agiatezza tale da rendere la maternità possibile senza rinunciare alla realizzazione personale.
Sull’impianto ideologico che sottende alle dichiarazioni di Mennuni nel corso della trasmissione di La7 Coffee Break vale la pena tornare in un secondo momento. Soffermiamoci per un momento su una frase: “Noi dobbiamo aiutare le istituzioni, il Vaticano, le associazioni, la maternità a diventare di nuovo cool. Noi dobbiamo fare sì che le ragazze di diciott’anni, i ragazzi di diciott’anni vogliano sposarsi e mettere al mondo una famiglia.”
Da dove partiamo? Forse dall’idea della coolness secondo Mennuni, tanto per levarci il pensiero. Cool, che in italiano si traduce come figo, ganzo, togo (metteteci il sinonimo appropriato alla vostra generazione e alla vostra provenienza) è qualcosa che tutti vogliono, qualcosa di aspirazionale, desiderabile perché ti pone idealmente al di sopra della massa. Il termine anglosassone, in particolare, è riferito alla temperatura: cool è freddo, imperturbabile, intoccabile. Cool è qualcuno, più che qualcosa, e non si può essere cool se si è uguali a tutti gli altri. Cool ha a che vedere con le mode, con lo spirito del tempo, e le mode, come i tempi, cambiano. Quello che oggi è cool potrebbe non esserlo domani, e di sicuro quello che è cool non lo decide il Vaticano, che da che mondo è mondo è sempre stato agli antipodi della coolness, posizionandosi semmai molto più spesso nel campo del cringe. Ve la ricordate la Cristoteca, la discoteca con musica cattolica?
La maternità – e non diciamo l’essere genitori, uno perché non è quello che ha detto Mennuni, due, perché la maternità e la paternità sono due concetti distinti dal punto di vista culturale e sociale – non è mai stata cool. Non solo perché essere madri significa rinunciare alla freddezza, ma anche perché la coolness si definisce in relazione al valore sociale delle persone, degli accessori, degli oggetti, delle scelte. I figli non sono un accessorio, non sono qualcosa di cui vantarsi in società o da sfoggiare per darsi un tono, non sono una moda, un trend, qualcosa che cambia. I figli sono una costante immutabile, sono una relazione in sé, non qualcosa che si fa per aumentare il proprio capitale sociale. Fare dei figli perché è figo è la cosa peggiore che ci si possa augurare dopo fare dei figli perché si è costrette, come accadeva prima che le donne potessero disporre di sé stesse e del proprio corpo, prima dell’invenzione della contraccezione, della legge 194, dell’abolizione dello ius corrigendi, del delitto d’onore e del matrimonio riparatore.
“La maternità deve tornare a essere cool” è un concetto che presuppone che essere madri lo sia mai stato, e invece no. La maternità è sempre stata, per dirla in maniera brutale, sangue e merda, fatica e sacrificio, terrore di sbagliare, potere di cui è facile abusare. Essere madre è notti insonni e preoccupazione costante, pochissimo tempo per sé stesse e spesso, troppo spesso, la perdita dell’identità: prima eri una donna, poi sei una mamma. Certo, per chi l’ha scelta è anche tanta gioia, amore incondizionato, un legame eterno e profondissimo. Per chi l’ha scelta, appunto: non per chi ha fatto figli perché pensava di non avere alternative o perché lo facevano tutte le altre, che è la ricetta dell’infelicità. La scelta presuppone la libertà. Se non sei libera di fare altrimenti, non stai scegliendo: ti trovi in una situazione di costrizione. Che la costrizione arrivi da leggi che ti impediscono di autodeterminarti o da pressioni sociali alle quali è difficile opporre resistenza senza pagare un prezzo molto alto, c’è davvero poca differenza: una cosa è l’estensione dell’altra.
Di sicuro, la maternità non può essere una missione, un dovere sociale o qualcosa che si può imporre per salvare la patria dallo spopolamento, perché i corpi delle donne e delle persone che possono generare non sono pubblico demanio o strumenti della collettività. La strategia del governo Meloni rispetto al fenomeno che chiamiamo “inverno demografico” sembra essere debole e inefficace esattamente come tutte le altre strategie del governo Meloni, che a più di un anno di distanza dalla vittoria non ha ancora mostrato di avere alcun piano per risolvere i problemi del paese.
Le esternazioni sulla maternità di Mennuni (e di Meloni, e di Roccella, e di tutti i rappresentanti delle istituzioni che si esprimono sul tema in questi termini) devono essere prese sul serio anche quando suonano ridicole e anacronistiche. Dire che le diciottenni devono avere come massima aspirazione il diventare madri non è solo una roba da propaganda natalista del periodo fascista: è anche il primo passo per impedire alle donne di decidere per sé stesse. Perché se le ragazze, com’è giusto, continuassero a scegliere di non diventare madri se non lo desiderano o se non trovano un compagno (o una compagna, ma vabbe’) con cui realizzare un progetto di famiglia, se il loro stipendio non fosse sufficiente a mantenere una famiglia o se – come il 18% delle donne italiane – dopo quel primo figlio perdessero il lavoro e non riuscissero più a tornarci perché non possono fare affidamento su nonne, tate e nidi privati, se insomma non trovassero la maternità abbastanza cool, come si fa? Il passo successivo è obbligarle, citando come motivazione la loro imperdonabile riluttanza.
Per ora sappiamo questo: che la proposta delle opposizioni per un congedo paritario di 5 mesi, inserito come emendamento alla manovra di bilancio, è stata bocciata dalla destra lo stesso giorno in cui Mennuni rendeva noto il suo auspicio per le diciottenni italiane. Un provvedimento che forse non avrebbe reso la maternità “cool” come uno zainetto di marca, ma l’avrebbe resa più sostenibile, distribuendo meglio il carico di cura ed eliminando un fattore di discriminazione delle donne sul lavoro. La cosa peggiore che possiamo fare con le ancelle del patriarcato borghese come Mennuni è sottovalutare la loro capacità di sottrarre diritti alle altre mantenendo intatti i propri privilegi. Ascoltiamole, e non dimentichiamoci che ogni conquista è sempre temporanea, se non viene difesa.